Le origini del Caffè Michelangelo, che oggi come un tempo si affaccia sulla centralissima Via Cavour a Firenze, sono incerte e misteriose, anche se possono collocarsi alla metà dell’Ottocento. Qui si fermavano artisti, avventurieri e rivoluzionari per assaggiare il famoso punch alla fiorentina, una bevanda composta da caffé e rhum, il corrispondente dell’assenzio parigino per gli aspiranti bohemien di casa nostra.
Qui si riuniva uno piccolo gruppo di pittori, che dette vita da una delle rivoluzioni artistiche più importatanti di quegli anni. In contrapposizione alla pittura proposta dagli Accademici delle Belle Arti, essi teorizzarono l’uso della “macchia” come strumento pittorico per raccontare la realtà quotidiana, cogliendo gli aspetti più vivaci della contemporaneità. Questi pittori – Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Adriano Cecioni, Silvestro Lega, Giuseppe Abbati – prediligevano soggetti “reali” nella vita rurale, dalle attività lavorative e dalle campagne toscane secondo un intento realistico lontano dalla pittura celebrativa fatta da ritratti su commissione.
In questo locale si incontrava il gruppo degli artisti e degli intellettuali che, arrivavano qui da ogni parte d’Italia: alcuni attratti dal glorioso passato della città, altri per sfuggire al rigore poliziesco dei loro governi. Infatti, mentre dopo il 1850 negli altri Stati si scatenavano le reazioni ai moti risorgimentali, a Firenze, l’ apertura culturale di un governo illuminato favoriva una maggiore tolleranza politica.
Dopo il 1855 ai cospiratori romantici si sostituirono gli artisti italiani, come i pittori toscani Serafino De Tivoli e Domenico Morelli, e il pugliese Saverio Altamura, che all’ ’Esposizione Universale di Parigi avevano scoperto la pittura di Corot e dei pittori di Barbizon ed anche artisti stranieri, tra cui Edgar Degas che nel 1858 soggiornò a Firenze frequentando Altamura, Cristiano Banti e Giovanni Fattori.
In questo ambiente molto vivace si iniziò a parlare di un nuovo modo di osservare e di dipingere, abbandonando le raffigurazioni di eventi storici, ponendo attenzione al “vero” e rappresentando soggetti di vita quotidiana e paesaggi. I contatti tra la ricerca della “Macchia” toscana e la successiva “Impressione” parigina produrranno delle analogie, sia nel rifiuto della rigidità delle Accademie sia nella tecnica rivoluzionaria dei giovani pittori, che, vittime di critiche e derisioni, furono etichettati spregiativamente all’epoca gli uni Macchiaioli e gli altri Impressionisti.
opificiotoscanoeps.it a cura di Carmela Panarello
La loro ricerca, però, permise a Firenze di divenire nella cultura figurativa italiana il centro più importante e vitale con un nuovo stile: la pittura a “Macchia”. Abbracciarono questa nuova visione artistica il veneto Vincenzo Cabianca, i toscani Cristiano Banti, Telemaco Signorini, più di altri influenzato dal Realismo francese, e Giovanni Fattori, che, in nome di una pittura antiaccademica che riproducesse “l’impressione del vero” , già nel 1852 aveva abbandonato l’Accademia.
Il caffè Michelangelo visse dunque la sua epoca d’oro nel perido dei macchiaioli, un gruppo di artisti che influenzò profondamente tutte le altre correnti nate nel secolo successivo. Ai fasti della metà dell’Ottocento seguì un lungo periodo di oblio finché una decina di anni fà il caffé non ha riaperto dando di nuovo spazio alla cultura e all’arte. Oggi il locale ospita una mostra permanente dedicata alla macchine di Leonardo Da Vinci e qui vengono allestite mostre, organizzati dibattiti e concorsi letterari.
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