Borghi d’Italia
La città di Alatri sorge su una collina bigemina nel cuore della Ciociaria, alle pendici dei Monti Ernici che costituiscono il confine naturale del Lazio con l’ Abruzzo.Il vasto territorio alatrense, pianeggiante a sud e montuoso o collinoso per la parte restante, comprende anche l’Isola Amministrativa di Pratelle, compresa tra il comune di Collepardo e quello abruzzese di Morino, dove si registra l’altitudine massima di 2.064 m. slm (monte Passeggio); da qui degrada fino al minimo di 175 m della piana di Tecchiena, comprendendo nella sua estensione gran parte del bacino del fiume Cosa, affluente del Sacco che scorre ad est del centro cittadino in direzione nord-sud.Secondo la Carta Geologica d’Italia redatta dal Servizio Geologico d’Italia il territorio alatrense è composto in gran parte da suoli di “calcari granulari bianco-giallastri con grosse rudiste caratteristiche del Senoniano”:inoltre, alcune zone sono formate da calcari giallastri forse appartenenti al Miocene Inferiore ed arenarie argillose o calcarifere e talora gessifere.
Le aree più basse del territorio, come la valle del torrente Cavariccio, sono formate da tufi vulcanici (pozzolana e peperino). Parallelamente al corso del torrente Cavariccio passa una frattura visibile nel terreno.
Il centro storico di Alatri si sviluppa all’interno della cinta muraria e ricalca essenzialmente l’assetto urbanistico di epoca romana, sviluppatosi attorno all’acropoli. Nell’abitato si possono distinguere due aree:la prima , posta a nord dell’acropoli, si caratterizza per uno sviluppo regolare, con strade per lo più diritte e sufficientemente ampie, reso possibile dalla pendenza non eccessiva del colle su questo lato; è un’area da sempre destinata a funzioni monumentali e commerciali: qui, in epoca romana, era collocato il Foro, nello stesso luogo occupato dalla moderna piazza Santa Maria Maggiore che, contornata dai principali monumenti cittadini, mantiene la funzione di nodo urbanistico in cui si incrociano le principali vie del centro.la seconda (rioni dal VII al IX), detta Piagge, si sviluppa sul versante meridionale del colle, più ripido: da tale conformazione deriva l’impianto urbanistico dall’area, con stretti vicoli in buona parte accessibili ai soli pedoni, e la sua funzione, di tipo quasi esclusivamente residenziale; il che ne fa una delle zone più caratteristiche del centro, apparendo quasi immutata dal medioevo.L’abitato, in seguito allo sviluppo economico e sociale, si è esteso al di là delle mura lungo alcune direttrici predominanti: verso la vallata settentrionale (Bitta, Colleprata, XII Marie) e nella zona collinosa occidentale (Civette, San Francesco di Fuori). Inoltre, separatamente dal centro urbano, hanno assunto una significativa estensione le frazioni di Tecchiena, Chiappitto, Monte San Marino, La Fiura, Mole Bisleti.
L’ACROPOLI
L’ Acropoli di Alatri – detta Civita – è posta nel cuore del centro storico, sulla cima del colle.È di notevole interesse per le sue mura in opera poligonale, costituite da diversi strati di megaliti polimorfici che spesso raggiungono la lunghezza di 3 metri, provenienti dalla stessa collina e fatti combaciare perfettamente ad incastro senza l’ausilio di calce o cementi.
Il perimetro delle mura è di 2 km. L’acropoli, oltre alla rampa d’accesso, presenta due porte: la Porta Maggiore e la Porta Minore o dei Falli. La Porta Maggiore è posizionata nel tratto sudorientale dell’Acropoli, all’opposto della porta dei falli posizionata verso nord-ovest.Su di una roccia affiorante, nella parte più alta dell’Acropoli, è stato rinvenuto nel 2008, un graffito rappresentante un templum (triplice cinta), perfettamente orientato astronomicamente.
BASILICA DI SAN PAOLO APOSTOLO – CHIESA CONCATTEDRALE
Sulla sommità dell’acropoli, sul podio di un antico ierone (altare ernico) e sui resti di un tempio dedicato a Saturno sorgono rispettivamente la Basilica di San Paolo apostolo e l’attiguo Vescovado, risalenti al periodo alto medioevale: ne abbiamo notizie fin dal 930.A seguito di un importante intervento di ristrutturazione effettuato nel corso del XVIII secolo, entrambi gli edifici si presentano al visitatore moderno con linee e forme settecentesche. La facciata della cattedrale, in pietra e laterizio, è stata realizzata assieme al campanile da Jacopo Subleyras tra il 1790 e il 1808; il modello è quello delle maggiori basiliche romane, con la presenza di un unico ordine di paraste a binati.
Nel 1884 furono aggiunti l’attico e il timpano. La cattedrale venne dichiarata basilica minore da papa Pio IX nella sua prima visita in città nel 1850, ma altra fonte sostiene che la dignità ufficiale di basilica minore le fu conferita da papa Pio XII nel settembre del 1950. L’interno è a croce latina, a tre navate e con un lungo transetto sopraelevato in corrispondenza del presbiterio.Tra il materiale artistico di pregio custodito nel luogo sacro vanno annoverati i reperti di un pergamo cosmatesco risalente al 1222.
La chiesa conserva parte delle reliquie del patrono della città, San Sisto I Papa; esse si trovano all’interno di un’antichissima urna di piombo, sul cui coperchio è incisa la scritta: «HIC RECONDITUM EST CORPUS XYSTI PP. PRIMI ET MARTIRIS».
In fondo alla navata destra, si conserva inoltre il corpo di S.Alessandro martire, estratto dal cimitero di S. Callisto, donato nel 1640 alla chiesa di Alatri.
CHIESA COLLEGIATA SANTA MARIA MAGGIORE
La chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore risale al V secolo: fu edificata sulle rovine di un tempio pagano. L’aspetto romanico-gotico si deve principalmente alle profonde modificazioni operate nel XIII secolo.Dell’esterno va segnalato il grande rosone realizzato agli inizi del XIV secolo. Nella chiesa sono conservate pregevoli opere quali il gruppo ligneo della Madonna di Costantinopoli (XIII secolo), il Trittico del Redentore di Antonio da Alatri, la Vergine con il Bambino e san Salvatore (prima metà del XV secolo) e il fonte battesimale del XIII secolo.
CHIESA DI SAN FRANCESCO
Costruita tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del XIV, si caratterizza per una struttura compatta, in stile gotico; la facciata presenta un portale archiacuto e un rosone a colonnine radiali. L’interno, in un’unica navata, venne ristrutturato in epoca barocca e conserva una nota Deposizione di scuola napoletana del Seicento, e un mantello risalente al XIII secolo attribuito a S. Francesco D’Assisi.
CHIESA DI S. SILVESTRO
Ubicata nell’antica Grancia delle Piagge (dial. Piaje), venne costruita tra il X e l’XI secolo in un’unica navata, alla quale nel 1331 vennero aggiunte la navata sinistra e la sagrestia. Mantiene le linee romaniche: l’austera semplicità della struttura esterna, la sobrietà dell’interno ed il soffitto a capriate lignee offrono al visitatore suggestioni dal sapore antico.Notevole, per l’intensità di espressione e per la sua antica fattura, è l’affresco di San Silvestro con il drago del XII secolo collocato sul lato destro dell’abside. Sul lato opposto immagini votive, rappresentazioni del Nuovo Testamento e successioni di santi, databili tra il XIII ed il XV secolo. Dall’interno della Chiesa si può accedere alla cripta del IX secolo con volte a crociera e un affresco di Santo Benedicente, di fattura bizantineggiante.
CHIESA DEGLI SCOLOPI
La Chiesa degli Scolopi fu realizzata tra il 1734 ed il 1745 su progetto del padre calasanziano Benedetto Margariti da Manduria ed è dedicata allo Sposalizio della Vergine.La facciata, in travertino, è concepita come un organismo architettonico a sé stante, e reinterpreta motivi borrominiani; si dispone su due registri orizzontali attraverso un doppio ordine di lesene tuscaniche che inquadrano, al di sotto di un ampio timpano mistilineo, l’unico portale di ingresso con la sovrastante finestra centrale. La grande compostezza del prospetto si conclude con la sequenza verticale delle finestre incorniciate da larghe membrature aggettanti nelle sezioni laterali; queste, secondo l’originario progetto, non portato a compimento, dovevano terminare con due campanili gemelli.L’interno, a croce greca , con terminazioni absidate, è dominato dalla tensione ascensionale delle lesene corinzie, raccordate fra loro da una trabeazione ininterrotta, su cui si impostano le grandi arcate a tutto sesto che sorreggono la cupola. Molto curata la monocroma decorazione a stucco delle superfici murarie, sulle quali risaltano per contrasto le grandi tele settecentesche, poste ad ornamento dei tre altari della chiesa: sull’altare maggiore troviamo lo Sposalizio della Vergine, dipinto nel 1731 da Carmine Spinetti, mentre sui due laterali trovano posto una Crocifissione del pittore veneto Benedetto Mora e un’opera non firmata raffigurante San Giuseppe Calasanzio, realizzata nella seconda metà del Settecento per celebrare il padre fondatore dell’Ordine degli Scolopi.La chiesa, chiusa al culto, ospita esposizioni ed eventi di vario genere.
Il Sistema Museale Urbano
IL MUSEO CIVICO
Il Museo civico è stato fondato nel 1932 presso il palazzo Conti Gentili, allo scopo di riunire ed organizzare le numerose epigrafi di epoca romana. Nel 1996, anno in cui il Museo è stato aperto stabilmente, la collezione è stata trasferita nell’attuale sede, il duecentesco Palazzo Gottifredo.
Questo straordinario edificio, detto anche Case Grandi, è stato costruito intorno alla metà del XIII secolo come residenza del cardinale Gottifredo Raynaldi, ricco feudatario alatrense e dotto diplomatico pontificio, quale sua residenza durante gli anni della lotta anti-imperiale. Il Palazzo consta di due corpi distinti ma uniti architettonicamente: una casa-torre ed un vano centrale, i cui prospetti, convergenti a spigolo, sembrano seguire l’attuale andamento stradale di Corso Vittorio Emanuele e via Cavour.
Il Palazzo è collocato nel punto d’incontro di quelli che, nel periodo della sua edificazione, erano i tre assi viari principali di Alatri: il primo, da nord, proviene dalla porta della cinta muraria cittadina intitolata a San Pietro; il secondo, da ovest, vi arriva dall’antica via San Francesco che passa per l’omonima porta; il terzo vi converge a partire da Porta San Nicola, a est. La sua parte più antica, che corrisponde alla torre prospiciente l’incrocio delle tre vie (noto ad Alatri come “trivio”), ospita il museo civico.
All’interno della struttura museale, accanto alla Sezione demo-antropologica, in cui è esposta una collezione privata (fondo Gambardella) di strumenti e attrezzature della tradizione agricola e artigianale locale, appare di particolare interesse la parte archeologica, costituita da varie Sezioni. La Sezione dedicata ai cosiddetti “Viaggiatori di scoperta”, collocata al piano terra e corredata da pannelli e video, descrive l’attività di quegli eruditi che, a partire dal XIX secolo, si interessarono alle straordinarie cinte murarie in opera poligonale che caratterizzano buona parte del territorio del Lazio Meridionale e, quindi, anche della Città di Alatri.
All’antica Aletrium sono dedicate due Sezioni, archeologica ed epigrafica, che documentano la storia della città in epoca romana; del saccheggio di cui è oggetto il patrimonio culturale raccontano le tre sale del Museo dedicate ai recuperi archeologici del Gruppo tutela della Guardia di Finanza, dove sono esposti vasi corinzi, attici, etrusco-laziali, provenienti dalle ricche necropoli etrusche ed infine le nuove Sale dedicate ai reperti archeologici del Tempietto Etrusco Italico di Alatri.
Dal 2014 è stato istituito il Sitema Museale Urbano di cui fanno parte il Museo Civico, il Chiostro di San Francesco, con il Cristo nel Labirinto e l’Acropoli.
La sezione Demoantropologica
L’ACROPOLI
L’ Acropoli di Alatri – detta Civita – è posta nel cuore del centro storico, sulla cima del colle.È di notevole interesse per le sue mura in opera poligonale, costituite da diversi strati di megaliti polimorfici che spesso raggiungono la lunghezza di 3 metri, provenienti dalla stessa collina e fatti combaciare perfettamente ad incastro senza l’ausilio di calce o cementi.
Il perimetro delle mura è di 2 km. L’acropoli, oltre alla rampa d’accesso, presenta due porte: la Porta Maggiore e la Porta Minore o dei Falli. La Porta Maggiore è posizionata nel tratto sudorientale dell’Acropoli, all’opposto della porta dei falli posizionata verso nord-ovest.Su di una roccia affiorante, nella parte più alta dell’Acropoli, è stato rinvenuto nel 2008, un graffito rappresentante un templum (triplice cinta), perfettamente orientato astronomicamente.
Le mura sono costituite da diversi strati di megaliti polimorfi, provenienti dalla stessa collina e fatti combaciare perfettamente ad incastro senza l’ausilio di calce o cementi; con il loro perimetro descrivono un’area trapezoidale di 19.000 mq. Raggiungono la massima elevazione nel Pizzale, cioè l’angolo sud-orientale: rastremato verso l’alto, è costituito da quindici grandi blocchi sovrapposti; la pietra angolare di base presenta un bassorilievo raffigurante una figura alata che tuttavia è stato anche interpretato come un globo solare, probabile omaggio al Sole che sorge da questo lato.
La storicizzazione della costruzione delle mura è controversa, l’archeologo francese Louis Charles François Petit-Radel (1756-1836) pose la datazione della fondazione di Alatri prima della Seconda Colonia Pelasgica, risalente al 1539 a.C., mentre la scienza archeologica ha sostenuto l’origine ernica e la complessiva ristrutturazione in età romana, mentre alcuni studiosi le collocano al VI secolo AC, altri ben quattro secoli prima; l’archeologo Coarelli ha proposto una datazione al IV-III secolo AC. Per la fortificazione sono state supposte connessioni di tipo archeoastronomico, secondo l’ipotesi che il suo perimetro ripercorrerebbe quello disegnato nel cielo dalla costellazione dei Gemelli al solstizio d’estate, ma il particolare perimetro della cinta muraria dell’acropoli è più verosimilmente un adattamento alla naturale conformazione del colle.
La portata e l’ottima conservazione del recinto murario suscitarono grande ammirazione nello scrittore tedesco Gregorovius. L’area dell’Acropoli era stata restaurata nel 1843, soltanto pochi anni prima della visita dello scrittore: i cittadini di Alatri, in occasione della visita di papa Gregorio XVI lavorarono per dieci giorni consecutivi per ripulire le mura e costruire un accesso alla parte superiore della città antica, realizzando la strada che ne percorre il perimetro, che in onore del papa fu chiamata via Gregoriana.L’Acropoli presenta due porte d’ingresso. Le due porte hanno un’importante proprietà matematica: il rapporto altezza/base è coincidente, con buona approssimazione, alla sezione aurea.Nel medioevo l’Acropoli, perdendo in parte le sue funzioni di area sacra, venne fortificata e divenne parte del centro abitato, sorgendovi numerose abitazioni: al suo interno sono state rinvenute alcune rovine di tale insediamento, distrutto nel 1326 per ordine del rettore di Campagna e Marittima a seguito della cacciata di Francesco de Ceccano, che vi si era insediato occupandola.
La Porta Maggiore, sita sul lato meridionale delle mura, è alta 4,5 metri e larga 2,68 e presenta un architrave monolitico di sorprendenti dimensioni (4,0 x 5,13 x 1,3 m, peso stimato in 27 tonnellate), secondo in Europa soltanto alla Porta dei Leoni di Micene. Fu costruita contestualmente alle mura come accesso alla città. Era chiusa da un cancello o da travi, come testimoniano i fori ancora presenti nell’architrave, e immette in una galleria a dolmen lunga quasi 11 metri. La scalinata che conduce alla porta è parte dei rifacimenti ottocenteschi.
La Porta Minore o Porta dei Falli o anche Grotta del Seminario, collocata sul lato settentrionale è molto più piccola (m 2,12 x 1,16) ed immette in un angusto corridoio ascendente, perfettamente conservato, coperto con monoliti in progressivo aggetto: un sistema di copertura che trova riscontro solo nell’interno della piramide di Melfi.Il nome di Porta dei Falli è legato alle incisioni che sovrastano la porta stessa: tre falli, ormai deteriorati dal tempo, che stanno a simboleggiare la fertilità. Nell’antichità, infatti, si ritiene che tale passaggio sia servito per i riti pagani, e il simbolo, comune anche ai tempi degli antichi romani, era di buon augurio per chiunque percorresse la scalinata della porta senza mai fermarsi. In alto a sinistra è possibile notare alcune iscrizioni in lingua osca.
Nei pressi della Porta Maggiore si aprono nelle mura tre grandi nicchie rettangolari della profondità di 90 cm circa, dette anche “i santuari” la cui funzione rimane ancora oscura.
IL CRISTO NEL LABIRINTO
La chiesa di S. Francesco aveva annesso un contiguo convento, i cui ambienti sono adibiti a sala espositiva, e sono noti come il “Chiostro”. In un’angusta intercapedine dell’ex-convento si trova un affresco di notevole interesse raffigurante un Cristo Pantocratore al centro di un labirinto.La pittura è venuta alla luce grazie ad un ritrovamento casuale nel 1996, poco prima che l’ambiente del Chiostro, restaurato dall’amministrazione comunale di allora, riaprisse l’intero edificio al pubblico come luogo deputato ad attività culturali, rassegne di vario genere e convegni.
Il significato, l’origine e la datazione del dipinto sono tuttora oggetto di studi attenti e spesso contrastanti tra di loro, in parte dovuta all’eccezionalità della pittura che appare come un “unicum” nel panorama artistico locale e in parte al profondo degrado in cui versa l’opera e che rende difficile la lettura della stessa.
La comprensione di tale dipinto deve comunque partire dal contesto architettonico in cui il dipinto si trova e gli studi più recenti avvalorano l’ipotesi che esso campeggiasse nell’aula di una antica chiesa alatrense che è stata assorbita nella prima metà del XIII secolo dall’attuale chiesa di San Francesco con annesso convento, sorti dopo la visita del Santo di Assisi nella cittadina ernica.
Ciò si deduce dalle anomalie architettoniche e alle cesure riscontrabili su un lato del convento e non pertinenti all’impianto originario francescano. L’affresco raffigura un Cristo Pantocratore inquadrato in un labirinto formato da cerchi concentrici ad intervalli bianchi e neri, posto sopra una fascia decorata con una teoria di fiori a sei petali neri iscritti all’interno di cerchi. Il labirinto ha un diametro di 140 centimetri, mentre il centro misura 75 centimetri.Nel dipinto il Cristo ha un volto barbuto ed una folta capigliatura, il capo è circondato da un nimbo di 23 centimetri, indossa una tunica ed un mantello dorato. Con la mano sinistra, al cui dito anulare spicca un anello, è nell’atto di reggere un libro chiuso e posizionato all’altezza del cuore; la mano destra è distesa come tutto il braccio e stringe una seconda mano che fuoriesce dal labirinto.
La parete dell’affresco è separata da un secondo muro da un intradosso, dove sono raffigurati fiori, figure geometriche e una serie di iscrizioni ancora non completamente decifrate. La parete successiva presenta decorazioni geometriche alternate ad altre floreali.I primi studi hanno messo in evidenza come il labirinto di Alatri corrisponda esattamente all’analoga figura che si trova nel pavimento della Cattedrale di Notre-Dame a Chartres, in Francia.
Due studiosi in particolare hanno dato alle stampe altrettante pubblicazioni per chiarire alcuni aspetti dell’affresco, atteso che le ricerche continuano.
Giancarlo Pavat ha messo in relazione il labirinto di Alatri con il labirinto di Chartres e quelli di Lucca e Pontremoli, arrivando a sostenere che l’origine del dipinto sia legata alla presenza dei Templari nella città di Alatri, dato che questa si trovava lungo la Via Francigena del Sud, percorsa dai cavalieri e dai pellegrini i quali, una volta lasciata Roma, erano diretti ai porti d’imbarco del Sud Italia in direzione di Gerusalemme. Il labirinto rappresenterebbe un percorso spirituale che simula il cammino della vita lungo un “sentiero” che conduce alla Verità, ossia alla figura del Cristo; esiste una sola entrata al labirinto, posta all’estremità sinistra, ed una sola uscita, alla quale si perviene dopo aver attraversato, in maniera sinuosa ed armonica, tutti gli spazi labirintici.
Il dottor Gianfranco Manchìa ha ipotizzato come il sistema simbolico dei segni tracciati affondi le sue radici nella gnosi valentiniana del II secolo. Il labirinto e il Cristo sarebbero quindi la rappresentazione per immagini della camera nuziale gnostica, così come è raccontata e descritta dai vangeli apocrifi e dai testi gnostici. In questo luogo nascosto si sarebbe compiuta l’ultima parte del cammino gnostico, quello che conduce alla ricongiunzione con Dio e alla conoscenza del mistero che permette a Dio stesso di governare il mondo. Manchìa ha ugualmente collocato l’affresco in uno scenario storico legato alla presenza di una comunità templare ad Alatri, dissoltasi e parzialmente confluita nell’Ordine Francescano dopo il processo ai Cavalieri Templari intentato sotto il pontificato di Papa Clemente V.
Il Miracolo Eucaristico dell’Ostia Incarnata
LA STORIA
Ci troviamo nell’anno 1228, da 12 anni Innocenzo III, nel Concilio Lateranense IV, aveva affermato il Dogma della SS. Eucaristia usando, per la prima volta, il termine specifico e caratteristico della Transustanziazione, volendo intendere il modo della conversione (cambiamento di sostanza e non della specie) del pane e del vino, nel Corpo e nel Sangue del Signore. E questo contro anche l’eresia di Berengario ( filosofo e teologo di Tours, Francia) il quale negava quella transustanziazione; condannato in diversi Concili si ricredette e morì cristiano, ma ebbe molti seguaci che protrassero nel tempo eresia e lotte; e anche contro le insidie dei sofisti (raggiratori) delle dottrine sacre – cosa che accade anche oggi- e la pusillanimità di certi cattolici che si dedicavano e si sono sempre dedicati alla magia, compresa quella nera,. Col persistere e l’affacciarsi di mali dottrinali, cristiani incoscienti si lasciavano tentare a compiere abusi sulle Sacre Specie e far scempio delle cose sacre. Una prova è il Miracolo Eucaristico di Alatri.
In questo contesto si svolge la vicenda di Alatri. “Una ragazza, poco più che adolescente, addolorata per un amore non più corrisposto, si rivolse ad una fattucchiera, per riavere l’amato del suo cuore (scrive Padre Nasuti nel suo libro dedicato alla narrazione dei 17 miracoli Eucaristici avvenuti in Italia).
La maliarda, come soluzione, suggerì di procurarle un’ostia consacrata, con cui poter preparare un efficace filtro amoroso”.
“Vai – le disse – portami dalla tua chiesa un’ostia che sia consacrata ed io ti darò un filtro portentoso che riporterà il tuo ragazzo ai tuo cuore.
L’ingenua ragazza pur di riavere Soggetto del suo desiderio, finì per abboccare, tacitando sul momento il richiamo della flebile voce della coscienza.
— Ma è peccato! – disse la ragazza.— Taci! Sciocca! Vuoi riavere il tuo ragazzo? — Sì. — Ed allora, segui le mie istruzioni; domani recati nella tua chiesa, assisti alla celebrazione della messa. E poi al momento giusto accostati a ricevere la comunione e senza dare nell’occhio – mi raccomando – affrettati ad avvolgere l’ostia consacrata dal prete in un fazzoletto o in un panno di lino. Ora va e poi quando avrai l’ostia, ritorna da me”.
Tutta trafelata, con il cuore gonfio la ragazza il giorno dopo andò a messa e fatta la comunione, riuscì senza farsi vedere a portare a casa l’ostia consacrata avvolta in un fazzoletto.In attesa di portare il piccolo – grave peso alla maga, lo nascose dentro la madia del pane.
Passò una notte terribile, combattuta dal dubbio se portare a termine il sacrilego intento o restituire il santissimo carico al Sacerdote.
Passarono così tre giorni in una tremenda altalena: che faccio?Quando si decise di portare l’ostia consacrata alla fattucchiera, aprendo la madia restò esterrefatta: invece dell’ostia bianca trovò un’ostia di carne viva.
Oh Dio, oh Dio! cominciò a singhiozzare, sgomenta, la povera ragazza sacrilega.Adesso che faccio? Che faccio?
Fuggì dalla casa, in preda allo spavento; giunta alla chiesa si rivolse al Sacerdote e piangendo confessò il suo terribile peccato.
Il ministro di Dio andò a prelevare l’involto e lo portò al Vescovo, che era Giovanni V. Il Vescovo si affrettò a comunicare la notizia al Sommo Pontefice Gregorio IX, per iscritto chiedendo consigli sul da farsi.
LA BOLLA PONTIFICIA
La testimonianza fondamentale è la bolla “Fraternitatis tuae” di Papa Gregorio IX nel 1228.
Il Sommo Pontefice prende le mosse da una lettera del Vescovo Giovanni di Alatri che lo informava di un recente episodio e chiedeva istruzioni sul da farsi.
“Gregorio vescovo, servo dei servi di Dio al venerato fratello di Alatri, salute e apostolica benedizione.Abbiamo ricevuto la tua lettera, fratello carissimo, che ci informava, come una certa giovane suggestionata dal cattivo consiglio di una malefica donna, dopo aver ricevuto dalle mani del Sacerdote il Corpo santissimo di Cristo, lo trattenne nella bocca fino al momento in cui, colta l’occasione favorevole, lo poté nascondere in un panno, dove, dopo tre giorni, ritrovò lo stesso corpo che aveva ricevuto in forma di pane, trasformato in carne, come tuttora ognuno può constatare con i propri occhi.
Poiché l’una e l’altra donna ti hanno tutto ciò umilmente rivelato, desideri un nostro parere circa la punizione da infliggere alle colpevoli.
In primo luogo dobbiamo rendere grazie, con tutte le nostre forze, a colui che pur operando in ogni cosa in modo meraviglioso, tuttavia in qualche occasione ripete i miracoli e suscita nuovi prodigi, affinché, irrobustendo la fede della verità delle Chiesa Cattolica, sostenendo la speranza, riaccendendo la carità, richiami i peccatori, converta i perfidi e confonda la malvagità degli eretici.
Pertanto, fratello carissimo, a mezzo di questa lettera apostolica, disponiamo che tu infligga una punizione più mite alla giovane che riteniamo abbia compiuta l’azione delittuosa più per debolezza che per cattiveria, specialmente perché è da credersi che si sia sufficientemente pentita nel confessare il peccato.Alla istigatrice poi, che con la sua perversità la spinse a commettere il sacrilegio, dopo averle applicate quelle misure disciplinari chi crediamo opportuno di affidare al tuo criterio, imponi che visitando i vescovi più vicini, confessi umilmente il suo reato, implorando con devota sottomissione, il perdono”.