I bronzi di Riace

I Bronzi di Riace ripescati nelle acque di Riace nell’agosto del 1972 in origine erano cinque e non due. Facevano parte di un gruppo statuario che rappresentava il momento subito precedente al duello fratricida fra Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, del mito dei Sette a Tebe collegato con quello di Edipo. E’ la la nuova ipotesi sull’identità dei Bronzi, noti come A e B e ritrovati 48 anni fa, elaborata da Daniele Castrizio, professore ordinario di Numismatica greca e romana all’Università di Messina e membro del comitato scientifico del MArRC, il Museo Archeologico di Reggio Calabria dove le due statue sono esposte al pubblico.

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La Nike di Samotracia al Museo del Louvre

Scolpita nel pregiato marmo pario, la dea NIKE di Samotracia posa con leggerezza il piede destro sulla nave, mentre per il fitto battere delle ali, che frenano l’impeto del volo, il petto si protende in avanti e la gamba sinistra rimane indietro. Le braccia sono perdute, ma alcuni frammenti delle mani e dell’attaccatura delle spalle mostrano che il braccio destro era abbassato, a reggere probabilmente il pennone appoggiato alla stessa spalla, mentre il braccio sinistro era sollevato, con la mano aperta a compiere, secondo Marianne Hamiaux, un gesto di saluto, oppure a reggere una corona. La volontà dell’autore della Nike ha esasperato tutto ciò che può suggerire il movimento e la velocità.

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Alessandria Comune di ARQUATA SCRIVIA Piemonte

Il nome “Arquata” deriva, probabilmente, dal latino arcus e si riferisce forse alle arcate che scandivano l’acquedotto romano. La cittadina si sviluppa nel territorio anticamente dominato dalla città romana di Libarna, lungo la Postumia, via consolare che collegava Aquileia a Genova passando per Vicenza, Verona, Cremona, Piacenza, Voghera, Tortona e attraversando gli Appennini verosimilmente al passo della Bocchetta. Sono questi due elementi che ne motivano la nascita, ma non si sa con certezza a quale data attribuire i primi insediamenti abitativi, né quale fosse il luogo esatto del borgo più antico.

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Cappella Chigi

La cappella Chigi è la seconda cappella della navata sinistra nella basilica di Santa Maria del Popolo a Roma. Celebre scrigno di capolavori, vi lavorarono, tra gli altri, Raffaello e Gian Lorenzo Bernini. Raffaello creò un piccolo complesso a pianta centrale ispirandosi a Bramante, spoglio all’esterno e ricco di sculture e pitture all’interno. Si tratta di un cubo sormontato da una cupola emisferica, poggiante su un tamburo abbastanza alto dal quale penetra la luce tramite aperture.

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La Madonna di Senigallia di Piero della Francesca

La Madonna di Senigallia è un dipinto a olio su tavola di noce (61×53,5 cm), realizzato dal pittore Piero della Francesca e conservato nella Galleria Nazionale delle Marche. La datazione è molto incerta, oscillante tra il 1470 e il 1485, e il nome dell’opera deriva dalla collocazione più antica conosciuta, la chiesa di Santa Maria delle Grazie di Senigallia.

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Il ratto delle sabine di Nicolas Poussin

Secondo la leggenda, gli antichi Romani avevano invitato a Roma la vicina popolazione dei Sabini allo scopo di rapire con la forza le loro giovani donne per prenderle in moglie. Nella scena qui raffigurata Romolo alza il mantello, il segnale concordato per dare l’ordine ai guerrieri di rapire le donne. Lo studio dell’antichità fatto da Poussin è evidenziato dall’armatura gialla indossata dall’uomo a destra, modellata sulla latina lorica, fatta di pelle in modo tale da riprodurre l’anatomia del torso maschile.

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Legenda Aurea di Jacopo da Varazze

Molti artisti s’ispirarono alla Legenda Aurea per le loro opere. Tra questi vi fu Giotto con la Cappella degli Scrovegni a Padova, Piero della Francesca nelle Storie della Vera Croce nella basilica di San Francesco ad Arezzo e Vittore Carpaccio nel ciclo pittorico Storie di Sant’Orsola commissionata dalla scuola devozionale veneziana nominata come la martire per la loro cappella (oggi conservata alla Gallerie dell’Accademia). Per la scuola La Legenda costituì anche fonte di riferimento per la redazione del Cursor Mundi. L’edizione critica più recente è quella pubblicata nel 1998 (riedita nel 2007 con traduzione italiana e commento dei singoli capitoli) per le cure di Giovanni Paolo Maggioni. In precedenza si utilizzava il testo stabilito da Graesse (Lipsia 1846).

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