La cappella Chigi è la seconda cappella della navata sinistra nella basilica di Santa Maria del Popolo a Roma. Celebre scrigno di capolavori, vi lavorarono, tra gli altri, Raffaello e Gian Lorenzo Bernini. Raffaello creò un piccolo complesso a pianta centrale ispirandosi a Bramante, spoglio all’esterno e ricco di sculture e pitture all’interno. Si tratta di un cubo sormontato da una cupola emisferica, poggiante su un tamburo abbastanza alto dal quale penetra la luce tramite aperture.
Alla cappella si accede attraverso un arco aperto alla navata laterale della Basilica di Santa Maria del Popolo; l’interno è uno spazio semplice, scandito da tre arcate cieche che completano, con quello dell’ingresso, lo schema quadrato ed arricchito da nicchie destinate ad accogliere sculture e dipinti, oltre che le tombe di Agostino Chigi e di altri membri della famiglia, caratterizzate dalla forma piramidale, desunta forse da architetture funerarie classiche.
L’architettura rientrava pienamente nelle ricerche allora in corso a Roma, intorno alla basilica di San Pietro, tanto che è stata vista nella cappella una riproposizione in piccolo della crociera impostata da Bramante. Come in San Pietro il diametro della cupola è maggiore dell’ampiezza degli archi di sostegno che configurano la pianta quadrata con angoli smussati e che quindi sostengono la cupola su pennacchi trapezoidali, che erano una delle caratteristiche dell’impianto bramantesco.
Tuttavia una nuova concezione dello spazio sembra caratterizzare questo che è l’unico edificio religioso di Raffaello, che si sia conservato nella sua forma originaria. Al contrario degli edifici bramanteschi, nella cappella lo spettatore deve guardare da più punti di vista per cogliere tutto lo splendore, entrando nello spazio piuttosto che standovi davanti.
La cupola interna è decorata da cassettoni dorati, con mosaici, eseguiti su disegno dello stesso Raffaello. Al centro Dio creatore del firmamento (scorciato efficacemente e in un gesto impetuoso, di memoria michelangiolesca, che sembra dare origine al moto dell’intero universo sottostante), con intorno immagini allegoriche del Sole, della Luna, dei cinque pianeti conosciuti e delle stelle fisse, raffigurati come divinità pagane a mezzo busto, ciascuno guidato da un angelo che, secondo un concetto dantesco ripreso dai neoplatonici, rappresenta il suo ordine motore, che ne limita la potenza dirigendone il corso. Tali mosaici vennero eseguiti dal veneziano Luigi de Pace nel 1516. I cartoni originari sono perduti, ma si conservano alcuni disegni preparatori (a Oxford e Lilla) che confermano l’originalità dell’opera, ottimizzata per una visione dal basso
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