Colture agricole e sensibilità ecologiche degli apoidei

Fino all’inizio del XX secolo le comuni pratiche agricole, come l’avvicendamento delle coltivazioni, hanno modellato i paesaggi e creato diversi mosaici di habitat favorevoli agli impollinatori selvatici.

A partire dalla rivoluzione industriale, e soprattutto con la rivoluzione verde della seconda metà del secolo scorso, le modalità di uso del suolo sono cambiate radicalmente (Kaule, 1991; Plachter, 1991; Benton et al., 2003) e l’intensificazione dell’agricoltura, con la meccanizzazione del lavoro e il crescente impiego di mezzi chimici, ha ridotto la variabilità ambientale e causato il deterioramento della qualità e la perdita dell’eterogeneità degli habitat comportando una diffusa riduzione della diversità e dell’abbondanza degli apoidei negli ecosistemi agricoli.

Come già descritto in precedenza, la diversità delle api selvatiche nei paesaggi agricoli è fortemente influenzata sia dalla disponibilità spaziale e temporale di fonti alimentari che dalla presenza di siti di nidificazione adeguati. Ne consegue che i fattori a scala paesaggistica e le scelte aziendali possono significativamente influenzare la composizione delle comunità di api.

La diffusa frammentazione e ridotta estensione degli habitat seminaturali o naturali obbliga gli apoidei a frequenti spostamenti tra i siti di nidificazione e quelli di foraggiamento. In paesaggi a bassa diversità le stesse colture entomofile a fioritura di massa, come ad esempio la colza, possono rappresentare habitat di foraggiamento aggiuntivi altamente gratificanti, anche se a disponibilità temporanea e potenzialmente contaminate dai residui di sostanze chimiche.

Pratiche agricole come il controllo conservativo delle erbe infestanti, la lavorazione leggera del terreno, la rotazione delle colture e la gestione biologica delle avversità limitano gli impatti e spesso favoriscono la destinazione dei terreni agricoli a siti di foraggiamento delle api o ad habitat di nidificazione. La diversificazione delle specie di interesse agrario, ad esempio, è stata associata positivamente alla ricchezza di artropodi, in particolare api, carabidi e cimici, la cui abbondanza di specie in un paesaggio agricolo non dipende esclusivamente dagli habitat semi-naturali ma è influenzata anche dalla diversità e dalla minore intensità di resa delle forme di agricoltura presenti.

Aspetto rilevante è che le buone pratiche agricole possono favorire molte specie di pronubi ecologicamente esigenti e che richiedono habitat specifici per il foraggiamento e la nidificazione. Riguardo a tale aspetto diversi studi indicano il positivo impatto sulla diversità degli apoidei. Un’analisi di ventitre studi su comunità di api selvatiche in diversi settori agricoli e sistemi paesaggistici dell’Europa centrale ha rivelato la presenza totale di 293 specie di api, delle quali 54, prevalentemente generaliste in più di dieci studi. Secondo la Lista rossa (Red Data List) della Germania, tra le specie trovate in ambienti a
dominanza di matrici agricole sono tre (Andrena pilipes agg., Lasioglossum quadrinotatum e Bombus ruderarius) quelle in pericolo e solo due (Colletes daviesanus e Melitta leporina) quelle oligolettiche.

I modelli di agricoltura conservativa e biologica dimostrano che un uso compatibile dei servizi ecosistemici rende possibile il raggiungimento di buone rese produttive, riducendo congiuntamente gli effetti negativi sull’ambiente e sugli impollinatori. Ad esempio, l’impollinazione animale nelle coltivazioni del girasole (famiglia Asteraceae) e della senape (famiglia Brassicaceae) aumenta il numero di semi e, quindi, il contenuto di olio.

L’Italia ha una ricca diversità di paesaggi agricoli che differiscono notevolmente per tipologia e modalità di uso del suolo, dimensioni e forme degli appezzamenti, frequenza, varietà ed estensione degli habitat seminaturali. Questi elementi concorrono anche alla creazione di numerose nicchie potenzialmente disponibili per gli impollinatori selvatici.

L’imprenditore agricolo ha da sempre considerato le api da miele come il principale o unico impollinatore di riferimento, sottovalutando la circostanza che una densità troppo elevata di alveari, in particolare di ceppi di api non autoctone, può influenzare negativamente il ciclo vitale degli apoidei selvatici in un dato territorio, a causa soprattutto della competizione nel foraggiamento e della trasmissione di malattie. Spesso trascurate, inoltre, sono le attitudini dei bombi e delle api selvatiche come insetti pronubi e il loro ruolo nell’impollinazione delle specie agrarie coltivate.

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