Storia
L’unica certezza che abbiamo sull’Aglianico è che si tratta di una varietà molto antica, come testimonia anche il fatto che la sua famiglia nel corso dei secoli si è suddivisa in un gran numero di biotipi e sottovarietà: se non si può ancora parlare di vitigno-popolazione, non ne siamo lontani.
Tutto ciò ha creato non poche confusioni, con il proliferare per ogni biotipo di Aglianico di sinonimi corretti ed errati. Probabilmente sotto il grande cappello delle storiche “viti aminee” erano inglobate numerose varietà diverse. Già Catone e Strabone comprendono almeno tre varietà distinte, poi Plinio e Columella le suddividono ulteriormente in cinque, sei tipi (Aminea, A. maior, A. minor, A. gemina maior, A. gemina minor, A. lanata).
La prima domanda dunque, cui non si può dare una risposta certa, è se l’Aglianico odierno sia uno dei vitigni che hanno reso famosi nell’antichità i vini della Campania felix, in particolare quelli dell’ Ager falernus (Falernum, Gauranum, Faustianum e Caecubum), e quindi se in qualche modo esso sia imparentato con le amineae.
Anche se Plinio le considera uve autoctone per la lunga permanenza e la perfetta acclimatizzazione al terroir del litorale e dell’entreterra della Campania, è certo che esse sono state importate da coloni greci provenienti dalla Tessaglia, forse dagli Eubei, che nell’VIII secolo a.C. fondarono l’Empòrion di Pithekoussai (Ischia) e quello di Kumei (Cuma).
Ma anche se accettiamo l’ipotesi della provenienza etrusca, alle Amineae non contestiamo la lontana origine greca, giacché esse sono riconducibili ad un popolo pelasgico, i Tessali Aminei. Successivamente, in riferimento ai vini campani, si è sempre parlato di Falerno; solo dalla metà del Cinquecento appare la dicitura Aglianico per vini prodotti sul Monte Somma.
Sulla base di questa continuità storica e dell’analisi degli scritti di Columella, che descrive vitigni amaturazione tardiva, oltre che per motivi linguistici – in epoca Aragonese (tra la fine del XV e linizio del XVI secolo) si ha il passaggio dal nome Hellenico ad Aglianico, e cio pare plausibile se si considera che la doppia “ll” in spagnolo si pronuncia in maniera simili al “gli” italiano -, il Carlucci afferma all’inizio del Novecento che l’Aglianico è l’uva dei mitici vini dell’antichità.
Ma non si può comunque dire che i numerosi ampelografi del XIX secolo siano riusciti a fugare i dubbi cui un vitigno così variabile negli aspetti fenologici e così ricco di sinonimi poteva dare origine. Più recentemente, Murolo (1985) ha avanzato l’ipotesi dell’assonanza esistente tra Gauranico (antico vino dell’Ager falernus) e Glianico (denominazione dialettale di Aglianico), mentre Guadagno (1997) respinge l’origine greca dell’Aglianico, argomentando che la sua elevata acidità è tipica delle uve selvatiche. È considerata poco attendibile l’ipotesi che vuole il termine Aglianico proveniente dal latino juliatico (ovvero “uva che matura a luglio”), perchè il vitigno ha una maturazione tardiva e non precoce.
Diffusione
I numerosi sinonimi – spesso dovuti alla distorsione dei nomi Hellenico e Aglianico o all’aggiunta di toponimi – che nel tempo gli sono stati attribuiti, dimostrano l’ampia diffusione passata e presente dell’uva Aglianico. Prima della fillossera, alla fine del XIX secolo, si hanno testimonianze della presenza di questo vitigno in tutto il Sud, in particolare in Campania, Basilicata, Puglia, e Molise. Oggi la sua presenza in Molise e in Puglia si è molto ridimensionata, limitandosi perlopiù alle zone di confine con la Campania e la Basilicata.
Invece il suo legame con l’Irpinia per il biotipo Taurasi (valle del Calore, valli del Sabato e dell’Ofanto), con il Benevento per biotipo Amaro, con il litorale casertano per il Galluccio, con il Cilento e il Vulture si è rinforzato dopo la seconda guerra mondiale. Ora le sue DOC e DOCG di riferimento sono:
- Aglianico del Volture – Potenza
- Taurasi – Avellino
- Falerno del Massico rosso – Caserta
- Galluccio rosso – Caserta
- Cilento Aglianico e rosso – Salerno
- Aglianico del Taburno – Benevento
- Guardiolo Aglianico – Benevento
- Sannio Aglianico – Benevento
- Solopaca Aglianico – Benevento
- Sant’Agata de’ Goti Aglianico – Benevento
- Molise Aglianico – Campobasso e Isernia
- Castel del Monte Aglianico – Bari
Inoltre entra in assemblaggi con altre uve in un gran numero di denominazioni.
È stato iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di vite nel 1970
La pianta
A partire dagli anni ’90 del Novecento sono state condotte lunghe indagini ampelografiche, ampelometriche, chimiche, biochimiche e molecolari su biotipi di Aglianico e AGLIANICONE reperiti in Campania e in Basilicata. I risultati hanno dimostrato che Aglianico campano e Aglianico del Vulture sono, in realtà un unico vitigno, con differenze di vario ordine ascrivibili a una normale viriabilità intravarietale, mentre l’AGLIANICONE si è rivelato un vitigno estraneo ai due precedenti. Gli ultimi studi di Boselli e Monaco hanno messo in evidenza i sei biotipi seguenti appartenenti a tre gruppi fondamentali:
- Aglianico Amaro
- Aglianico di Taurasi
- Aglianico del Vulture
- Aglianico di Napoli 1
- Aglianico di Napoli 2
- Aglianico di Galluccio
L’Aglianico ha un grappolo cilindrico o conico piuttosto piccolo (da 150 a 250 grammi) e compatto, con eventuale presenza di una o, più raramente , due ali. L’acino è piccolo, di forma sferica, con buccia spessa, a volte persino ciriacea, pruinosa e di colore blu-nero. Matura tardivamente, tra la metà di ottobre e la prima decade di novembre
Il vino
In condizioni ottimali le uve raggiungono un elevato tenore zuccherino (22-23%) e conservano integra una forte acidità tartarica, che risulta ancora più elevata nel biotipo Aglianico Amaro o Beneventano; possiedono, inoltre, un’importante struttura tannica. Il vino che se ne ricava è adatto al lungo invecchiamento e beneficia dell’affinamento in legno, a stemperare il carattere austero dovuto alla componente acido-tannica. L’utilizzo della barrique, oggi diffuso in Campania e Basilicata, riesce a domarne la foga, rendendolo più morbido e vellutato in tempi brevi.
Molise
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