Una visita al Museo
Tra i reperti del popolo etrusco, tanto famoso quanto enigmatico, si distinguono soggetti particolari, uno di questi è senz’altro il bronzo che, a causa del luogo in cui fu ritrovato è detto “Chimera di Arezzo”.
Bellissima, finemente lavorata nel 360-380 a.c., la Chimera riassume la descrizione tramandata dai miti greci: corpo e testa di leone, coda di serpente e testa di capra sulla schiena. Un mix di animali bizzarro e stranamente accostato che desta meraviglia ancora adesso come allora, da quando fu forgiato da artisti non individuati, probabilmente del luogo.
Dalla criniera di drago, il corpo teso nel momento prima dell’attacco, la Chimera ci mostra la sua coda di serpente e il suo collo di capra che spunta dalla schiena in modo innaturale, girato per aumentare il movimento dell’insieme o forse per accomunare un’azione che si sarebbe svolta all’interno di un gruppo scultoreo di cui potevano far parte anche Bellerofonte e Pegaso.
Questo si può dedurre da quello che pare essere un fiotto di sangue sgorgante dal collo caprino. E’ però possibile che invece la scultura bronzea sia stata a sé stante, voto al dio Tin, il più potente degli dei etruschi, come recita l’iscrizione sulla zampa anteriore: “ tinscvil” o “tins’vil” ovvero “donata al dio Tin”.
L’offerta votiva rappresentata dal bronzo, è di rara bellezza e raffinata fattura, ma non solo, è effettivamente particolare e inconsueta se si pensa che è inequivocabilmente rivolta a un dio etrusco ma sicuramente rappresenta il mito greco della Chimera uccisa da Bellerofonte. Non è quindi da scartare l’ipotesi che sia un’opera greca pervenuta in Etruria.
La Chimera, essere mitico che nel tempo e nelle storie ha cambiato il suo apparire, da demone distruggitore figlio di Tifone e Echidna, assieme a Idra, Lerna, Cerbero e Orto, a soggetto anelato e irraggiungibile o bellissimo e fantastico, incarna in questo caso, il malvagio mostro di Licia che Bellerofonte, il figlio di Glauco fu incaricato di uccidere.
Il nome Chimera deriva dal termine greco tradotto con “capra”. Le rappresentazioni antiche non ce ne forniscono mai versioni con le tre teste allineate frontali ma poste sempre in modo curioso e innaturale. E’ da notare invece come la testa di capra posta sul corpo di leone frontalmente, possa dare vita all’immagine consueta dal drago di cui tra l’altro, la Chimera aveva la capacità di sputare fuoco.
Fu uno strano destino quello di Bellerofonte, non solo gli fu cambiato nome quando per sbaglio uccise Bellero, ma incorse anche nelle ire del re Preto di Tirinto aizzato dalla moglie Stenebea, quando la rifiutò. Il re lo incaricò per questo più volte di imprese impossibili convinto di mandarlo a morte certa, addirittura facendolo messo di una lettera che ne ordinava l’uccisione presso i suoi alleati, invece il luminoso e generoso ma soprattutto ignaro Bellerofonte ritornò sempre vittorioso.
Testimonianza di tutto questo a noi resta questo bellissimo bronzo, dal corpo di leone smagrito e scattante o forse di levriero, certo affamato e dalla criniera minuziosamente lavorata in riccioli di foggia greca.
Perfetto e realistico nelle proporzioni, naturale nella muscolatura, rivela, soprattutto sul lato posteriore, le tracce dei vari restauri che da quell’anno 1533 in cui fu ritrovato, si sono susseguiti fino ad oggi. Tra i restauratori ci fu anche il Cellini, ma gli interventi ben visibili, furono accompagnati da polemiche. E’ infatti poco probabile che la coda a forma di serpente fosse in origine in quella posizione, con le fauci del rettile che stringono uno dei corni della testa caprina.
Fu ammirato da Cosimi de’ Medici al punto che lo volle vicino al proprio trono di Palazzo Vecchio, fu in seguito ritenuto funesto e spostato alla villa Medicea di Castello per poi andare a risplendere con i suoi 65 cm di altezza, sotto le luci del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
FONTE: MAF Museo Archeologico Nazionale
Piazza Santissima Annunziata n. 9b – 50122 Firenze
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