La piantata Veneta

Registro Nazionale del Paesaggio Rurale, delle Pratiche Agricole e Conoscenze Tradizionali

Regione: Veneto

La piantata è una pratica colturale antichissima di coltivazione della vite testimoniata già in epoca etrusca e romana. Si tratta di una tipica forma di agricoltura promiscua in cui gli appezzamenti coltivati sono delimitati da filari di viti maritate ad alberi d’alto fusto. In passato erano presenti vari tipi di specie arboree (l’olmo, l’acero, il salice, alberi da frutto, ecc.), ma, a seguito della diffusione della bachicoltura, si è affermata la presenza del gelso le cui foglie venivano impiegate per alimentare i bachi. Dal punto di vista colturale, la piantata si associava spesso a peculiari sistemazioni idraulico-agrarie quali, ad esempio, il cavalletto. In questo caso il filare di viti maritate si trova su una porca di larghezza variabile, tenuta a prato e separata dai coltivi da una o due piccole affossatture

Inquadramento della pratica

La piantata è una pratica colturale antichissima di coltivazione della vite testimoniata già in epoca etrusca e romana. Si tratta di una tipica forma di agricoltura promiscua in cui gli appezzamenti coltivati sono delimitati da filari di viti maritate ad alberi d’alto fusto. In passato erano presenti vari tipi di specie arboree (l’olmo, l’acero, il salice, alberi da frutto, ecc.), ma, a seguito della diffusione della bachicoltura, si è affermata la presenza del gelso le cui foglie venivano impiegate per alimentare i bachi.

Non a caso, specie nel Veneto, la piantata ha assunto la massima diffusione nell’alta pianura a ridosso della fascia pedemontana, dove storicamente iniziarono a diffondersi le filande che potevano sfruttare la forza motrice generata dai numerosi corsi d’acqua che scendevano dai colli e dalle Prealpi.

Mentre in origine le viti erano sostenute esclusivamente dal tutore vivo, in epoca più recente è invalsa la tendenza ad inserire un tutore morto (un palo di legno) che intercalava gli alberi e rendeva possibile appoggiare i tralci su fili di ferro, e di adottare perciò forme di allevamento della vite più moderne e produttive. Il tipico festone di difficile ottenimento e di onerosa manutenzione è stato perciò via via abbandonato. Dal punto di vista colturale, la piantata si associava spesso a peculiari sistemazioni idraulico-agrarie quali, ad esempio, il cavalletto. In questo caso il filare di viti maritate si trova su una porca di larghezza variabile, tenuta a prato e separata dai coltivi da una o due piccole affossature.

Come testimoniato da varie ricerche effettuate in provincia di Treviso e nel Veneto, la piantata di vite costituiva la forma quasi esclusiva di gestione delle colture nella pianura veneta fin dai tempi della Serenissima. Presentava il notevole vantaggio di garantire una pluralità di prodotti in aziende che consentivano sia di soddisfare le esigenze dei coltivatori, sia di avere dei prodotti vendibili sul mercato o da cedere al proprietario concedente nel caso dei contratti di mezzadria. Con l’avvento della meccanizzazione e il diffondersi del diserbo chimico, questo paesaggio è progressivamente scomparso nel Veneto così come nel resto d’Italia e attualmente se ne possono incontrare solo dei brandelli sparsi prevalentemente in alta pianura.

Allo stato attuale permangono solo pochi esempi del paesaggio della Piantata Veneta. Tra questi particolare rilevanza assume il piccolo vigneto arborato situato nel Borgo di Baver nel comune di Godega di Sant’Urbano (TV), dove sono state conservate le modalità tradizionali di coltivare la piantata di viti nel Veneto. L’importanza di questa piantata è tale che la Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici delle province di Venezia, Belluno e Treviso ha posto nel 2014 un vincolo di tutela ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera a) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42 con cui viene tutelato non solo il paesaggio ma in particolar modo la pratica colturale ancora presente per il suo fondamentale valore etnoantropologico.

Raccomandazioni

I fattori che hanno determinato la scomparsa della Piantata Veneta sono da ricondursi sia alle mutate condizioni organizzative e tecnologiche in cui opera l’azienda agraria contemporanea sia almeno in parte alla perdita da parte delle comunità locali della capacità di attribuire ad una pratica agricola – ed al paesaggio a cui ha dato vita – il reale valore culturale e identitario. Da questo punto di vista è auspicabile che venga svolta in futuro un’azione di divulgazione e promozione tale da favorire la conoscenza dell’importanza paesaggistica e culturale della piantata veneta, coinvolgendo sia gli enti locali sia le associazioni agricole di categoria sia infine i coltivatori e i proprietari.

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