La BIOdiversità nel piatto

I cibi che troviamo sulla nostra tavola hanno avuto origine in epoche diverse e sono frutto sia delle nostre scelte sia di quelle politiche, economiche e ambientali.

Per esempio, gli ingredienti principali di una gustosa pasta con pomodoro fresco e basilico sono:
Pasta. Le origini della pasta sono molto antiche: presente nelle sue forme più semplici e primordiali in diverse parti del continente eurasiatico, fin da tempi remoti, si è poi diffusa in tutta l’area mediterranea. La pasta come la conosciamo oggi, nei suoi diversi formati, compare in Italia nel Medioevo assieme alle prime botteghe italiane per la preparazione professionale della pasta. L’Italia è la prima produttrice di pasta nel mondo, con più di ¼ della produzione globale, seguita da Stati Uniti e Brasile;
Pomodoro. Il pomodoro è originario dell’America centrale, del Sudamerica e della parte meridionale dell’America Settentrionale, e occupa un posto di tutto rispetto fra i prodotti alimentari di importanza globale con quasi 164 milioni di tonnellate di prodotto nel corso del 2013 (ultimi dati della FAO disponibili). Il primo produttore al mondo di questo ortaggio è la Cina, che da sola produce il 30% del totale, seguita da Stati Uniti e India. In questi tre paesi si raccoglie oltre la metà di tutti i pomodori del pianeta. L’Italia si ferma al 3% ma è comunque il settimo paese produttore più importante al
mondo, soprattutto nell’industria della trasformazione;
Basilico. La pianta, originaria dell’India e fortemente aromatica, rappresenta un ingrediente immancabile nella cucina italiana e in quelle asiatiche. I cibi di cui ci nutriamo raccontano ciascuno una propria storia, ma anche quella dell’intera umanità nel suo lungo cammino di lotta per la sopravvivenza, in ambienti spesso molto ostili. Essi narrano di viaggi ed esplorazioni e, in epoca più recente, sono anche frutto della biotecnologia (tecniche di controllo e modifica degli organismi viventi), utilizzata per selezionare le varietà delle specie e per accrescere la resistenza delle piante e la resa dei raccolti.
Le tecniche agricole sviluppate nel corso dei secoli sono state impiegate per modificare i fattori naturali della produzione vegetale allo scopo di incrementare, in qualità e quantità, la produzione. Ma anche per selezionare quelle specie che meglio si adattavano alle caratteristiche del suolo e alle necessità alimentari della specifica società.

Tuttavia, l’adozione di poche varietà migliorate ha ristretto a poco a poco il numero delle specie più coltivate e, in conseguenza di ciò, sono scomparse molte varietà locali. Oltre a ciò, fra i tipi di sfruttamento del suolo agrario, la monocoltura, se da un lato ha soddisfatto la domanda delle principali derrate alimentari per buona parte del pianeta, ha creato anche un appiattimento e una progressiva riduzione genetica delle specie coltivate. In sintesi sono state sacrificate vaste zone di territorio per la coltura di un’unica specie vegetale in maniera intensiva e standardizzata. Pertanto attualmente le monocolture sono considerate tra le principali cause della scomparsa di biodiversità.

Nel caso delle specie vegetali, quelle coltivate nel mondo sono oltre 300, ma circa l’85% degli alimenti è fornito solo da otto specie, in gran parte cereali come il frumento, il riso, il mais, il miglio e la soia, oltre alla patata, la manioca e la patata dolce. Di queste specie, solo tre (frumento, riso e mais) coprono circa il 50% del fabbisogno alimentare mondiale.

Semi di varie specie di cereali

Secondo i dati della FAO, tra i 12 prodotti alimentari più venduti nel mondo vi sono solo sette colture erbacee (riso, frumento, soia, pomodoro, canna da zucchero, mais e patata) e solo cinque prodotti derivati dall’allevamento di animali (latte bovino, carne bovina, carne di maiale, carne di pollame, uova), la cui alimentazione è basata su colture erbacee. In sintesi, le cultivar migliorate hanno spodestato a poco a poco le vecchie popolazioni locali di piante, decretandone la riduzione o la quasi totale scomparsa. Per questo occorre intervenire con la conservazione del germoplasma delle varietà autoctone che, con il loro prezioso patrimonio di geni, potranno svolgere un ruolo non secondario nell’agricoltura del futuro. A tale scopo nella seconda metà del secolo scorso sono state costituite le “banche del germoplasma”, che conservano campioni dei semi raccolti e classificati in celle frigorifere a temperatura e umidità controllate o in “campi catalogo”.

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