Mame d’Alpago PAT Veneto

 Prodotto Agroalimentare Tradizionale del Veneto

Mame d’Alpago, mame, bonei.

Le “mame d’Alpago” sono un agro-ecotipo di fagiolo (Phaseolus vulgaris), a consumo prevalente sottoforma di granella secca. È un pianta annuale, rampicante, con apparato radicale fittonante e fusto di altezza media di circa 250 cm. Le foglie composte hanno margine intero e color verde intenso; l’infiorescenza è di colore bianco e il baccello classico a due valve, ha colore verde allo stato fresco e giallo-ocra-nocciola allo stato secco, è moderatamente arcuato e lungo di circa 14 cm. I semi, del peso di circa 0,65 g, sono presenti mediamente in numero di 6 per baccello, hanno forma schiacciata oblunga-compressa, di colore nocciola chiaro uniforme.

Le tecniche di coltivazione delle “mame d’Alpago” si sono tramandate immutate nel tempo. La stessa selezione massale dei semi, si perpetua secondo le conoscenze popolari. Le forme di allevamento son quelle tradizionali di coltivazione del fagiolo rampicante. Si utilizzano per lo più tutori rappresentati da sostegni in legno di nocciolo o bambù, disposti a due, tre o quattro uniti all’apice tra loro (sistema a filare semplice, piramide e capannina), e talvolta si utilizzano reti in plastica tra i pali. La semina è praticata mediamente nella prima decade di maggio, utilizzando circa 5-6 semi per postarella e per ogni tutore utilizzato. I metodi di coltivazione attuati sono a basso impatto, rispettosi dell’ambiente. Nella concimazione è frequente l’utilizzo di letame. La raccolta del prodotto secco avviene solitamente a partite dal mese di settembre ed è esclusivamente manuale. La maturazione dei baccelli risulta scalare e necessita dunque di vari passaggi tra le piante. Lo sbaccellamento viene eseguito a mano o con semplici macchinari di antica tradizione. I fagioli sono tradizionalmente essiccati al sole, stesi in apposti teli in cotone, juta o canapa e poi conservati in sacchi di tela.

Tradizionalità

Nei primi anni sessanta del ’900 si avviarono politiche di sostegno a colture che avevano saputo sfamare e garantire anche un reddito ai contadini bellunesi; è il caso dei fagioli della famiglia dei “bonelli”, il fagiolo per eccellenza nella vallata feltrino bellunese dell’Alpago, indicati con il nome “mame d’Alpago”.

La prima delle fonti classiche per l’agricoltura, l’inchiesta promossa dall’agronomo Filippo Re, così presenta all’inizio dell’800 lo stato della coltura nel Feltrino: “I nostri fagioli bianchi sono molto ricercati, e danno un riflessibile commercio attivo al paese. Si traducono per Piave a Venezia, indi si imbarcano per Cadice, e Lisbona ecc”. La particolare vocazione del territorio alla produzione di fagioli era sottolineata nella relazione della Camera di commercio del 1834, nella quale si precisava che tutti e cinque i comuni dell’Alpago erano deficitari in quanto a frumento e a granoturco, che importavano dal Trevigiano, ma risultavano attivi per la produzione di fagioli e per gli animali, “unici articoli che portano un vantaggio” in quanto venivano esportati. Le “mame d’Alpago” sono molto conosciute ed apprezzate per il loro sapore delicato e raffinato, l’elevata e spiccata digeribilità e l’ottima attitudine ad essere utilizzate in deliziose creme di fagioli.

Territorio interessato alla produzione Provincia di Belluno, in particolare l’area compresa nel territorio della Comunità Montana dell’Alpago e precisamente i comuni di Puos d’Alpago, Farra d’Alpago, Pieve d’Alpago, Chies d’Alpago, e Tambre d’Alpago

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