UNA VISITA AL MUSEO: MUSEO ARCHEOLOGICO DI REGGIO CALABRIA
I Bronzi di Riace ripescati nelle acque di Riace nell’agosto del 1972 in origine erano cinque e non due. Facevano parte di un gruppo statuario che rappresentava il momento subito precedente al duello fratricida fra Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, del mito dei Sette a Tebe collegato con quello di Edipo. E’ la la nuova ipotesi sull’identità dei Bronzi, noti come A e B e ritrovati 48 anni fa, elaborata da Daniele Castrizio, professore ordinario di Numismatica greca e romana all’Università di Messina e membro del comitato scientifico del MArRC, il Museo Archeologico di Reggio Calabria dove le due statue sono esposte al pubblico.
I tre misteri dei Bronzi
“I Bronzi di Riace erano biondi e dorati e furono realizzati ad Argos, nel Peloponneso greco, entrambi nella metà del V secolo, a poca distanza temporale l’uno dall’altro, nella stessa bottega ma da maestranze diverse. Si è capito che B corregge gli errori di A, che rimane comunque la statua perfetta nella tecnica di fusione del bronzo tra quelle arrivate sino a noi dall’antichità”, spiega l’archeologo Castrizio all’Agi illustrando i dati ottenuti dalle analisi dei materiali. Grazie al salto recente compiuto dalla tecnologia, si scioglierebbe finalmente uno dei tre misteri che da 48 anni accrescono il fascino intorno ai due ‘guerrieri’ e che sono un rompicapo per archeologi, scienziati e non solo. Almeno tre i grandi misteri il primo dei quali riguarda come si mostravano i Bronzi in antico, dove quando e da chi furono realizzati; il secondo relativo a chi rappresentassero e quanti fossero; il terzo: come e perché finirono nelle acque di Riace. Ad alcune di queste domande la scienza è ora finalmente in grado di rispondere, mentre nelle acque di Riace hanno preso a indagare i sonar in cerca del relitto e delle ipotetiche altre statue. Una certezza ormai conclamata è che i due guerrieri furono realizzati ad Argos: la prova è l’argilla con cui furono creati i modelli poi utilizzati per gli stampi in cera nei quali fu colato il bronzo. Una certezza maturata già nei primi anni del Duemila e dimostrata dal gruppo di lavoro “Restauro come conoscenza” diretto da Mario Micheli attraverso l’analisi petrografica delle terre di fusione (I Bronzi di Riace: restauro come conoscenza, Volume 1, Museo Nazionale di Reggio Calabria e Istituto Centrale per il Restauro, Artemide, 2003).
La provenienza di argilla e bronzo
Riguardo alla provenienza della terra argiva ritrovata nei Bronzi, secondo Castrizio, si sono fatti notevoli passi avanti. “Siamo in una fase avanzatissima. – spiega l’archeologo – Fino a pochi anni fa, non sapevamo quasi nulla e si brancolava nel buio delle ipotesi, ora siamo addirittura a circoscrivere il punto preciso in cui fu prelevata la terra”. Che non è la stessa, chiarisce Massimo Vidale, archeologo e docente di Metodologia della Ricerca Archeologica dell’Università di Padova: “Le terre sono diverse abbastanza da sostenere l’ipotesi di due luoghi di produzione diversi, anche se non lontani”.
“I due bronzi, per i quali a livello stilistico si erano proposte datazioni diverse e con scarti anche di 50 anni, sono praticamente coetanei – spiega Castrizio -: siamo nella metà del V secolo, l’argilla proviene da due cave vicine. La bottega non poteva che essere ad Argos dove era attivo Pythagoras di Reggio, il bronzista considerato da Plinio tra gli eccelsi, con Fidia, Mirone e Policleto, nella cui bottega lavorava il nipote Sostrato, che ne proseguì l’opera”.
Dorate e nere: così le statue in origine
Novità anche sulla provenienza del bronzo, secondo le analisi della lega. Mentre sull’evoluzione tecnica, la ricostruzione di Castrizio tiene conto degli elementi mancanti: “B corregge A – spiega Castrizio -; per esempio, in A l’elmo era fissato con una barra di ferro, mentre in B i maestri hanno capito che conveniva deformare la scatola cranica. Sulla spalla di B, inoltre, c’è un gancio assente in A e che serviva per fissare con un altro punto l’attacco dello scudo che forse in A si era visto creare un effetto vela a causa del vento”. Accortezze e migliorie anche nella realizzazione del costato: “Mentre A era modellato tutto a mano, pensiamo al lavoro certosino di realizzare i riccioli dei capelli singolarmente, in B, per simulare le costole, i maestri inserirono nel modello dei salsicciotti d’argilla”. Novità assoluta dei nuovi studi intorno ai Bronzi, secondo Castrizio, è il loro colore. In età greca le statue apparivano bionde e dorate, in età romana erano nero lucide. “Il nero lucido è il colore che assumono dopo il restauro che subirono quando furono trasferite a Roma – spiega l’archeologo -. I Bronzi in origine erano esposti probabilmente ad Argo, ma dopo la conquista della Grecia e le spoliazioni del 146 a.C. di Lucio Mummio, furono portati nella capitale e qui esposti almeno fino al IV d.C..
Le origini mitologiche
Un biondo, precisa Castrizio, “non biondo Marylin, ma fulvo, con del rosso. In greco biondo è xanthos che in latino è fulvus“. A questo punto restano due misteri: chi rappresentassero e perché finirono nel mare di Riace. Qui le ipotesi di Castrizio prendono forza grazie a fonti letterarie e confronti iconografici. E ne fornisce la ricostruzione grafica e fotografica elaborata da un suo collaboratore, Saverio Autellitano. “Il fatto che fossero biondi avvalora la mia ipotesi sulla loro natura eroica e mitologica. La mia idea è che A e B siano Polinice ed Eteocle, fratelli di Antigone, che si sfidano a duello per il trono di Tebe. Publio Papinio Stazio, nell’XI libro della Tebaide, li descrive in modo preciso, perché li vede a Roma, forse esposti in una esedra sul Palatino”. Li avrebbe visti anche l’apologeta cristiano Taziano che nel II d.C. ne parlerebbe nel Catalogo delle Statue. Ma la svolta è la Tebaide di Stesicoro di Metauro che racconta la scena alla quale è ispirata l’iconografia del gruppo statuario. A delineare l’ipotesi che i Bronzi facessero parte di un gruppo statuario rappresentante il mito dei Sette a Tebe, in realtà, era stato già vent’anni fa l’archeologo Paolo Moreno (I Bronzi di Riace, Il Maestro di Olimpia e i Sette a Tebe, Electa, Milano).
Destinazione Costantinopoli
Secondo Castrizio, i Bronzi erano esposti ai lati di un gruppo che vedeva al centro la loro madre Euryganeia, con le braccia allargate e disperata mentre cerca di dissuadere i figli dal duello, e fra loro Antigone e l’indovino Tiresia. “Le parole di Tiresia – spiega – irritano Polinice, cioè A, che digrigna i denti, ecco perché sono d’argento e la sua bocca è aperta. Nel testo di Stazio, che vede le statue ma non conosce la storia di Stesicoro, e quindi scambia Tiresia per Creonte, si legge di un Polinice ‘hostile tuens’ che guarda cioè in modo ostile Eteocle, B, quando gli vede sulla testa la kynè, la cuffia del potere militare e politico. Mentre B tiene basso lo sguardo, A lo tiene davanti a sè con l’occhio sinistro lievemente strizzato, come ci siamo accorti di recente e le misurazioni confermano”.
I dubbi sul ritrovamento
Se le statue erano cinque, che fine hanno fatto le altre presunte tre? Nei quasi 50 anni dal ritrovamento, avvenuto a 10 metri di profondità e a 300 dalla riva, che segnò una pagina epocale per tutta l’Italia c’è una storia parallela, fatta di cause in tribunale, denunce e, per alcuni, anche di depistaggi. Una storia sulla quale sono attive le indagini dei carabinieri e su cui in qualche modo anche la Soprintendenza vuole vederci chiaro, avendo autorizzato di recente indagini mai eseguite prima d’ora nel punto in cui, nell’anno del ritrovamento dei Bronzi, una nave americana segnalò la presenza di qualcosa in fondo al mare, a molti metri dal punto in cui poi furono recuperate le statue. Da un primo esito, risulterebbe che al largo della costa di Riace ci sarebbero 16 echi sonar indicanti masse di metallo, forse il relitto della nave che trasportava un carico di statue da Roma. Secondo Castrizio, i Bronzi assieme ad altre opere d’arte erano in viaggio verso Costantinopoli nel IV d.C., perché Costantino voleva adornare con esse la sua nuova capitale. Un evento avverso avrebbe costretto i marinai a disfarsi di buona parte del carico oppure fece affondare la nave.
Fonte @wikipedia
Le Vie di Dante
Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni (GE)
Castello Sam Benelli a Zoagli (GE)
La morte di Marat di Jacques-Louis David
La morte di Marat, anche noto come Marat assassinato (La Mort de Marat) è un dipinto a olio su tela (165×128 cm) di Jacques-Louis David, realizzato nel 1793 e conservato nel museo reale delle belle arti del Belgio di Bruxelles.