Grissia Monferrina PAT

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del PIEMONTE

La Grissia monferrina è un pane che rientra nella tipologia “a pasta dura”, tipico del Monferrato. Il formato classico si aggira tra i 220 e i 300 grammi mentre il Grission varia da 500 grammi a un chilogrammo. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso alcuni panettieri hanno anche iniziato a preparare forme più piccole di peso variabile dagli 80 ai 120 grammi denominate Grissiette. Grande o piccola che sia, la Grissia monferrina ha una forma che ricorda vagamente due chiocciole unite.

La Grissia monferrina può essere preparata con una “biga” (preimpasto piuttosto sodo a lievitazione lenta a base di farina di grano tenero, acqua e pochissimo lievito) oppure con “pasta di riporto” (impasto volutamente avanzato della panificazione precedente). Entrambi costituiscono poi la materia prima per l’impasto finale vero e proprio, a base di farina di grano tenero, acqua, lievito di birra, strutto, malto e sale.

Una volta cotte, le forme di pane, talvolta si dividono automaticamente se il punto di giuntura è molto ridotto, per effetto del taglio che viene praticato prima di infornarle. A volte vengono divise con un piccolo gesto manuale se il cliente desidera acquistare mezza Grissia. La Grissia monferrina si consuma comunemente come pane da pasto. Un tempo era abitudine consumare la grissia appena sfornata sfregata con aglio. Questo procedimento, in piemontese, viene denominato “soma d’aj”.

Caratteristiche

  • Consistenza: compatta e senza alveolature. La crosta è liscia, croccante e friabile, di facile masticazione. La sua fragranza si deve mantenere per due o tre giorni.
  • Odore: gradevolissimo di forno
  • Colore: esternamente è dorato, più o meno intenso a seconda della cottura; internamente risulta bianco-avorio.
  • Sapore: caratteristico del pane di farina bianca addizionato di grassi; si deve sciogliere in bocca durante la masticazione.
  • Dimensioni: la Grissia monferrina classica ha un peso variabile tra i 220 e i 300 grammi.

Metodiche di lavorazione

Per fare la classica Grissia monferrina generalmente si prepara una “biga” a lievitazione più o meno lenta, secondo le abitudini del panettiere. La “biga” è un preimpasto a bassa idratazione, piuttosto sodo (circa il 50% di acqua rispetto alla farina) e può avere un tempo di lievitazione/fermentazione variabile dalle 6 alle 30 ore (in genere almeno 20 ore). Più lungo è il tempo di lievitazione/fermentazione, più diminuisce il quantitativo di lievito. La “biga” a lievitazione più lunga viene mantenuta a una temperatura indicativa di 18-20 °C.

Alcuni panettieri, in base alle esigenze organizzative, talvolta impiegano la “pasta di riporto” (impasto tenuto da parte derivante dalla panificazione precedente che in piemontese viene denominato “ ’lvà ”). Un tempo si preparava un preimpasto con “pasta madre” (fermentazione naturale senza lievito di birra). Alla “biga” o alla “pasta di riporto” viene aggiunto il doppio o il triplo circa di farina “0” e “00” mediamente forte e acqua nella proporzione del 45-50%, rispetto alla farina aggiunta in modo da ottenere un impasto piuttosto sodo, difficile da lavorare a mano. Oltre alla farina e all’acqua vengono aggiunti: strutto di puro suino e/o olio di oliva, sale, lievito di birra, malto in polvere o in pasta.

L’impasto viene lavorato nell’impastatrice a forcella o a spirale per 20-30 minuti e, successivamente, fatto riposare per un quarto d’ora o poco più (puntatura); a questo punto viene tagliato a grossi pezzi e laminato più volte con la laminatrice (o sfogliatrice) per essere reso più liscio. Ad ogni passaggio il pezzo di impasto viene piegato in tre o in quattro come se fosse una busta da lettere. L’impasto laminato viene suddiviso in filoni da 220-300 grammi se si tratta di Grissia monferrina classica. Se si desidera che le grissie si aprano bene in cottura, ogni filone viene pennellato leggermente con olio di oliva.

Si prendono quindi le due estremità e si arrotolano su se stesse fino ad arrivare al centro del filone dove si “baciano”. Ogni pezzo arrotolato viene ribaltato sul piano di lavoro in modo da far risultare la base piatta in vista. Si fa poi proseguire la lievitazione per un tempo variabile dalla mezz’ora a due ore, secondo la temperatura, il tipo e il quantitativo di lievito utilizzato e il tempo impiegato per laminare l’impasto e dare forma alle grissie. Le forme lievitate, prima di essere infornate, vengono incise con un profondo taglio al centro della parte superiore. Quest’operazione fa sì che il prodotto si allunghi durante la cottura e assuma la forma caratteristica.

La temperatura e i tempi di cottura variano in base al tipo di forno e al peso della forma. A cottura ultimata la Grissia monferrina deve assumere un bel colore dorato. La doratura è più intensa quando nell’impasto viene aggiunto il malto. Questo tipo di pane si mantiene fragrante per più giorni.

ZONA DI PRODUZIONE

La Grissia monferrina viene prodotta nel Monferrato astigiano e alessandrino, in particolare nei paesi intorno a Casale Monferrato. Attualmente viene prodotta costantemente dai panettieri di Moncalvo, Pontestura e Solonghello. Nel Monferrato alessandrino viene talvolta denominata semplicemente “Monfrina” ossia Monferrina.

TRADIZIONALITÀ

Le testimonianze orali delle persone anziane del Monferrato raccontano che la Grissia veniva già prodotta nei secoli passati. La pasta dura faceva sì che il pane fosse meno attaccabile dalle muffe e quindi conservabile più a lungo. Il termine Grissia, deriva da Ghersa (vedi pag.154 del sottocitato libro di Luciano Gibelli) che significa bastoncino di pane fatto a cilindro lungo circa due spanne, che a sua volta proviene dal sostantivo femminile Ghersa che significa fila, sequenza, ordine di cose disposte in lungo (in parallelo).

Nel preparare le Grissie, infatti, i panettieri tagliano l’impasto a pezzi, lo stendono a bastoncini cilindrici che dispongono in parallelo prima di arrotolarli su se stessi per realizzare le Grissie. Va tuttavia precisato che un tempo, in alcune zone dell’astigiano e della collina torinese, la Grissia non veniva arrotolata, ma si sovrapponevano due pezzi cilindrici appiattiti che successivamente venivano tagliati in metà e poi piegati di 45 gradi. Dopo la cottura assumeva una forma lunga e stretta con un solco in mezzo.

Bibliografia

  • Vittorio di Sant’Albino, Gran Dizionario Piemontese-Italiano, Società Unione Tipografico
    Editrice, Torino, 1859
  • Sandro Doglio, La Guida di Sandro Doglio, I buoni indirizzi 1995, Daumerie Editore, Cuneo,
    1994
  • Sandro Doglio, Il Dizionario di Gastronomia del Piemonte, Daumerie Editore, Cuneo, 1995
  • Luciano Gibelli, Dnans ch’a fàssa neuit, prima che scenda il buio, Priuli & Verlucca Editori,
    Ivrea, 1999
  • AA.VV., Il Buon Paese, Slow Food Editore, Bra, 2000
  • AA.VV. Cucina e Tradizioni del Piemonte, Volume 1, Bonechi, Firenze, 2004

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