Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Campania
Formaggio a pasta filata, prodotto con latte proveniente da allevamenti di piccole e medie dimensioni, da bovine in prevalenza di razza bruna o podolica, stagionato tradizionalmente in grotta; forma rotonda o ovale con testina pronunciata, colore grigio per la presenza di muffe, peso di oltre 2,5 kg, aspetto tipico con presenza di insenature sulla parte superficiale dipendenti dalla posizione dei legacci.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, condizionamento, stagionatura
Tradizionalmente tutto il processo produttivo avveniva in grotta, in quanto veniva normalmente praticata la monticazione (alpeggio estivo sulle pendici del monte Cervati) ed erano utilizzate grotte naturali come riparo per i pastori e per il bestiame. Alla raccolta delle mungiture della sera, trasferita immediatamente in grotta, dove la temperatura era bassa e costante, si aggiungeva quella della mattina successiva. Si univano le due munte e si riscaldava il latte fino a 36-38 °C sospendendo sul fuoco il contenitore in ferro (caccavo) ad un asse sorretto da due “forcine” sempre in legno. La coagulazione avveniva aggiungendo caglio in pasta di capretto, prodotto dai pastori utilizzando gli stomaci degli animali macellati, lasciandoli a macerare. Quando il latte era rappreso quindi quando il coagulo aveva raggiunto la consistenza voluta, dopo alcuni minuti, si procedeva alla rottura della stessa utilizzando un attrezzo detto “ruociolo”, formato da un bastone di legno con una calotta, sempre di legno, all’estremità. L’azione proseguiva fino a che i grumi non raggiungevano la dimensione di una nocciola. Si scaldava la cagliata a 45-47°C aggiungendo il siero o l’acqua riscaldata. Dopo alcuni minuti si estraeva la cagliata e si poneva su degli assi e si lasciava “affetire”, vale a dire maturare fino al giorno dopo.
Prima di utilizzare la cagliata si effettuava la prova di filatura, sminuzzando una piccola quantità di cagliata ed immergendola in acqua bollente con un utensile a forma concava: se tirandola filava in modo uniforme e senza spezzarsi si passava alla fase successiva altrimenti si attendeva ancora, fino ad esito positivo. Quando la cagliata era pronta si tagliava a listarelle sottili, si immergeva in acqua bollente e si impastava con un bastone di legno (menatora). Successivamente si drenava il liquido (latticello) e si formava il caciocavallo, immergendolo successivamente in acqua per il raffreddamento, ultimato il quale si passava alla salatura. Questa avveniva per immersione in salamoia satura. Le forme, a salatura completata, venivano quindi legate a coppie dalla testa ed appese su pertiche sospese per la stagionatura.
Osservazioni sulla tradizionalità, la omogeneità della diffusione e la protrazione nel tempo delle regole produttive
La metodologia di produzione sopra descritta veniva utilizzata da tutti i “massari” di tutta l’area del Cervati ed è una metodica che si perde nella notte dei tempi; ritrovamenti archeologici nelle grotte di Pertosa di utensili per la lavorazione del latte attestano la presenza dell’attività casearia fin dall’età del bronzo. Ancora oggi alcuni moderni caseifici propongono la stagionatura in grotta calcarea.
Territorio di produzione
Comuni afferenti alla valle del Tanagro e area del monte Cervati, monti Alburni (provincia di Salerno)