Prodotto Agroalimentare Tradizionale delle Marche
I Tajulin sa la fava sono una caratteristica pasta lunga realizzata dalle massaie che vivevano nel borgo attorno al convento di San Sebastiano le quali, per via della povertà, mescolavano la farina di grano con quella di fava. Inconfondibile è il gusto di questa pasta, ruvida non solo al tatto ma in certo qual modo pure al palato. Per certi aspetti simili ai tacconi, ne differiscono tuttavia per alcune caratteristiche (nella diffusione territoriale, nella composizione, nell’aspetto esteriore e nelle diverse modalità di preparazione e presentazione in tavola). Peculiare ne è il colore che tende al castano a motivo della misticanza di farine dove al bianco della farina ricavata dal grano dorato (quell’oro raffigurato anche nel vessillo comunale) si unisce il marrone della farina di fava secondo il giusto rapporto tramandato dalla tradizione.
La fava deve essere coltivata nell’agro mondolfese, in quanto la caratteristica composizione del terreno data dai “tufi”, termine con cui in loco vengono chiamate quelle formazioni marine del Pliocene inferiore caratterizzate da sabbie e arenarie talvolta debolmente cementate fra loro, conferisce al legume un sapore più delicato e dolce. I tajulìn sa la fava possono essere gustati tanto asciutti, col sugo rosso, quanto in brodo secondo la tradizione.
La lavorazione dei Tajulin sa la fava inizia con la scelta del legume da mandare al mulino. Si deve trattare, infatti, di fave coltivate nell’agro mondolfese. Si procede quindi secondo la ricetta, tramandata tra le mura del convento francescano di San Sebastiano, che prevede un rapporto di 3 parti di farina di grano e 2 parti di farina di fava. Si impastano tre ettogrammi di farina di grano, due ettogrammi di farina di fava, due uova, mezzo bicchiere di acqua tiepida ed un pizzico di sale. La sfoglia andrà tirata sulla “spianadóra” poco spessa (circa 3 mm) col “rasagnòl” (mattarello), poi arrotolata su se stessa e tagliata secondo la forma dei tajulìn (che ricordano vagamente gli spaghetti alla chitarra o le tagliatelle) alla cadenza di 3-4 mm. Ottimi da essere serviti con sugo rosso oppure cotti in brodo.
Tradizionalità
I poveri avevano sovente a disposizione solo terre marginali per coltivare qualche legume e ortaggio. E così, gli abitanti del castello di Mondolfo apostrofavano col nome, allora spregiativo, di “magnafava” gli abitanti del borgo attorno al Convento francescano di San Sebastiano i quali, appunto aggiungevano farina di fava a quella di grano realizzando i tajulin. Un tempo dare del “magnafava” a qualcuno era considerato un insulto mentre negli ultimi anni, essendosi sviluppata una maggiore cultura delle tradizioni, il termine viene rivendicato con un certo orgoglio dagli abitanti del borgo che hanno istituito nel 1991 la festa dei magnafava che da allora si celebra ininterrottamente.
Riferimenti Bibliografici:
- -Agostinelli C., Berluti A., Una storia lunga 800 anni in tutto il mondo : l’Ordine Francescano Secolare negli ultimi ottant’anni a Mondolfo : 1936-2016, Mondolfo, 2016.
- -Anselmi S., “Agricoltura e società rurale nelle Marche” in Anselmi S., Chi ha letame non avrà mai fame – Quaderni di Proposte e Ricerce, n. 26, Senigallia, 2000.
- -Frattini F., A Mondolf, Marotta e Ponderì parlaian a colmò. Dizionario in vernacolo, proverbi, usanze e tradizioni della Bassa Valle del Cesano, Senigallia, 2005.
- -Berluti A., Il Convento di San Sebastiano a Mondolfo, Mondolfo, 2006, p. 52.
- -Berluti A., Mondolfo in tasca, Ciabochi Editore, 2014.
- -Berluti A., Storia della Sanità a Mondolfo e Marotta, Senigallia, 2004.
- -Tizi V., Il Castello di Mondolfo. I Francescani Conventuali. I Borroni, Fano, 1996.
Territorio di Produzione
Comune di Mondolfo, in particolare il borgo di San Sebastiano.
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