Vigneti
La vite comune (Vitis vinifera L.) è una coltura caratterizzata da un elevato grado di autoimpollinazione e da una limitata incidenza dell’attività degli insetti e del vento sulla produttività. Raramente si osservano api che si nutrono dei fiori delle piante di vite; tuttavia una gestione conservativa del terreno situato tra due filari (interfila) può garantire la presenza nei vigneti di habitat di foraggiamento aggiuntivi, in grado di aumentare significativamente l’impollinazione delle colture agrarie e delle piante spontanee presenti negli appezzamenti e aree limitrofe.
Recenti testimonianze raccolte da ISPRA in vigneti biologici in Piemonte hanno evidenziato, a tale proposito, che le alternative gestionali al diserbo chimico, soprattutto gli sfalci interfilari tardivi e/o l’inerbimento interfilare, garantiscono un incremento nella ricchezza delle specie di piante locali con un conseguente aumento della disponibilità di risorse trofiche per tutti gli impollinatori presenti nel territorio di riferimento.
Nelle aziende viticole convenzionali normalmente la flora spontanea è gestita mediante le lavorazioni meccaniche del terreno, la pacciamatura o il diserbo chimico, al fine di limitare la potenziale competizione idrica e/o nutritiva tra la vite e le piante “infestanti”.
L’intensità di questa competizione è influenzata dalle condizioni pedologiche e climatiche locali, per cui in taluni areali vanno diffondendosi pratiche tradizionali favorevoli alla diversità delle api selvatiche e tali da rendere le interfile paragonabili ai margini dei campi o alle strisce di fiori selvatici. Piuttosto che dalle operazioni meccaniche, gli impatti negativi della viticoltura convenzionale sono tuttavia originati principalmente dall’utilizzo di prodotti chimici sulle infestanti, con una conseguente crescente e/o maggiore presenza delle specie perenni rispetto alle aziende biologiche che non vi fanno ricorso.
Diversi sono gli studi condotti negli ecosistemi viticoli che hanno messo in evidenza gli aspetti positivi per gli impollinatori associati all’adozione di pratiche colturali idonee a sostenere la presenza di mosaici di elementi seminaturali e l’incremento degli ambienti di transizione tra comunità confinanti. A beneficiare di condizioni del terreno indisturbate e di superfici vegetate permanenti sono in maggior misura le specie di impollinatori nidificanti nel suolo, mentre per le api selvatiche nidificanti fuori terra la disponibilità di materiali per la creazione di nidi (come materiale vegetale vecchio ed elementi di legno morto) può risultare compromessa nei paesaggi particolarmente alterati. L’elevata percentuale di api selvatiche che nidificano nel terreno, come un’intensa attività di nidificazione di Lasioglossum marginatum e L. lineare, rappresenta un buon indicatore della qualità gestionale perché condizione tipica degli ecosistemi con maggiore naturalità o migliore sostenibilità e con adeguata disponibilità di habitat di nidificazione (strade non asfaltate, bordi di campi naturali, suoli integri sotto i filari delle viti, etc.)
Una recente meta-analisi ha confermato l’effetto positivo di pratiche colturali sostenibili sulla biodiversità complessiva e sui servizi ecosistemici presenti nei vigneti. La ricchezza, l’abbondanza e le caratteristiche funzionali delle specie di api selvatiche negli interfilari aumentano significativamente con la maggiore disponibilità di risorse floreali e con un’attenta gestione sostenibile della vegetazione, specie quella spontanea.
Sono soprattutto le api selvatiche eusociali a beneficiare in modo rilevante della gestione estensiva della vegetazione dei filari, in quanto più sensibili ai disturbi rispetto alle specie solitarie e più vulnerabili alla frammentazione degli habitat ed alle conseguenti limitazioni nella disponibilità delle risorse floreali e dei materiali idonei alla nidificazione.
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