Le Ville Italiane ed i loro Giardini
VILLA GAVOTTI DELLA ROVERE
Veniva chiamata la Cà grande, probabilmente era un caseggiato a due piani fiancheggiato da una torre. La tradizione la riconosce casa natale di Giuliano della Rovere, poi divenuto nel 1503 Giulio II, il pontefice umanista, mecenate di Michelangelo e di Bramante. Le antiche carte dicono che appartenesse ai della Rovere da tempo immemorabile. Nel Settecento fu trasformata in uno dei più originali edifici rococò in Italia.
La sua presenza è il segno preminente, ma non unico, di un grandioso progetto teso a trasformare una vasta porzione di territorio di Albisola in un’unità dove paesaggio, agricoltura, arte, architettura venivano riproposti innovati sulla scia del gusto dei secoli dei lumi.
Attorno alla villa, su un territorio paludoso e soggetto alle piene dei due torrenti che scendono nella piana di Albisola, il Sansobbia e il Riobasco, furono costruite le arginature, ristretti gli alvei, scavati canali per la raccolta e l’utilizzo delle acque.
Queste opere vennero intraprese per bonificare i terreni già coltivi, acquisire nuovo terreno agrario e introdurre nuove colture. Furono rifatte o riadattate le abitazioni rustiche e, dal limitare dei campi, creati nuovi percorsi a modo di crose.
Le case e i muri lungo le strade furono ingentiliti con intonaci colorati giallo arancio, scanditi da elementi architettonici, affrescati in chiaro scuro. Ai quadrivi gli ingressi furono abbelliti con esedre, vasi, cancelli.
OPERA DI BONIFICA
L’opera, più che secolare, di bonifica e di trasformazione del paesaggio fu voluta dalle famiglie Rovere e Gavotti. Dalla seconda metà del XVIII secolo si prolungò, nel turbolento susseguirsi della storia di quegli anni, fino a tutto il secolo successivo, ad iniziarla fu Francesco Maria della Rovere, ultimo della sua famiglia ed a lui va il merito di aver voluto edificare con vero spirito di mecenate l’edificio attuale.
La villa nacque su una costruzione risalente al XV secolo; dell’antico edificio rimangono ancora tracce delle mura, del piede della torre e dei piani, sfalsati rispetto agli attuali più alti e imponenti.
Gerolamo Brusco, architetto della Serenissima Repubblica di Genova, disegnò e diresse i lavori di trasformazione. Fu lui ad aggiungere al vecchio edificio due lunghi corpi ad un piano, che, partendo da un lato, cingono e racchiudono il giardino all’italiana. Alleggerì la prospettiva su strada mediante il prolungamento di un’ala del corpo di fabbrica terminante con una cappella. Integrò le nuove strutture con terrazze ingentilite da balaustre marmoree, animate dai sinuosi e morbidi tratti rococò e ornate con statue e vasi di marmo, opera dei carraresi Lorenzo Ferzetti e dei fratelli Antonio e Francesco Binelli.
Il centro della prospettiva, precedentemente riferita al palazzo, venne spostato all’asse del giardino. Infatti dalle terrazze si scende per due scalinate simmetriche, che si incontrano sul piano rialzato della fontana “1a peschiera”. Qui a modo di palcoscenico si dilatano gli spazi e lo sguardo si dirige verso un imponente grottesco, dominato da Ercole in lotta con il Leone Nemeo. Le parti esterne furono festosamente colorate con una calda tinta giallo arancio e decorate intorno alle ampie finestre con chiare cornici in affresco, dai timpani slanciati, alleggeriti da fiori e da ornamenti in chiaro scuro.
IL GIARDINO
Il giardino venne adornato con sirene e delfini che gettano acqua nelle fontane marmoree, con grandi vasi di terracotta festonati, cotti nelle fornaci di Carlo I di Borbone a Portici da Gaetano Lottini. I marmi delle statue furono presi a Carrara e toscani sono stati gli scultori e gli scalpellini che le modellarono. Le pietre dei grotteschi e le stalattiti provengono dalle grotte naturali dell’entroterra.
GLI INTERNI
Gli interni riflettono ancor più dell’esterno, per eleganza e preziosità, l’adesione al modulo arcadico. Le sale sono decorate con stucchi vagamente colorati. Quella della Primavera ha le pareti e la bianca una finestra e l’altra hanno capitelli sormontati da vasi, foggiati con libera ed originale fantasia. La sala dell’Estate è adorna di putti, che, sopra una sinuosa cornice, mietono il grano. Sulla volta alberi, carichi di frutti, si alzano in altorilievo verso la curva di un cielo, attraversato da mitici uccelli. Infine nella sala dell’Autunno, tralci carichi d’uva partono da capitelli, da tini, da cesti, posti sopra le mostre, si estendono sulla volta e vanno ad incorniciare la parete e le ampie finestre. Queste sale si aprono in uno dei due corpi di fabbrica che circondano il giardino, quasi a costituirne una sorta di continuità. Di fronte, nel corpo a sud, la stagione dell’Inverno mostra pareti ricoperte da rocce e da stalattiti. Celati tra queste alcuni specchi ampliano le prospettive e le luci che si riflettono da candelabri a forma di rami di corallo.
LE QUATTRO STAGIONI
Sono le quattro Stagioni dell’anno, cui fu dedicata la villa. In altre sale ritorna puntuale la loro presenza, ai piedi degli archi, sulle pareti, all’aperto, ovunque era possibile formare un quadrivio: maschere, volti, fauni, putti, ninfe ripropongono, con infinita consapevole grazia, il mistero del tempo che corre, della realtà che svanisce. Gli stucchi sono di mano dei fratelli Porta, decoratori lombardi, cui si dovevano già molte ed ammirate opere, eseguite in Baviera ed in Austria. Con loro e dopo di loro, a più riprese, anche nel secolo successivo, lavorarono tra gli altri i fratelli Betalini, Gaspare Astengo, Bartolomeo Bagutti e Alessandro Bolina.
La decorazione degli altri ambienti fu probabilmente eseguita su disegni degli stessi e realizzata in parte nello stesso periodo, in parte in tempi successivi, da decoratori per lo più genovesi. Per leggerezza e finezza dell’ornato spiccano tra le altre sale il salotto detto dei Papi, l’alcova, il salotto detto della Dogaressa in onore di Caterina Negrone, il grande salone al primo piano, adorno di busti in marmo, la stanza delle favorite, dove fanno mostra in belle cornici sagomate ritratti di dame francesi. Nella cappella, con l’altare ornato in perfetto rococò genovese sopra cui si alza l’altorilievo con Santa Caterina, opera di Francesco Schiaffino, si ritrovano gli stessi moduli decorativi, presenti negli altri ambienti.
La quadreria della villa, come in molti palazzi genovesi, aveva anche una funzione decorativa. Era ed è formata per lo più da ritratti di personaggi, appartenenti alle famiglie che si sono succedute nella proprietà. I dipinti, provenienti da altri luoghi, sono stati adattati alle forme delle cornici per armonizzarli al decoro degli ambienti.
OPERE FIGURATIVE
Tra le opere figurative meritano un cenno particolare gli affreschi che Andrea Levantino dipinse negli sguanci delle porte. All’illustre ceramista albisolese si deve il disegno delle maioliche dei pavimenti di alcuni ambienti ed il rivestimento, sempre in ceramica, all’interno dei caminetti. L’elegante mobilio, proprio della villa, ripete le forme e i colori degli stucchi delle sale, di cui era elemento complementare della decorazione. Fu realizzato da artigiani e mobilieri genovesi, mentre i bracci da illuminazione, dalle libere forme fantastiche, furono come, altri arredi intagliati, creazione del maestro del legno Carlo Scotto. Pregevoli, tra i vari pezzi, le cornici delle specchiere, inserite nei muri delle stanze e le consolles.
Francesco Maria della Rovere dedicò a questa sua prediletta dimora ogni cura, profondendo 116.000 zecchini d’oro di Venezia nei lavori, che seguì anche quando, elevato al dogato, visse continuativamente a Genova. Consapevole dell’importanza delle sue iniziative e certo di non poterle portare a termine, istituì una primogenitura, con l’obbligo per gli eredi di continuare il nome della sua famiglia e la sua opera. Dopo la sua morte, ne11766, la vedova Caterina Negrone, figlia del doge Domenico, interpretò le volontà del marito assegnando, nel 1789 , la primogenitura al figlio della sorella. Da questi, alcuni anni dopo, pervenne ai Gavotti, famiglia genovese e savonese, legata già da antichi vincoli di parentela con i della Rovere.
Sia le gravi conseguenze delle crisi finanziarie della Spagna e della Francia, sia le ben più sconvolgenti vicende della rivoluzione francese ne sconsigliarono il proseguimento. Solo verso la fine del periodo napoleonico Luigi Maria Gavotti poté restaurare quanto era stato guastato e riprendere i lavori interrotti il secolo precedente. La villa tornò così ad essere ospitale punto d’incontro per letterati, artisti. Sopraggiunsero poi i tempi eroici, di patrioti: Mazzini, Bixio, Depretis, La Masa, Saffi, Avezzana, Bassi… ed essa fu piena di quei fermenti generosi che avrebbero condotto all’unità d’Italia.
Palazzo Gallio a Gravedona (CO)
Villa Visconti Mainer a Cassinetta di Lugagnano (MI)
Castello Ducale di Agliè a Torino
Le Ville Italiani ed i loro Giardini