Pittura del Quattrocento – Beato Angelico
Guido di Pietro nasce verso il 1400 a Vicchio di Mugello; entrato intorno al 1420 nel Convento Domenicano di Fiesole, assumerà il nome di fra’ Giovanni da Fiesole e passerà alla storia come Beato Angelico. La sua presenza presso,il convento di San Marco, di cui dirige i lavori di sistemazione, è documentata a partire dal 1441. Lavora successivamente a Orvieto e a Roma, dove muore nel 1455.
Personalità mistica e contemplativa, il Beato Angelico non rappresenta un’antitesi all’arte di Masaccio ma, anzi, può essere considerato un innovatore dell’arte Sacra, dal momento che la sua opera tende a conferire alle immagini sacre una struttura di tipo rinascimentalearmonizzata col suo carattere spirituale e trascendente. Formatosi nell’ambito della corrente gotica di Lorenzo Monaco e Gentile da fabriazno, l’Angelico appare sensibile al discorso di rinnovamento artistico del Masaccio e alla concezione prospettica dello spazio. Interpreta tuttavia in chiave mistica le nuove teorie, sostituendo al corposo plasticismo del Masaccio la sua visione ideale e trascendente, immersa in una diafana e brillante luminosità.
Opere principali del Beato Angelico
Affreschi del Convento di San Marco
La scena viene spesso indicata come la più felice del ciclo, splendida sotto il profilo compositivo, coloristico e della luce. La simmetria è alla base dell’equilibrio della composizione. Il Cristo è ieratico, come appare nelle icone bizantine che hanno spesso affrontato questo soggetto evangelico. Si erge, maestoso, in piedi su un’altura rocciosa, le braccia spalancate a preannunciare la croce. E abbaglia con la veste bianca che si staglia sul candore della mandorla che Lo circonda e che Lo astrae dalla materialità quotidiana. La luce Lo trasfigura a tal punto che sembra di udire le parole riportate dai Vangeli sinottici: «Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo!».
La composizione è divisa secondo la sezione aurea, con Cristo che divide l’affresco in due metà e con l’arco che misura un terzo rispetto all’altezza totale dell’opera.
In basso si trovano tre apostoli, Pietro, Giacomo il Maggiore (di spalle) e Giovanni: il primo fa un gesto per coprirsi gli occhi, Giacomo è in una posa carica di stupore (si notino le mani e i piedi contratti con studiato realismo), Giovanni invece, a destra, si inginocchia e alza le mani con profonda reverenza.
Sotto le braccia di Cristo si trovano le teste di Mosè e di Elia, testimoni mistici dell’avverarsi delle loro profezie, dove l’Angelico dispiegò tutta la sua potenza nel modellare. Ai lati si trovano infine la Madonna e san Domenico: quest’ultimo fa da testimone alla scena e la attualizza inquadrandola nella gamma dei principi dell’Ordine. San Domenico sembra ricevere luce dall’esterno, alle sue spalle.
I corpi dei personaggi sono scolpiti dalla luce cristallina, che dà una forte sensazione, tramite il chiaroscuro, di rilievo plastico. Le fisionomia sono dolci ma incisive, il panneggio realistico, la collocazione spaziale è solida e ben calibrata, a parte per le apparizioni mistiche dei profeti che fluttuano nell’aria con ali di cherubino.
Annunciazione del Corridoio di San Marco è un a delle più belle realizzazioni di questo tema iconografico: la prospettiva architettonica vi acquista un più ampio respiro e l’intera scena trasmette il senso di un’intima e profonda spiritualità.
L’Annunciazione è un’opera di Beato Angelico (tempera su tavola, 154×194 cm il pannello centrale, 194×194 compresa la predella) conservata nel Museo del Prado a Madrid a databile alla metà degli anni trenta del Quattrocento. L’opera è probabilmente la terza di una serie di tre grandi tavole dell’Annunciazione dipinte dall’Angelico negli anni trenta del Quattrocento; le altre due sono l’Annunciazione di Cortona e l’Annunciazione di San Giovanni Valdarno. La datazione non è però concorde ed alcuni storici dell’arte invertono la serie, proponendo la tavola del Prado come la prima.
Storia
L’opera venne dipinta per il convento di San Domenico dove era frate lo stesso Angelico ed era una delle tre grandi pale d’altare di sua mano che decoravano la chiesa, con la Pala di Fiesole sull’altare maggiore (la più antica, 1424-25, e l’unica ancora in sede) e l’Incoronazione della Vergine del Louvre (1424-1435 circa).
Entro il 1435, quando i lavori al convento dovevano essere conclusi, la pala doveva essere terminata. Ceduta, entrò poi nelle collezioni reali della monarchia spagnola e da qui al Prado.
La scena è composta in maniera simile alle altre due Annunciazioni, con alcune differenze. Come nell’Annunciazione cortonese la superficie dipinta è tripartita in tre zone (il giardino, l’arcata dell’Angelo e l’arcata della Vergine), ma come nell’Annunciazione di San Giovanni il punto di fuga è all’interno della casa invece che all’esterno, concentrando maggiormente l’attenzione dello spettatore sull’Annunciazione. Ne risultavano meno evidenti Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre, che nella pala cortonese sono vicini al punto di fuga, per questo l’Angelico ingrandì le loro figure notevolmente. Essi, come nelle altre due opere, si muovono in una giardino fiorito allusivo alla verginità di Maria (“hortus conclusus”), popolato da una moltitudine di piante e pianticelle dipinte con grande cura. Tra le specie legate a valori simbolici si riconoscono la palma, che ricorda il futuro martirio di Cristo, e le rose rosse, che richiamano il sangue della Passione di Cristo. La presenza di Adamo ed Eva sottolinea il ciclo della dannazione dell’umanità, ricomposta tramite la salvezza in Cristo, resa possibile dall’accettazione di Maria.
Dall’angolo in alto a sinistra scende un raggio di luce di divina che, attraverso la colomba dello Spirito Santo, va ad illuminare la Vergine, che si piega accettando remissivamente il suo incarico. Essa è seduta su un seggio coperto da un ricco drappo che funge anche da tappeto, ed ha sulle ginocchia un libro aperto, simbolo delle Scritture che si avverano.
L’Angelo è simile nella posa e nella veste all’opera di San Giovanni, anche se la sua figura appare più statica e le pieghe della veste più schematiche, frutto forse del pennello di un collaboratore
La scena si svolge in un portico rinascimentale con arcate leggere scorciate con sapienza in prospettiva, che ricordano la architettura di Michelozzo. la luce appare unificata, a differenza della pala di Cortona, e proviene da sinistra verso destra per tutti gli elementi.
L’effetto di insieme è quello di una descrizione epidermica e preziosa dei vari dettagli, con il ricorso a colori brillanti e freddi, quasi cristallizzati, nelle armonie cangianti degli azzurri e dei rosa.
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