Figo moro PAT Friuli Venezia Giulia

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del Friuli Venezia Giulia

Fico Figo Mòro, Figo Moro da Caneva, Longhet

Pianta: tronco a scorza liscia grigio chiara, rami grossi solitamente contorti, foglie grandi, scabre, coriacee e pubescenti alterne e rade, distante le une dalle altre circa 20 cm se considerato lo stesso asse, sono conformate da 3 a 7 lobi arrotondati a seconda della loro età -solitamente e per la maggior parte però sono a 5 lobi asimmetrici, con quello centrale allungato ed allargato nella parte alta. Se lasciato crescere naturalmente non si eleva molto dal terreno arrivando intorno ai 3/3,5 metri.

Apparato radicale: naturalmente molto espanso e superficiale con presenza di radici colonnari ed a grappolo anche di sezione molto grossa, si adatta particolarmente al terreno asciutto dei declivi. E’ nota l’estrema facilità di radicazione delle talee che determina la riproduzione della pianta stesa, tanto da aver generato, in luogo, un detto popolare “se pianti un ramo il giorno di S Marco, dopo quattro anni ne mangerai il fico”

Legno: bianchissimo, si scoscia facilmente, soprattutto nei pressi delle diramazioni, e teme le temperature fredde. Le gemme terminali sono inserite all’ascella dell’apice del ramo. Acuminate e protette da due squame brunastre poste a fiore, schiudendosi, danno origine ad un’infiorescenza, detta siconio

Foglia: di colore verde brillante, rugosa e scabra, ha il perimetro mai lineare, risultando un continuo succedersi di elementi curvi spezzati sia concavi che convessi E’ normalmente formata da 5 lobi con grosse nervature che partono dall’attacco del gambo e attraversano ogni uno d’essi. Nella parte opposta, di colore più chiaro e giallastro, è molto meno rugosa e marcata nelle venature sia principali che secondarie, che ne formano la mappatura e che qui si scorgono molto meglio. L’attacco tra un lobo e l’altro, di solito ampiamente arrotondato porta sul retro la chiara delimitazione della vena che lo blocca e lo delimita. Ogni foglia dista dalla prossima mediamente da 5 a 10 cm sul ramo, ma nessuna ha una ripetizione in asse. Nella parte germinale d’esso esse si ravvicinano molto man mano che si arriva alla gemma.

Frutto: molto allungato rispetto al comune, si presenta sull’intersezione della base d’attacco al ramo con la foglia, solitamente singolo, o al massimo doppio per casi più frequente nella seconda fioritura. Matura in circa 30/35 giorni con un frutto mediamente del peso di circa 30/50 gr per frutto. Generalmente una pianta – in produzione da oltre 5 anni – nell’arco di una stagione può dare dai 70 ai 100 kg di prodotto in base alla sua età. Gli zuccheri oscillano intorno al 15° brix%, mentre il contenuto in fibra è del 3%, della quale il 2% solubile in acqua.

Buccia: inizialmente di colore verde chiaro, cambia colore per diventare marrone-violacea tendendo sempre più al blu e quindi al nero, man mano che aumenta la maturazione o addirittura l’essiccazione sul ramo. Nello stesso processo di maturazione, la buccia tende a divenire sempre più morbida e sottile. Questa, al momento della raccolta, è molto tenera e delicata e si rovina con estrema facilità.

Polpa: tenera e sapida, di un intenso colore rosso cardinale, particolarmente profumata al momento della maturazione, è notevolmente più dolce e di miglior qualità rispetto alla maggior parte delle altre specie note.

Maturazione: avviene in due momenti, per due fioriture abbastanza vicine tra loro, chiaramente distinguibili sullo stesso ramo. Per i fichi nati in giugno, – “FIORONI”, più grandi, belli da vedere ma meno saporiti- si arriva alla raccolta verso la prima metà di luglio, mentre la seconda, molto più abbondante, con prodotto più piccolo, più scuro di buccia, e molto più gustoso, inizia verso la metà agosto, metà-fine settembre. Essa è influenzata dall’andamento della stagione ma soprattutto dalle piogge che possono cadere nel periodo della maturazione e che ne inducono un’accelerazione o addirittura all’esplosione dell’ostiolo.

Tradizionalità

La coltivazione del fico nero, localmente chiamato Figomoro, è diffusa nel comune di Caneva da tempi remoti, come dimostrano numerose testimonianze. Il particolare microclima dell’area pedemontana, collocata a ridosso tra le Prealpi e la pianura veneto-friulana, la diversità dei sali minerali del sottosuolo, tra cui tanto calcare, potassio e magnesio, oltre alla collocazione delle piante in declivi decisi, conferiscono ai frutti della zona irripetibili caratteristiche qualitative ed organolettiche, e tali comunque da renderlo famoso e ricercato. Il suo pregio è storicamente riconosciuto, tanto d’aver costituito un’importante disponibilità alimentare per le sue doti energetiche e medicali, soprattutto in tempi di carestie o “difficili”. Le principali note storiche della sua presenza, si ritrovano dal 1400 circa sui primi documenti di vendite, affittanze o doti, che erano solite accompagnare i primi atti notarili ritrovabili, ma già dalla nascita della città di Caneva (1139) per certo se ne ha nota. Dal XIV° al XIX° secolo e successivamente fino a qualche decennio fa, la sua esistenza era nota nella Serenissima Repubblica Veneta, nel Bellunese e nel Patavino, quando è citato nei documenti come “frutto speciale che i porta da Caneva”.

Testi particolari – quali gli “Annali del Friuli” scritti da Francesco di Manzano, (vol IV pag 177 (Archivio storico di Udine) – ne riportano cenni nelle pagine in cui descrivono i costi di alcuni prodotti d’allora. (…Dal mese di marzo 1324 alla fine di luglio ci fu siccità, se si eccettua il principio di giugno in cui caddero grandi piogge. Dal 22 luglio, alla natività del signore, non vi fu quasi alcuna pioggia, e diremo che tutto l’anno fu secco, con grande abbondanza di grani e vini. Il formento valeva 12 grossi, il miglio 6, il sorgo 2. Un’oncia di vino 6 grossi. La primavera fu precoce: in aprile v’era quantità di rose e molte ciliegie a maturazione; anche le uve, prima della festa di Santa Margherita (10 Giugno) si rinvennero mature; il fior di fico lo si trovava mangiabile diggià ai 8 di giugno…). Marchesini (Annali di Sacile, pag 910/911) riporta la ricetta di un “antichissimo e miracoloso antidoto contro la peste” a base di fichi “togliesi noci comuni secche n° 10 -Fichi secchi n° 20 – Frondi di ruta pupillo 1 Sale comune mezza dramma – mischia et ogni cosa siano benissimo peste et incorporate tanto, che si faccia in modo di littorio, da pigliare ogni mattina a digiuno, tanto che sia due noci per volta, et questo massimamente per preservare, sopra bevendo poi tre cucchiai di ottimo vino et aromatico” .

Recenti ritovamenti presso l’archivio storico di Sacile (lavoro tutt’ora in corso), dimostrano l’importanza della pianta, annoverata tra le fonti di reddito e stabiliscono incontestabilmente la presenza in luogo del fico ed il suo valore pratico. A questo riguardo bisogna fare una considerazione chiarificatrice sull’importanza sempre crescente che ne ha determinato e segnato il grande sviluppo, in quanto, a parte il reddito che talora generava – in mercati contraddistinti dal baratto – essa venne a costituire una sicura fonte d’approvvigionamento alimentare per un periodo apprezzabile dell’anno, in una situazione sociale chiaramente sconvolta dal continuo transito in luogo di eserciti di varie etnie (Unni, Longobardi,Turchi….., al tempo delle calate dei barbari, quindi tedeschi, slavi, francesi….., durante tutto il medioevo, quindi nel periodo dei comuni con Goriziani, Trevisani, Veneziani….) che evidentemente razziavano in continuità tutto il possibile, il più delle volte dimentichi – o non usi al consumo – di quello che giocoforza diventa quindi importante …il fico, nell’unica varietà esistente in luogo il “FIGO MORO” o più anticamente chiamato “LONGHET”.

Territorio di produzione: Le province di Pordenone e di Treviso (per piccolissima parte). In particolare il comune di Caneva ed il comune di Cordignano.

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