Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Sardegna
Il prodotto si presenta con una consistenza simile al miele, colore bruno scuro prossimo al nero e gusto dolce, caramellato e con una persistenza gradevolmente amara.
SINONIMI
Saba ‘e mele, acqua ‘e meli/mebi – abbattu
DESCRIZIONE DELLE METODICHE DI LAVORAZIONE, CONSERVAZIONE E STAGIONATURA
La metodica tradizionale di estrazione dell’abbamele consiste nell’accantonare favi contenenti almeno il 20-30% di miele e successivamente immergerli in acqua calda, sui 50° circa, e attendere che l’acqua sciolga tutto il miele ancora contenuto.
Appena l’acqua si intiepidisce, si procede a sciogliere manualmente i grumi di cera e polline e a spremere la cera fino a ridurla in bocce e conservarla. Il composto ottenuto sarà filtrato almeno due volte attraverso panni di lino leggeri e sistemato in una idonea caldaia per la bollitura di raffinazione che dura diverse ore.
Durante la raffinazione si aggiunge una piccola quantità di bucce di arancia finemente tagliate e si procede all’estrazione delle impurità che affiorano, mescolando costantemente il prodotto affinché non si attacchi sul fondo fino a quando acquista la consistenza di uno sciroppo e quindi del miele;
la caldaia viene posta in un locale appartato e lasciata intiepidire per procedere poi all’invasettamento del composto.
Attualmente i metodi di estrazione dell’abbamele sono due: il primo prevede l’utilizzo esclusivo di miele, acqua e aromi (bucce di arancia), mentre il secondo utilizza miele da sceratrice (miele per l’industria), ottenuto dalla fusione della cera impregnata di miele.
Per entrambi i metodi il processo successivo è sempre la bollitura lenta a temperatura costante con la eliminazione dei residui affioranti. Il prodotto ottenuto ha una consistenza simile al miele. Terminata la cottura si procede alla filtrazione del prodotto..
TRADIZIONALITÀ
L’abbamele è fra i prodotti gastronomici più antichi della cultura rurale isolana. Come derivato del miele è strettamente legato alle modalità di conduzione degli alveari fin da epoche remote.
L’utilizzazione del “casiddu” o bugno villico in sughero, è databile al periodo punico (500 a.c.), ma certamente già il popolo nuragico raccoglieva i favi di miele da alveari selvatici costruiti nelle rocce, oppure all’interno delle “tuvas” (tronchi cavi di alberi).
Quando quel profumo intenso e speziato, che ricorda il caramello, saliva su dal piano interrato in cui si trova il laboratorio di miele e lentamente si diffondeva in tutta la strada, ne ero certa: papà sta facendo sa saba, mi dicevo. La sapa di miele o abbamele è un prodotto apistico derivato dal miele dalla caratteristica consistenza vischiosa di color ebano con sfumature ambra e mogano, molto diffuso in Sardegna.
Frutto del saper fare dei maestri apicoltori sardi, l’abbamele veniva realizzata utilizzando la cera d’api da cui era stato precedentemente estratto il miele con la tecnica della spremitura.
Questa cera, che ancora conteneva miele e che era ricchissima di polline, veniva fatta sciogliere con l’acqua calda all’interno di un calderone di rame. Dopo aver rimosso la cera, la soluzione di acqua e miele veniva portata a ebollizione, schiumata frequentemente, aromatizzata con buccia d’arancia o di mela cotogna, e lasciata restringere per qualche ora fino a ottenere la consistenza desiderata.
Questo prodotto è fortemente legato alla forma di apicoltura di tipo tradizionale che in Sardegna prevedeva l’utilizzo dei casiddus o bugni rustici di sughero, ancora molto diffusi fino all’incirca agli inizi degli anni ’80.
Biancospino PAT
Il Biancospino è un formaggio da tavola prodotto da latte intero termizzato o pastorizzato di capre di razza sarda allevate in Sardegna che rispecchia la tradizione delle zone a maggiore vocazione caprina quali Sarrabus-Gerrei, Linas, Ogliastra e provincia di Nuoro. Il prodotto a pasta molle e cruda può essere consumato sia fresco (entro le prime…
Cordula PAT Sardegna
Interiora di agnellone, pecora o capra, confezionate in modo tale che il prodotto finito appare come una treccia o corda intrecciata. Come variante possono essere utilizzate esclusivamente le interiora di agnellini e capretti che non hanno ancora brucato.
Trizza PAT Sardegna
Alcuni cenni storici: un autorevole studioso sardo Felice Cherchi Paba, il quale visse per lungo tempo nel Montiferru, nelle su opera “Evoluzione Storica della Attività Industriale Agricola Caccia e Pesca in Sardegna – Vol. II” sposa la tesi che vuole l’origine etimologica della parola Trizza risalente al Greco Thiriccas del periodo Sardo-Bizantino (476-1054): “detti formaggi…