Formaggio di malga PAT Friuli Venezia Giulia

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del Friuli Venezia Giulia

Formaggio tradizionale delle malghe friulane, la cui attività è nota fin dai tempi del Patriarcato di Aquileia (XI-XV sec.). La transumanza del fondovalle ai pascoli in quota ha costituito e costituisce un elemento estremamente importante per l’economia pastorale della montagna friulana e della Carnia e questo ha costituito fin dai tempi più remoti l’elemento di stimolo per l’insediamento temporaneo in quota di uomini e animali che ha dato vita a quella particolare forma di azienda che è la malga.

Si hanno notizie dell’attività in malga già prima dell’anno 1000 e regole precise sullo sfruttamento dei pascoli alpini si hanno già ai tempi del patriarca di Aquileia (XI-XV sec.). Le malghe costellano l’area più propriamente alpina della regione Friuli-Venezia Giulia ed in particolare, le strutture malghive insistono su un territorio da sempre utilizzato per l’alpeggio e che può essere individuato negli ambiti territoriali della Carnia, della Val Canale e del Canal del Ferro nonché della comunità pedemontana del Livenza (comuni di Aviano, Budoia, Caneva, Polcenigo).

Il latte. La tradizione prevede che per la produzione del formaggio di malga venga lavorato il latte di vacca della mungitura serale, parzialmente scremato, miscelato con latte intero della mungitura del mattino. Talvolta può essere aggiunto un 10-15% di latte caprino. Il latte della sera viene versato in ampie bacinelle e conservato fino al mattino successivo a temperatura ambiente; ciò garantisce parziale scrematura mediante affioramento naturale del grasso, oltre ad una parziale debatterizzazione e l’instaurarsi di un equilibrio chimico-fisico ottimale. Il latte deve provenire da vacche al pascolo in quota e deve essere lavorato crudo, in modo da conservarne intatto il patrimonio microbico ed enzimatico che garantisce le giuste trasformazioni durante la maturazione.

Uso di innesti.

La tecnologia del formaggio di malga non prevede l’uso dell’innesto, in quanto la caseificazione viene esclusivamente guidata dagli equilibri microbici ed enzimatici naturali della materia prima. Tuttavia, è talvolta necessario ricorrere all’impiego del lattoinnesto naturale, al fine di compensare alcuni momentanei impoverimenti o variazioni della flora microbica. Il lattoinnesto naturale, ottenuto con  latte fresco e selezionato, contiene comunque la flora spontanea nel suo complesso equilibrio, fatta opportunamente moltiplicare, in modo da permettere il consolidamento di quel patrimonio microbico che garantisce il mantenimento delle caratteristiche distintive di questo prodotto.

Operazioni in caldaia.

Il latte viene coagulato alla temperatura di 32-36°C  con l’impiego di caglio bovino in polvere, nel quale l’azione della chimasi sia nettamente prevalente sulla pepsina. La rottura della cagliata che segue la fase di coagulazione viene eseguita a mano utilizzando la lira; l’operazione viene in genere effettuata in due tempi con una piccola sosta tra un taglio e l’altro in modo da facilitare lo spurgo del siero ed ottenere dei granuli delle dimensioni di un fagiolo. La successiva cottura della cagliata avviene a 42-48°C  e tale temperatura viene raggiunta in 30’-45’, riscaldando la caldaia in rame con fuoco diretto a legna; si sposta quindi il fuoco e si lascia la cagliata depositare e sostare sul fondo per 10’-20’ al fine di ottenere uno spurgo adeguato. La cagliata viene estratta manualmente con le tele e posta in fascere.

Pressatura, salatura, stagionatura.

Le forme vengono pressate fino alla sera (6-8 ore) e lasciate poi in sosta a temperatura ambiente fino al mattino successivo, quando vengono immerse in salina per 24-48 ore. La stagionatura va condotta in ambienti freschi su tavole di legno e in tali condizioni il prodotto raggiunge un giusto grado di sapidità dopo circa 30 giorni. Stagionato più a lungo può anche essere usato come formaggio da grattugia.

Tradizionalità

Dalla testimonianza riportata dal dott. Giuseppe Faleschini nel libro “L’Alpeggio in Carnia” riprodotto nell’ottobre del 1970 e da Umberto Sanson nella rivista “Sot la Nape” riprodotto nel 1979, si può verificare come confrontando la tecnologia ivi descritta con quella attualmente praticata, non sia possibile rilevare differenze sostanziali nelle pratiche di trasformazione. (L’Alpeggio in Carnia. Risultanze di una indagine effettuata dal dott. Giuseppe Faleschini.  Ed. Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Assessorato dell’Agricoltura, Foreste ed Economia Montana, ottobre 1970; Sot la Nape. Tradizioni popolari. Ed. Società filologiche friulane, gennaio-marzo 1979). Come pure l’ultima parte descritta da Enore Tassi nel Bollettino dell’Associazione Agraria Friulana del 1898 dove scrive del formaggio che si produceva solamente in montagna, durante il periodo del pascolo estivo.

Territorio di produzione: Area alpina della regione in particolare Carnia, della Val Canale e del Canal del Ferro nonché della comunità pedemontana del Livenza.

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