Salerno Comune di CETARA Campania

Cetara

Le origini di questo borgo marinaro risalgono forse all’Alto Medioevo. Durante l’Evo Antico il suo territorio, quasi completamente disabitato, apparteneva alla giurisdizione della città etrusca di Marcina, coincidente molto probabilmente con Vietri sul Mare.

L’insediamento marinaro dovette costituirsi nella seconda metà del IX secolo, quando si stabilì in quella località una colonia di Saraceni, cacciati poi verso la fine di quel secolo. Nel 1030 i cetaresi pagavano lo ius piscariae all’arcivescovo di Amalfi, mentre nel 1120 il duca Guglielmo assegnava al monastero benedettino di Erchie il diritto alla riscossione della decima che si pagava per l’attività della pesca nel mare di Cetara.

Verso il 988 era già in funzione la chiesa di S. Pietro Apostolo, intorno alla quale cominciò a svilupparsi l’insediamento sul mare e sulle colline laterali. Cetara era protetta a nord dal monte Falerzio, mentre a sud, dalla parte del mare aveva un muro di cinta lungo il quale sorgevano edifici turriti e fortificati; la difesa del litorale cetarese fu ulteriormente potenziata nel XVI secolo mediante la costruzione di una torre vicereale.
Nel Medioevo la parte orientale del territorio di Cetara apparteneva al principato longobardo di Salerno, mentre quella occidentale era inserita nel tenimento del ducato romanico-bizantino di Amalfi. Il paesaggio di quelle zone era caratterizzato da boschi, castagneti, la maggior parte dei quali appartenevano all’aristocrazia amalfitano-atranese e al monastero di S. Maria e S. Benedetto di Erchie.
L’aspra orografia della costa costrinse gli antichi cetaresi alla realizzazione di terrazzamenti sostenuti da muri a secco, denominati ancora oggi macerine. In tali terrazze a gradoni erano impiantati frutteti, vigneti, limoneti. Spontaneo cresceva invece l’ulivo. La rada di Cetara era in diretto contatto con il porto classico di Fonti, dove nell’Alto Medioevo ancoravano le navi della Badia di Cava de’ Tirreni.

I cetaresi, come tutti gli abitanti del ducato di Amalfi, partecipavano alle attività marittime e commerciali del piccolo Stato costiero. Così, imbarcati sulle navi della repubblica, i marinai cetaresi contribuivano al ciclo triangolare del commercio amalfitano, che aveva quali vertici l’Italia meridionale, l’Africa settentrionale, l’impero di Bisanzio.

Al tempo della repubblica marinara, inoltre, i migliori pescatori della Costa risultavano essere proprio i cetaresi, il cui mare era molto pescoso; nelle acque di Cetara e del litorale limitrofo si pescavano dentici, cernie, murene. Altre qualità di pesce catturate con le reti erano i tonni, i palamidi, gli sgombri. Per la loro pesca si organizzava la tonnara che consisteva in una parete di reti massicce di canapa e sparto, sostenute a galla da una gran quantità di sugheri e fermate nel fondo con mazzere legate a grosse gomene e ancore.

Le tonnare partivano dal litorale e si spingevano ad ovest e ad est, formando un quadro cubico con vari scompartimenti. Questo ”labirinto” aveva una sola apertura, detta porta, dalla quale entrava il pesce. Dal mare i cetaresi estraevano anche grandi quantità di acciughe e sarde che salavano nei barili insieme a varie lische di pesce.
I pescatori di Cetara, come tutti quelli della riviera di Amalfi, applicarono nelle loro attività il capitolo sulla ripartizione degli utili menzionato nella raccolta di leggi marittime meglio nota come Tabula de Amalpha. Si tratta del patto ”a mezzo guadagno” o ”alla parte” che prevedeva la divisione degli utili derivati dalla pesca e dalla conseguente vendita del pescato in tre parti, di cui una spettava al proprietario della barca, un’altra al capopescatore e la terza alla ciurma.
Al tempo dell’infeudazione del ducato Cetara rimane ”terra libera”; in quegli anni i cetaresi contribuirono validamente alla liberazione di Federico, secondogenito del re di Napoli, tenuto prigioniero a Salerno.
In quell’epoca purtroppo le coste amalfitane erano infestate dai corsari turchi. Nel maggio del 1534 la flotta di Sinan Pascià saccheggiò dapprima i villaggi di Erchie e Soverano e poi attaccò Cetara, prelevando trecento abitanti come schiavi e sgozzandone molti altri. Ma dieci anni dopo, una terribile tempesta sbaragliò le navi di Kheir-Eddin, detto il Barbarossa .
A seguito della nascita della Repubblica Partenopea nel 1799, la flotta francese che appoggiava i giacobini napoletani, dopo aver risparmiato Amalfi da un poderoso cannoneggiamento in cambio di una forte somma di denaro, iniziò la costruzione di un fortino a Conca dei Marini. Alcune feluche repubblicane, nascoste nell’insenatura naturale di quelle acque, sorvegliavano i lavori. Ad un certo punto, però, da Fonti partirono lance e sciambecchi armati con marinai inglesi e cetaresi, allo scopo di impadronirsi di dette feluche. Dopo un primo attacco respinto, gli inglesi e i cetaresi rovesciarono il fortino francese di Conca dei Marini.
Delle antiche flotte costiere oggi non vi è che il ricordo; solo quella di Cetara continua a solcare i flutti del Mediterraneo occidentale. Soltanto il 1° gennaio del 1834, dopo secoli di liti e contese, Cetara fu elevata a comune con amministrazione indipendente e separata da Vietri. Un primo tentativo dei cetaresi, per la costituzione di un comune separato da Cava, era avvenuto secoli addietro, nel 1486: con delibera dell’Università di Cava, però, nella seduta quell’istanza fu respinta.
Con l’installazione del comune i cetaresi si sentirono appagati nella loro secolare aspirazione ad essere amministrativamente autonomi.

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