Prodotto Agroalimentare Tradizionale del PIEMONTE
Il giandujotto è un cioccolatino a forma di spicchio allungato o, secondo altra interpretazione, di barchetta rovesciata; sicuramente la forma è inconfondibile, e deriva da un antico metodo di lavorazione manuale. Il giandujotto è composto di cioccolato e di una parte rilevante di pasta di nocciole, il che lo rende profumatissimo. È sempre avvolto in una tradizionale carta dorata, che riporta in genere il nome del produttore. Il nome deriva dalla maschera carnevalesca di Torino “Gianduja”, che secondo tradizione avrebbe dato il suo placet per la commercializzazione del nuovo cioccolatino dopo la sua invenzione nel 1865
La produzione era fatta anticamente con abile uso delle “coltelle”, strumenti per lavorare il cioccolato e permetterne l’indurimento progressivo fino al momento della formatura del prodotto. Dopo si è passati all’estrusione, con macchine apposite o con una tasca da pasticciere. È uso corrente produrli con stampi appositi, in cui si cola la pasta e si fa indurire. Gli ingredienti sono classicamente pasta di cacao, zucchero, nocciole e vaniglia. La presenza di latte è molto comune, così come quella di burro di cacao e deriva dalle necessità di una maggior facilità di lavorazione richiesta alla massa quando la formatura dei giandujotti passò, negli anni ’30, dalle mani delle esperte “cioccolatiere” a quella delle moderne macchine.
Le dimensioni sono abbastanza uniformi, si mangiano solitamente in un sol boccone, lasciandoli sciogliere lentamente in bocca. Sono morbidi e quasi cremosi. Lasciano un lungo retrogusto di cioccolato
e nocciola tostata.
Caratteristiche
- Aspetto e consistenza: oblunghi con sezione piramidale a base piatta. Compatti ma di facile scioglievolezza, quasi cremosi, pastosi e vellutati.
- Odore: odore intensissimo di nocciola tostata e cioccolato.
- Colore: marrone chiaro, quasi nocciola, più o meno scuro a seconda della tostatura delle nocciole e della percentuale di latte; molto omogeneo.
- Sapore: sapore dolce, non astringente. prevalente la nocciola. Sapore ed aroma molto persistenti.
- Dimensioni: non supera i 12 grammi di peso. La base è misura 4,5-5 cm di lunghezza per 1,2-1,5cm di larghezza. Termina assottigliandosi verso l’alto dopo circa 2, 2,5 cm.
Metodiche di lavorazione
La preparazione dei gianduiotti può avvenire in maniera artigianale o spiccatamente industriale. La maggior parte dei produttori parte dalla massa di cacao, poichè non sono molti i produttori che preparano da sé il cioccolato dalle fave di cacao. Le ricette e la composizione variano molto, soprattutto perché alcuni giandujotti contengono latte in polvere mentre altri no. Inoltre la presenza di nocciole, da produttore a produttore, può variare da un minimo del 30 ad un massimo del 50%.
Una base classica compositiva vede la presenza dei tre ingredienti in proporzioni quasi uguali, cioè un terzo ciascuno di cacao, zucchero e nocciole. L’unico punto fermo è proprio la presenza di nocciola Piemonte IGP. La lavorazione comincia con la tostatura delle nocciole, la successiva raffinazione con cilindri di pietra con zucchero per amalgamare e formare la pasta base, l’aggiunta del cacao e il “concaggio”, che consiste nel riscaldare e agitare la massa, poi una “tempratura”, che è il processo con cui si raffredda il cioccolato senza farlo indurire.
Di qui si ha una vera e propria differenziazione produttiva, poiché la formatura si può in tre diversi modi:
- manualmente, ottenendo giandujotti per lo più diseguali, di fattura grezza molto caratteristica,
- con l’utilizzo di stampi, con cui si producono cioccolatini molto regolari per dimensione, peso e forma
- per estrusione, operazione che riproduce l’antico metodo di produzione con una borsa da pasticcere, e che fu la prima usata nel 1907 per la produzione in serie. Il gianduiotto viene poi immediatamente refrigerato e confezionato.
Importante e caratteristico il confezionamento nella carta stagnola dorata, che protegge e caratterizza il
prodotto.
ZONA DI PRODUZIONE
La zona di produzione è allargata ormai a tutto il Piemonte, ma Torino e provincia comprendono almeno il 90% della produzione totale di giandujotti.
TRADIZIONALITÀ
Il primo segno nella storia dell’unione del cioccolato con le nocciole data il 1685, quando il Marradon lo cita nel Tractatus Novi De Potu Caphe De Chinesium The Et De Chocolata, Parigi. In quel tempo il cioccolato semplicemente si mescolava con le nocciole a pezzi e non tostate. I tentativi di miscelare nocciole con cioccolato hanno probabilmente una doppia origine: da un lato il tentativo di “surrogare” il cioccolato puro, dall’altra quello di “diluirlo” per il costo crescente del cacao, dettato da un blocco alle importazioni posto da Napoleone
Il vero inventore del cioccolato “gianduja” fu Michele Prochet, cioccolatiere a Torino, che già nel 1852 lo produceva. Solo nel 1865 sono stati prodotti e messi in commercio i primi giandujotti. La consacrazione del nome è avvenuta ufficialmente nel 1869 ad opera direttamente di Gianduja, re del carnevale torinese. La maschera, che durante il carnevale era investita di una specie di grottesca e benevola autorità di governo sulla città, dopo aver platealmente assaggiato i già famosi cioccolatini, rilasciò una “pergamena economica” a Monsù Caffarel Prochet Gay in cui si attesta
“lippis et tonsoribus a sia notori che chiel a l’a ben merità a la nosta fera fantastica del 1869”.
Il legame con la maschera torinese non si ferma qui: secondo un celebre burattinaio del tempo, la forma del giandujotto evocherebbe l’ala del tricorno di Gianduja, ma soprattutto colpì all’epoca il fatto che questo “moderno” cioccolatino fosse incartato, primo tra tutti i futuri epigoni, con regale carta dorata. Anticipando i moderni processi di promozione commerciale, poi, la popolarità del giandujotto fu aumentata facendo distribuire da decine di maschere “Gianduja” i cioccolatini durante il carnevale
La storia del giandujotto comincia come prodotto del tutto artigianale, con una lavorazione manuale che ne determinò per sempre la forma; poi muta, in seguito alla sempre crescente richiesta, in un prodotto a cui si applica la tecnologia dell’inizio del novecento, quando compaiono le prime colatrici e le prime macchine per produzioni di serie. A questo punto la miscela si arricchì di latte e burro di cacao, che servirono per rendere la massa più lavorabile dalle nuove macchine. Solo il confezionamento rimase a lungo manuale, e si automatizzò quando il giandujotto divenne più regolare per peso e forma in seguito all’uso degli stampi e del miglioramento dei macchinari automatici.
Un ruolo importante lo hanno avuto i lavoratori che hanno contribuito al mito torinese del giandujotto, molto rinomate erano infatti le “cicolatere” che formavano i prodotti e che ancora erano presentiin Torino negli anni ’50.
Bibliografia
- E. Duval, Traité General De Confiserie Moderne, Parigi, 1905
- Giuseppe Ciocca, Il Pasticcere E Il confettiere Moderno, Milano, 1907
- C. Isaia, Turin Et Ses Environs, Torino, 1911
- C. Perotti, Orizzonti Di Cioccolata Per Gli Eroi Della Cronaca, “L’informatore Industriale”, n° 5, marzo 1987
- Vitalba Paesano, Dolce Business – Storia e miti dell’industria dolciaria italiana, Il Sole 24 Ore Libri, Milano 1996
- Mario Marsero, Dolci e delizie subalpine: piccola storia dell’arte dolciaria a Torino e in Piemonte, Edizioni Anteprima, 2004
- Clara e Gigi Padovani, Gianduiotto Mania – La via italiana al cioccolato: storia, fortuna, ricette, Giunti Editore, 2007
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