Il padre dello zero è considerato universalmente il matematico arabo Muhammad ibn Musa al Khwarizmi
Zero significa anche niente o nullo. Se la differenza tra il numero di oggetti in due insiemi è zero, significa che i due insiemi contengono lo stesso numero di elementi. Zero va però distinto da “assenza di valore” poiché si tratta di due concetti diversi: ad esempio se la temperatura è zero, l’acqua ghiaccia (nel caso della gradazione Celsius della temperatura); se manca il dato della temperatura, assenza del valore, nulla si può dire.
Il numerale o cifra zero si usa nei sistemi di numerazione posizionali, quelli cioè in cui il valore di una cifra dipende dalla sua posizione. La cifra zero è usata per saltare una posizione e dare il valore appropriato alle cifre che la precedono o la seguono. Ad esempio, per il numero “centodue”, si scrivono un 2 nella posizione delle unità (prima posizione da destra) per indicare il due, e un 1 nella posizione delle centinaia (terza posizione) per indicare il cento: la posizione delle decine (seconda posizione) rimane vuota, quindi vi si scrive uno zero, ottenendo così 102.
STORIA dello 0!
La prima comparsa dello zero risale all’epoca dei Sumeri, cioè a circa 3 mila anni fa. Era un simbolo della scrittura cuneiforme, formato da due incavi inclinati che indicava l’assenza di un numero. Un simbolo simile era utilizzato di tanto in tanto anche dagli Egizi, ma soltanto tra altri numeri, mai all’inizio o alla fine di una serie. Le antiche civiltà cinesi non hanno uno zero vero e proprio, ma l’uso dell’abaco, il precursore della calcolatrice, fa supporre che comunque fosse noto il concetto di valore nullo. I Maya, al contrario, avevano un simbolo, ma non lo utilizzavano nei calcoli.
Lo sviluppo dello zero in senso moderno va fatto risalire alla cultura Hindu, anche se il padre dello zero è considerato universalmente il matematico arabo Muhammad ibn Musa al Khwarizmi (800 dopo Cristo) che lo introdusse tra i numeri oggi noti come “arabi”.
Gli Arabi appresero dagli Indiani il sistema di numerazione posizionale decimale e lo trasmisero agli europei durante il Medioevo (perciò ancora oggi in Occidente i numeri scritti con questo sistema sono detti numeri arabi). Essi chiamavano lo zero ṣifr (صفر): questo termine significa “vuoto”, ma nelle traduzioni latine veniva indicato con zephirum (per assonanza), cioè zefiro (figura della mitologia greca, personificazione del vento di ponente, ma anche perché esso spirava in modo quasi inavvertito).
Fu in particolare Leonardo Fibonacci a far conoscere la numerazione posizionale in Europa: nel suo Liber abbaci, pubblicato nel 1202, egli tradusse sifr in zephirum; da questo si ebbe il veneziano zevero e quindi l’italiano zero. Anche il termine cifra discende da questa stessa parola sifr. Tuttavia già intorno al 1000, Gerberto d’Aurillac (poi Papa col nome di Silvestro II) utilizzava un abaco basato su un rudimentale sistema posizionale.
L’uso dello zero rese subito i calcoli più rapidi e precisi, permettendo l’introduzione di regole di calcolo (i cosiddetti algoritmi) che consentivano di eseguire sulla carta operazioni prima possibili solo con l’ausilio dell’abaco. Il termine “zero”, che deriva dall’arabo sifr (“nulla”), fu usato per la prima volta in Occidente dal matematico italiano Leonardo Fibonacci nel 1202.
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