Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Sardegna
Capperi e capperoni di Selargius – Tappara, tapparono.
Nome scientifico: famiglia umbrelliferae gen. Capparis sp. spinosa. Pianta arbustiva suffrutticosa perenne con tronco legnoso che raggiunge un’altezza di 1,5 metri in esemplari di 70/80 anni. Rami basali annuali assurgenti, lignificati alla base, di colore violaceo. Foglie verdi caducifoglie, con picciolo da 0.5 a 3 cm., di forma tonda e margine liscio, abbozzo di spine ascellari, boccioli di colore verde isolati nelle ascelle fogliari, di forma piramidale schiacciata con dimensioni da 0.5 a1.4 cm.
Il fiore, profumato e appariscente, si compone di quattro sepali carenati, quattro petali oblanceolati bianchi e circa 96 stami filamentosi con sfumature violacee. La fioritura è durevole, inizia da maggio e termina a settembre. I fiori in bocciolo sono i capperi; il frutto è una bacca monoculare (capperone), di colore verde e deiscente a maturità. I capperi vengono venduti sfusi o confezionati in contenitori in vetro o plastica sott’aceto o sotto sale.
La pianta viene potata in pieno inverno accorciando i rami annuali all’altezza di 1 cm. Il terreno subisce le lavorazioni ordinarie effettuate per le piante da frutto. La raccolta dei capperi avviene in modo scalare, inizia l’ultima settimana di maggio e si conclude nella prima decade di settembre. I capperoni vengono raccolti ancora allo stadio immaturo durante l’ultima fase di raccolta dei capperi. Le operazioni di raccolta sono effettuate manualmente, come da tradizione. L’insieme raccolto viene ripulito da foglie, terra o corpi estranei e suddiviso fra capperi e capperoni. Infine si procede alla riduzione del picciolo, se troppo lungo. Il raccolto viene poi posto a maturazione in recipienti per alimenti con le seguenti modalità: aceto di vino, nella proporzione di 1 kg/ 1 l. sale marino nella misura di 1 kg/ 1 l.
Il territorio interessato alla produzione è di natura alcalina, tale caratteristica è dovuta alla sottostante presenza della matrice rocciosa di tipo calcareo. Sono state effettuate analisi in agro selargino e le rilevazioni identificano terreni con un ph 7,5 – 8,5 con una elevata percentuale di calcare attivo, ideale per la definizione delle caratteristiche organolettiche del prodotto.
Tradizionalità
La coltivazione intensiva della pianta del cappero nella zona di Selargius era nota fin dai primi del 1800, aveva uno scopo prevalentemente terapeutico. I medici empirici, infatti, utilizzavano le scorze della radice della pianta per preparare dei decotti atti a curare le varici femminili. A metà dell’ottocento, la famiglia selargina di Domenico Dentoni, allora sindaco, attuò uno sviluppo intensivo della coltivazione dei capperi, sia per l’utilizzo fitoterapeutico che per uso alimentare, tale da creare un mercato locale di produttori e commercianti. In annate povere di raccolto (uva, grano e olive), erano i produttori e i commercianti di capperi a tenere attivo il mercato selargino.
Tradizionalmente acquistati in grandi quantità dalle donne venivano disposti nelle ceste dette “is corbis” e portate sulla testa nei mercati di Cagliari. Nel territorio selargino è assai diffusa la presenza di piante di cappero, alcune delle quali hanno oltre 70 anni di età. Questo tipo di coltivazione intensiva ebbe un grave declino, riconducibile agli anni ’70 e ’80, dove il mercato impose i capperi nordafricani a prezzi concorrenziali. E’ solo su impulso dell’iniziativa privata che ormai da diversi anni è ripresa la coltivazione e la raccolta dei capperi, utilizzando le pratiche di coltivazione del passato, che peraltro non prevedono l’impiego di fitofarmaci, e cosippure l’utilizzo delle antiche metodiche di trasformazione del prodotto (“Selargius, l’antica Kellargius”, Gino Camboni).
Territorio di produzione: Selargius e comuni limitrofi.