Itinerari Culturali
Epoca di costruzione
Epoca di Costruzione: Seconda metà sec. X – seconda metà sec. XII
La basilica di San Fedele, affacciata sulla piazza omonima, al centro della città murata, presenta la zona absidale tangente l’attuale via Vittorio Emanuele, importante asse viario già in epoca romana, come dimostrano alcuni tratti dell’antico selciato ritrovati durante lavori effettuati nel secolo scorso.
La facciata presenta un rosone centrale e ha la parte sinistra resa cieca da una costruzione addossata alla chiesa, sulla quale si staglia il campanile.
Si riesce comunque a ricostruirne l’andamento a salienti, con i contrafforti che separano la specchiatura della navata centrale dalle laterali. Come si è detto, essa è frutto dei restauri compiuti nel secolo scorso, ed è caratterizzata da un rosone centrale cinquecentesco, al di sotto del quale si apre il portale con lunetta e arco che sostituì il precedente archi-travato. Sempre sul lato sinistro si eleva la slanciata torre campanaria.
Il fianco settentrionale della basilica non è percepibile dall’esterno, a causa dell’addossamento di una serie di edifici di epoche diverse. Sul fianco meridionale, sottoposto a un intervento di isolamento, si scorge chiaramente la muratura dell’abside e il succedersi del doppio ordine di coperture, che con andamento ascensionale conducono lo sguardo al tiburio. Il tiburio, a pianta quadrata, presenta un andamento irregolare. È intonacato, ad eccezione del lato nord-est dove la pietra a vista consente di scorgere la porzione sopraelevata nel 1805.
La parte originale, che doveva terminare con una fascia ad archetti, presenta una muratura regolare. La zona absidale, più che la facciata, costituisce l’elemento distinguente della basilica, sia sotto l’aspetto architettonico sia sotto quello scultoreo.
L’interno è a tre navate con presbiterio triabsidato, coperto da cupola e cinto da deambulatorio.
Delle tre absidi originarie l’unica rimasta integra è quella centrale. La muratura dell’abside, ad andamento poligonale, presenta un coronamento in marmo di Musso, sotto cui si snoda una fascia di archetti ciechi alternati bianchi e neri, sormontati da una cornice a dente di sega.
È caratterizzata da una loggia formata da una successione di voltine a botte, con all’esterno archi poggianti su colonnine in cipollino. Queste ultime non hanno funzione statica, svolta dagli architravi su cui sono impostate le volte.
La maggior parte è di tipo corinzieggiante con un solo ordine di foglie, spesso prive di nervature.
Uno in particolare ha una decorazione simile a quella di un capitello del Sant’Abondio (navata sinistra) e di uno della cripta di Lenno.
Due hanno una decorazione zoomorfa, con un aquilotto dalle ali spiegate a marcare l’angolo. Il paramento murario sottostante, coronato da una ulteriore fascia di archetti, è scandito verticalmente da quattro colonne terminanti con capitello cubico, addossate alle lesene angolari. Nella parte bassa è una finestra circolare strombata, mentre negli scomparti centrali si apprezzano le tre aperture rettangolari in marmo proposte da de Dartein.
Il piano della loggia è sicuramente posteriore rispetto al resto dell’edificio, come si evince dall’esame della muratura interna che dichiara l’impiego di un materiale diverso a partire dal livello del secondo piano.
Notizie storiche
Prima dell’attuale intitolazione la chiesa era dedicata a Sant’Eufemia, poiché il concilio di Calcedonia si era tenuto nella basilica di Sant’Eufemia. .
Il titolo fu attribuito alla chiesa di Como con ogni probabilità nel VII secolo dal vescovo Agrippino che era stato ordinato nel 606 dal patriarca di Aquileia.
Era uno strenuo difensore dello scisma e aveva fondato una chiesa dedicata a Santa Eufemia sull’Isola Comacina, dove venne poi sepolto.
La chiesa doveva, dunque, essere stata edificata in precedenza, anche se il primo documento in cui si attesta l’esistenza di Santa Eufemia è una testimonianza dell’865, in cui si ricorda l’emissione di un placito imperiale in atrio Sanctae Euphemiae.
Al 914 risale il testamento del vescovo Valperto, in cui è ricordata per la prima volta con il titolo di cattedrale, anche se la presenza appena ricordata di legati dell’imperatore fa lecitamente supporre che la chiesa ricoprisse già un ruolo particolarmente importante anche alla data precedente.
L’esistenza di una cattedrale comportava di necessità la presenza nelle immediate vicinanze di un altro edificio: il battistero.
La struttura è identificabile nel San Giovanni in Atrio, struttura in asse con la chiesa sul lato opposto della piazza. Originariamente collegato per mezzo appunto di un atrium corrispondente all’attuale piazza, è ora inglobato in altri edifici di uso pubblico.
È stato oggetto di indagini archeologiche nel 1994, grazie alle quali si è potuto individuarne la pianta, simile a quella del battistero di Novara con nicchie semicircolari alternate a rettangolari.
Nell’occasione si è confermata anche la sua datazione al V secolo, già proposta (Mirabella Roberti) in seguito a confronti con altri edifici simili, ma anche sulla base della relazione con un mosaico di discussa iconografia rinvenuto in un edificio attiguo.
La questione è complicata dalla presenza, nell’area di Santa Eufemia-San Giovanni in Atrio di un altro edificio: la chiesa di San Pietro in Atrio. È stato ipotizzato di essere anche in questo caso di fronte a una “cattedrale doppia” (Piva), con edifici che rispondono a diverse necessità in relazione alla liturgia (festiva/eucaristica la maggiore, feriale/per gli uffici delle ore la minore).
Durante scavi eseguiti in San Pietro (1981), è venuto alla luce un pavimento a piastrelle bianche e nere databile al V secolo (Hudson) che corroborerebbe la contemporaneità di tutti questi edifici e la loro identificazione nel complesso cattedrale cittadino.
Rimane ancora aperto il problema delle origini di Santa Eufemia. Serafino Balestra, restauratore di Sant’Abondio, sostiene che durante lavori effettuati nella chiesa di San Fedele nel 1881, emersero i resti della primitiva basilica e le fondamenta di un tempio dedicato a Giove, poi trasformato in chiesa.
Al 964, secondo la tradizione, risale il trasferimento in basilica delle spoglie appena ritrovate del protomartire Fedele, ucciso durante la persecuzione di Diocleziano presso Samolaco (Chiavenna).
Questo fatto è alla base del cambio di dedicazione della chiesa e, presumibilmente, anche del trasferimento del titolo di cattedrale a Santa Maria Maggiore. Infatti il primo documento in cui quest’ultima è citata con questa titolazione risale al 1006.
Sarei curioso di conoscere il genio che ha progettato l’edificio davanti alla facciata della chiesa!