ARTICOLO DI QUALITY OF LIFE MC
Il pane una volta aveva un ruolo molto importante nella dieta delle popolazioni dei climi temperati e non era per tutti; infatti, nel XVI secolo il grano figurava soltanto sulla tavola dei più benestanti. Nel periodo dell’Alto Medioevo ci fu il raffronto fra la cultura alimentare greco-romana, basata sui cereali, con quella celtico-germanica, e si risolse con una integrazione culturale che le modificò entrambe, favorendo la nascita di tante realtà locali, che identificarono in alcune specialità gli usi e costumi del luogo. La cultura del pane si estese dal Sud verso il Nord, grazie al contributo dei centri monastici, ai quali sono legati anche miracoli e leggende. Sul finire del 1700 e nei primi anni del 1800, possedere un grande forno era, soprattutto nei piccoli centri abitati, una grande fortuna e nel poverissimo Monastero di Ischia ce ne era uno che era meta di molti abitanti del luogo i quali, portando la farina raccolta, ricevevano del pane cotto dalle suore con il quale venivano sfamate le famiglie. Ed è proprio a questo Monastero, che è legato un evento misterioso: durante una estate priva di raccolto, che aveva messo a dura prova le persone, il giorno del Corpus Domini sotto le mani di Madre Maria Maddalena la farina si rapprese e il composto andò inspiegabilmente ad aumentare divolume pronto per essere trasformato in pagnotte per sfamare tutti. Un evento che ancora oggi viene ricordato con molta devozione. Il pane raffigura per l’uomo il riscatto dalla fame ma anche la capacità di dominare la natura. Nella civiltà contadina il pane è il simbolo per eccellenza dei cicli stagionali e si inserisce in tutta quella serie di riti che servono a riscattare da quel senso di insicurezza e precarietà su cui si basava il vivere quotidiano.
I territori, nei vari periodi storici, hanno risposto in modo diverso alla cultura del pane; nelle regioni intermedie, come per esempio l’ Italia Padana, a dispetto della profonda romanizzazione subita nei secoli precedenti, si puntò all’impronta continentale. Furono privilegiati i cereali adatti a climi più rigidi, come l’ orzo, l’avena, il miglio, il sorgo e soprattutto la segale, vera “invenzione” e scoperta dell’Alto Medioevo.
C’era una rilevante discrepanza di alimentazione tra i ricchi e i poveri. In condizioni normali il grano era canalizzato verso la città, dove i cittadini mangiavano pane bianco di frumento, mentre i contadini, nelle campagne, continuavano a consumare il pane nero e la polenta di cerali considerati inferiori. Nella piramide alimentare e nel tradizionale modello alimentare mediterraneo, i cereali sono la fonte principale di energia dell’alimentazione e dovrebbero occupare il 60% del consumo giornaliero.
Il pane dovrebbe essere consumato tutti i giorni, almeno due volte al giorno ma attualmente il consumo è del 12% sul totale degli alimenti. L’Italia ha una robusta cultura del pane, ogni regione coglie antiche tradizioni e culture, che molte volte trovano le radici nel mistero di epoche lontane. Ricette che scovano forme, dosi, lievitazioni, profumi, impasti, prodotti, in ricettari di spiccato valore culturale, storico e artistico.
L’Italia vanta più di 300 tipi di pane, che differiscono per il tipo di farina, il lievito e la cottura. Molti di loro hanno ottenuto il marchio di Prodotto Italiano a Denominazione di Origine Protetta (DOP) o di Indicazione Geografica Protetta (IGP).
Quali conosciamo?
–il grissino di Torino, l’invenzione risale al Trecento per risparmiare in un tempo di notevole austerità;
– la michetta in Lombardia, arriva nell’Ottocento durante il dominio degli Austriaci;
– le tigelle in Emilia Romagna, un pane montanaro che prende il nome dalla piastra in cui sono cotte; supplivano alla scarsità di grano nell’Appennino Modenese;
– il pane toscano per l’antica rivalità con i Fiorentini, i Pisani a un certo punto bloccheranno il trasporto di sale a Firenze e si iniziò a fare il pane senza sale;
– la frisella in Campania, Puglia e Calabria, il buco centrale serviva per legarle insieme con una corda, era il pane dei pescatori che lo inzuppavano nell’acqua di mare prima di mangiarlo;
– il pane carasau in Bargagia (Sardegna), si conserva a lungo fino a 6 mesi; era destinato ai pastori che trascorrevano lunghi mesi lontano da casa;
– il Pan d’ordiu a Carpasio (Liguria) è fatto con macinato d’orzo, lievito madre e acqua di sorgente, che si condisce con pomodoro, acciughe, olio e basilico come facevano anticamente i pastori;
– il pan di sorc sia salato, oppure dolce e speziato non cambia l’impasto; è fatto di un mix di tre farine, confrumento e segale a cui si aggiunge il mais cinquantino (chiamato sorc in friulano), che genera una mollica gialla e il caratteristico aroma di polenta;
– la Crescia è il pane più diffuso delle Marche, proposto anche in tantissime varianti: nella versione classica
ha una forma piatta e tondeggiante, simile alle piadine, ed è condita con olio, sale, rosmarino e cipolla;
– la pitta, in Calabria è una ciambella bassa di grano tenero e strutto, morbida e quasi senza crosta;
– il Parrozzo (da non confondere con l’omonimo dolce abruzzese), in Molise è fatto con una miscela di farina di mais e di grano tenero più patate lessate;
– il Pani câ meusa offerto dalla Sicilia è diventato uno degli emblemi dello street food italiano.
Anche la Basilicata contribuisce al grande tesoro dei pani d’Italia con alcuni pezzi forti: tra i più prelibati c’è il pane di Matera igp, fatto ancora oggi seguendo il tradizionale sistema di lavorazione che usa rigorosamente semola di grano duro, di cui almeno il 20% di cultivar antiche (come Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, e Appulo) obbligatoriamente coltivate nella provincia di Matera.
L’arte della panificazione nel nostro Paese affonda le sue radici nell’antichità: arrivando dal bacino del Mediterraneo si è incuneata anche nei luoghi più nascosti della Penisola, una ricchezza che conserviamo gelosamente e che sta tornando ad essere una risorsa nella nuova economia legata alla potenza dei borghi da riscoprire, che ridestano gli interessi sulle culture di uno straordinario passato.
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