Impronta idrica degli alimenti

Articolo redatto da Giampiero Mazzocchi
CREA – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia

In un contesto caratterizzato da una crescente attenzione verso gli impatti dei sistemi alimentari, dalla produzione fino al post-consumo, trovano crescente applicazione indici quantitativi in ambito agricolo, che stimano la quantità di risorse naturali necessarie per la produzione e trasformazione del cibo. Rispondono a questa esigenza la carbon footprint, ovvero il calcolo delle emissioni di gas serra per unità di prodotto, l’ecological footprint, cioè l’impatto in termini di uso e cambiamenti di uso del suolo, e la water footprint (WF), un indicatore multidimensionale, espresso in termini di volumi, del consumo di acqua dolce che include sia l’uso diretto che indiretto di acqua da parte di un consumatore o di un produttore.

In questo approfondimento, viene fornito un inquadramento teorico-metodologico del concetto di WF e una panoramica sull’impatto del cibo in termini di risorse idriche. Si tratta di un argomento particolarmente significativo nella misura in cui il consumo di cibo (che include sia prodotti agricoli sia di origine animale) contribuisce in Italia all’89% dell’impronta idrica totale giornaliera (WWF, 2014).

La definizione di WF, ideata nel 2002 dal Prof. Hoekstra dell’Università di Twente (Olanda) e promossa dal Water Footprint Network, nasce dalla rielaborazione del concetto di “contenuto di acqua virtuale” (virtual water content). Il termine “virtuale” si riferisce al fatto che l’acqua utilizzata per produrre cibo non è visibile ai consumatori finali del prodotto, pur essendo stata utilizzata per la produzione lungo tutta la filiera. Per questo motivo, per una comprensione completa degli impatti delle produzioni agroalimentari sulle risorse idriche, il concetto di WF fa riferimento al tipo di acque utilizzate, alla localizzazione geografica dei punti di captazione ed al periodo in cui l’acqua viene utilizzata.

La WF considera, quindi, non solo l’utilizzo di acqua di falda o superficiale (blue water), ma anche l’utilizzo di acqua piovana disponibile come umidità del suolo (green water) ed il consumo di acqua legata al processo di purificazione della stessa dagli agenti inquinanti (grey water). È innanzitutto utile inquadrare il tema dell’impronta idrica del cibo in un contesto globale, caratterizzato da un aumento costante dell’uso di acqua dolce, sestuplicato dal 1901 al 2014, passato da 671 miliardi di metri cubi a 4 triliardi di metri cubi. É interessante notare come l’Italia sia scesa dai 42,7 miliardi di metri cubi del 1972 ai 34 miliardi nel 2017. Se concentriamo, invece, l’analisi sull’uso di acqua per uso agricolo, l’Italia scende dai 25,6 miliardi di metri cubi nel 1970 fino ai 12,9 miliardi del 2005.

Al fine di analizzare l’impatto delle categorie alimentari più utilizzate, possiamo affermare che esistono tre tipi di informazioni che restituiscono l’entità della quantità di acqua necessaria alla produzione di cibo: i metri cubi utilizzati per chilogrammo di prodotto, per 100 grammi di proteine e per 1000 chilocalorie.

Dalla ricerche eseguite emerge come i prodotti caseari siano la categoria che richiede la maggiore quantità di acqua per chilogrammo di prodotto (5.600 metri cubi), nonostante questa categoria merceologica risulti più “efficiente” in termini di proteine e chilocalorie. Tra i prodotti che richiedono il maggior quantitativo di acqua per chilogrammo troviamo anche la frutta secca e il pesce d’allevamento. Se si comparano le tre tipologie di elaborazioni, quest’ultima categoria risulta piuttosto inefficiente, anche in relazione all’apporto nutrizionale per unità di proteine e di chilocalorie.

Sono necessarie ingenti quantità d’acqua per produrre un chilogrammo di frutta secca, più di 4.000 metri cubi, ma nella classifica in termini di apporto calorico questa categoria risulta più efficiente (672 metri cubi per 1000 chilocalorie). Per quanto riguarda la zootecnia, si nota come l’impatto più rilevante sia causato dalle linee da latte del manzo, sempre fra le prime posizioni per quantità d’acqua necessaria, sia se si considera il peso netto che l’apporto nutrizionale. La zootecnia ci permette di chiarire un aspetto metodologico che spiega il motivo per cui le produzioni animali, o di origine animale, siano spesso sotto osservazione per la loro WF.

Come accennato, questo approccio permette di considerare l’utilizzo d’acqua lungo tutto il percorso produttivo. Nel caso della zootecnia, questo utilizzo è piuttosto esteso in termini temporali e complesso dal punto di vista della trasformazione. Ad esempio, per calcolare l’impronta idrica per la produzione della carne di manzo, secondo l’approccio della WF, si considera la quantità d’acqua necessaria per la produzione del foraggio e dei cereali alla base della nutrizione dell’animale, nonché dell’acqua per l’abbeveramento, e di quella utilizzata nelle fasi di trasformazione. Il calcolo potrebbe dare risultati ancora più elevati se si considera che la WF non tiene conto del volume di acqua inquinata che può derivare dalla lisciviazione dei fertilizzanti nelle colture foraggere o dal letame in eccesso che raggiunge il sistema idrico.

È tuttavia importante ricordare come i dati forniti in questo contesto siano solo delle medie globali, utili a fornire indicazioni di massima, ma che “schiacciano” su un valore medio situazioni fortemente differenziate per regione di produzione, composizione del mangime e origine degli ingredienti. Di fronte a queste considerazioni, è utile ricordare come le valutazioni sull’utilizzo dell’acqua per fini alimentari debbano necessariamente prendere in considerazione l’esternalizzazione degli impatti. Ad esempio, l’Europa importa grandi quantità di zucchero e di cotone, due delle coltivazioni che richiedono il maggior fabbisogno di acqua. Il caffè viene importato in gran parte dalla Colombia, la soia dal Brasile e il riso dalla Tailandia. Per questo motivo, così come per gli impatti sulla deforestazione, è necessario che le politiche adottino approcci sistemici e trans-continentali in grado di tenere in debita considerazione tutti i possibili trade-off fra scelte alternative su luoghi e modalità di produzione del cibo.

Dal lato del consumatore, siamo oggi tutti chiamati a tenere conto degli impatti sull’ambiente delle nostre diete e, sicuramente, quello delle risorse idriche è un ambito cruciale. Attraverso un sistema di calcolo basato sulle abitudini alimentari, ciascuno di noi può calcolare la propria impronta idrica attraverso il Water Footprint Calculator. Come afferma lo stesso Hoekstra, “non solo i governi, ma anche i consumatori, le imprese e ogni comunità civile possono fare la differenza, in modo da raggiungere una migliore gestione delle risorse idriche”

Fonte @RRN Magazine

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