Fagiolo bonèl di Fonzaso PAT Veneto

L’agronomo Filippo Re, così presenta all’inizio del 1800 lo stato della coltura nel Feltrino: “I nostri fagioli bianchi sono molto ricercati, e danno un rifl essibile commercio attivo al paese. Si traducono per Piave a Venezia, indi si imbarcano per Cadice, e Lisbona ecc”. Nell’elenco del commercio della Provincia del 1833, i fagioli figurano come genere d’esportazione e nel 1880, parlando dei fagioli, Riccardo Volpe, segretario della Camera di commercio ed Arti di Belluno, li definisce una “Importante merce di esportazione”. Quest’ultimo richiama genericamente la loro estrema varietà e afferma che vi è una certa regressione delle varietà bianche, che risulterebbero meno resistenti al clima della provincia.” Il “fagiolo bonèl di Fonzaso” è rimasto con il suo antico nome, anzi si è legato indissolubilmente al suo paese, tanto da essere indicato con il nome dialettale di “bonèl de Fondaso“ ed essere, agli inizi del 1900 e a cavallo tra i due conflitti mondiali, il fagiolo più coltivato nel territorio fonzasino.

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Fagiolino meraviglia di Venezia PAT Veneto

Il “fagiolino meraviglia di Venezia” nel Cavallino e in tutte le zone orticole della laguna ha una storia antica e consolidata al punto che il termine “Venezia” è entrato nella definizione comune della varietà. Nell’Archivio di Stato di Venezia si trovano gli atti del catasto austriaco del 1826, relativi alla classificazione dei terreni agricoli nel territorio di Cavallino – Treporti, nei quali è scritto ”Li prodotti principali del territorio sono le uve, frutti, legumi freschi, […]”. Nel manuale “Orticoltura Pratica” di Antonio Turchi (prima edizione settembre 1959), tra le varietà di fagiolino rampicante “mangiatutto” a baccello giallo è riportata la “Meraviglia di Venezia”, così descritta: “Baccello molto largo, schiacciato, di colore giallo chiaro, tenerissimo, senza filo; seme nero”.

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Aliense, Antonio Vassilacchi detto

Antonio Vassilacchi, conosciuto come “L’Aliense,” ha lasciato un’importante eredità nell’ambito della pittura veneziana, con opere che ancora oggi sono apprezzate per la loro bellezza e complessità. La sua carriera è un esempio di come la tradizione artistica veneziana si sia evoluta e arricchita attraverso l’influenza di artisti provenienti da diverse culture e regioni.o a essere studiate per il loro contributo alla diffusione del pensiero scientifico e filosofico in Europa.

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Durona del Chiampo PAT Veneto

Nel territorio del Chiampo la coltivazione del ciliegio risale all’epoca medievale e la “durona” è una varietà di ciliegie presente da molto tempo nella cerasicoltura locale. La coltivazione del ciliegio era originariamente attuata soprattutto per il consumo locale ma nel tempo è andata specializzandosi una produzione di qualità, che ha visto espandersi sia la produzione che il mercato per questo gustoso frutto. Da oltre quarant’anni a Chiampo, nel mese di giugno, si svolge la “Mostra delle Ciliegie”, una manifestazione rinomata che attrae l’attenzione di numerosissimi visitatori.

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Culàti di Valdagno PAT Veneto

La produzione di “culàti” risale ad oltre un secolo, ma è una tradizione che sta scomparendo. L’economicità del procedimento, l’essicazione all’aria e al sole, ha avuto il suo peso in periodi passati di grande povertà ma oggigiorno è portata avanti solo da pochi anziani attaccati più alla tradizione che ad una effettiva necessità. Questa produzione riguarda un’area in cui la cultura dell’utilizzo delle rape si esprime anche in altre ricette originali e prese vita per sfruttare i principi semplicissimi dell’essiccazione al fine di conservare le carnose radici delle rape bianche (altrimenti messe in cantina o nei sottoscala in cassoni con terra). Preparare le “culàte” secche era un modo in più per garantirsi scorte di verdure per la stagione difficile, creando un prodotto base per la cucina locale, come i “culàti spaelà”: le fette essiccate vanno lasciate in ammollo per una notte e successivamente vengono passate in un soffritto e completano la loro cottura con del latte.

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Cren PAT Veneto

Il “cren” è un prodotto che tradizionalmente fa parte della cucina padovana, legata al consumo che i contadini facevano di tutte le erbe, gli ortaggi e, nello specifi co, delle radici commestibili. Creato per accompagnare i piatti di carne, il “cren” era utilizzato perché di sapore acido ed in grado quindi di coprire, o camuffare, anche i gusti talvolta poco gradevoli che la carne assumeva a causa delle precarie condizioni di conservazione.

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Cràuti delle Breganze PAT Veneto

L’uso dei crauti fu introdotto nel vicentino durante la dominazione asburgica. Osteggiati all’inizio, trovarono successivamente vari abbinamenti con alcuni salumi locali. In particolare, la produzione di crauti ha per lungo tempo riguardato paesi e contrade la cui altitudine rendeva incerto l’approvvigionamento di verdure durante l’inverno. I crauti costituivano scorte per la stagione fredda da consumarsi tal quale o come base per preparazioni estremamente saporite, un particolare si affiancano a carni di maiale e ai lessi. Ci sono ancora delle famiglie che continuano la tradizionale produzione (ma utilizzando per la fermentazione dei vasi di vetro). I crauti prodotti artigianalmente conservano più facilmente il sapore antico in quanto non viene interrotto il processo di fermentazione, come invece prevede l’industria, che effettua la pastorizzazione.

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Craut verde agre PAT Veneto

Il cavolo cappuccio è originario dell’Europa ma i Paesi maggiori produttori al mondo sono la Cina, il Giappone e l’India. In Europa è diffusamente coltivato in Germania dove è utilizzato sia dal mercato fresco che dall’industria di trasformazione per la produzione dei crauti. Nel Veneto la coltivazione e la successiva preparazione di questo ortaggio è tipica del bellunese. A questo proposito le testimonianze più antiche sono le note del Canonico Giovanbattista Barpo che, nel suo trattato intitolato “Le delizie e i frutti dell’Agricoltura e della Villa” (1632), a proposito dei cavoli cappucci (crauti), così dice: «Alcuni li ripongono in cantina con della terra al piede, e servono per loro uso quotidiano; altri li tagliano minutissimi con un coltello ben affilato e li calcano in un mastello ben pulito, alti tre dita, con una mano di sale; poi mettono un’altra mano di cappucci e un’altra di sale e così via, fin che il contenitore è ben pieno; poi li coprono con una tavola zavorrata con qualche peso di sopra e, d’inverno, se li mangiano in minestra con del buon brodo di vaccina o di porco. Questo cibo delicatissimo, che chiamano Craut, è abituale particolarmente nel Friuli, fatto però venire, per la maggior parte, dalla Germania».

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Composte delle valli dell’Agno e del Chiampo PAT Veneto

La produzione di “conpòste” è molto antica e sembra risalire ad oltre un secolo fa. Essa riguarda in particolare, nell’area di produzione, paesi e contrade la cui altitudine rendeva incerto l’approvvigionamento di verdure durante l’inverno. Le “conpòste” costituivano un tentativo in più di garantirsi scorte di verze per la stagione dura e permettevano di preparare piatti estremamente saporiti nelle contrade dei monti attorno alla valle dell’Agno, come ad esempio le “conpòste in tècia con sàta de màscio”.

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