Il Decreto del 23 ottobre 2014, all’art. 5, comma c) introduce, forse per la prima volta nel contesto della conservazione degli alberi monumentali il “valore ecologico”. Nel dispositivo si fa specifico riferimento “alle presenze faunistiche che su di esso si insediano, alla rarità delle specie coinvolte, al pericolo di estinzione ed al particolare habitat che ne garantisce l’esistenza. L’albero può rappresentare un vero e proprio habitat per diverse categorie animali in particolare: entomofauna, avifauna, micro-mammiferi.
Tale prerogativa si riscontra soprattutto in ambienti a spiccata naturalità, dove la salvaguardia di queste piante rappresenta elemento importante per la conservazione di specie animali rare o di interesse comunitario”. Ne consegue che l’albero “monumentale” è un importante elemento ecosistemico identificato con i tratti morfologici dell’albero veterano o senescente che, per il suo travagliato trascorso di vita, possiede un’elevata densità di “microhabitat”.
La definizione di valore ecologico pone l’accento su due punti fondamentali: il primo, che gli alberi vetusti possono ospitare specie rare e protette, incluse nella Direttiva Habitat (92/43/ECC) e/o in Liste Rosse; il secondo, che tali specie vi si insediano perché trovano particolari habitat.
Gli alberi vetusti, soprattutto se con diametro superiore a 80-90 cm, rappresentano una risorsa trofica e spaziale vitale per diverse specie animali altamente specializzate, soprattutto se tali alberi si trovano in ambienti ben conservati.
Molte di queste specie vengono definite saproxiliche, termine che identifica gli organismi che dipendono, almeno in una parte del proprio ciclo vitale, dalla presenza di legno morto o deperiente di alberi vivi o morti.
Se ad una prima analisi un albero vetusto può apparire come un’entità unica, l’osservazione degli organismi che vi abitano permette di identificare diverse componenti, entità “discrete” con caratteristiche molto diverse: i microhabitat. Con il termine habitat si definisce un luogo, con determinate caratteristiche fisiche, chimiche e climatiche, dove un organismo vive.
Allo stesso modo, il microhabitat è una parte distinta e distinguibile di una pianta, che ospita insiemi diversi di specie (Siitonen, 2012).
Grazie alla presenza dei microhabitat, l’albero è in grado di sostenere una notevole ricchezza di specie: una “megalopoli arborea” come la definisce Martin Speight (1989), entomologo inglese che ha coniato il termine “saproxilico”) costituita da diversi insiemi di organismi, che adattati a sfruttare risorse limitate, si susseguono per generazioni.
Date le ridotte dimensioni, i microhabitat tendono ad ospitare specie di piccola taglia, adattate a sfruttare la degradazione del legno operata dai funghi per poter trarre dagli alberi risorse alimentari e rifugi (con condizioni microclimatiche idonee).
I microhabitat presentano una notevole diversità strutturale, includendo ad esempio cavità, essudati, branche morte e corpi fruttiferi fungini.
Il riconoscimento e catalogazione di tali strutture, nell’ambito del censimento degli Alberi monumentali d’Italia, è stato reso possibile grazie al Catalogo dei microhabitat degli alberi (Kraus et al., 2016), nella versione italiana curata dal Centro Nazionale per lo Studio e la Conservazione della Biodiversità Forestale “Bosco Fontana” Carabinieri.
La formazione dei microhabitat è un processo che richiede tempo; i lenti processi di decomposizione del legno che possono manifestarsi sulle piante vive assumono in quest’ottica un carattere positivo, aumentando il valore ecologico della pianta per le comunità saproxiliche. L’età dell’albero è generalmente associata all’aumento della quantità e diversità dei microhabitat presenti.
Anche se alcune di queste strutture possono formarsi su alberi più giovani, la maggior parte richiede tempi molto lunghi e quindi la conservazione di molte specie rare e in pericolo richiede la presenza di alberi vetusti e la loro continuità spazio-temporale.
La presenza di cavità è particolarmente importante ed accresce il valore di un albero come habitat per la fauna: queste strutture, particolarmente longeve, offrono un ambiente protetto e con condizioni microclimatiche più stabili rispetto all’ambiente esterno.
Le cavità degli alberi (es. Quercus sp., Fagus sylvatica, Castanea sativa) con abbondante rosura sono fondamentali per la conservazione dello scarabeo
eremita (Osmoderma eremita s.l.), specie rara e inclusa negli allegati I e IV della Direttiva Habitat.
Diverse sono le specie di coleotteri saproxilici, inclusi nella Direttiva Habitat, la cui presenza è vincolata dalla disponibilità di alberi vetusti (es. Lucanus cervus, Rosalia alpina, Cerambyx cerdo), e diverse sono le specie protette di mammiferi (es. Sciurus vulgaris, Barbastella barbastellus), uccelli (es. Dryocopus martius, Ficedula albicollis), rettili (es. Zamenis longissimus) e anfibi (es. Hyla arborea) associati alle medesime strutture.
Una panoramica delle specie che possono essere osservate è stata inclusa nel volume Censimento degli alberi monumentali: guida al rilievo del valore ecologico (Zapponi et al., 2016).
E’ importante ricordare che, ai sensi della Direttiva Habitat, la tutela di tali specie proibisce la cattura o uccisione degli esemplari nonché l’alterazione del loro habitat.
Tali vincoli possono essere derogati solo dietro autorizzazione del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e per motivi inerenti la conservazione, la didattica, la ricerca scientifica e motivi di rilevante interesse pubblico.
Per quanto riguarda il valore ecologico, il concetto di “monumentale” non corrisponde solo ad un elemento astratto, bensì a una componente dell’ecosistema, che necessita di continuità spazio temporale.
Ad esempio, gli insetti specializzati degli alberi monumentali senescenti (Stokland et al., 2012) si trovano con maggiore frequenza per albero nei siti in cui la loro densità è più alta.
Recenti studi su alcuni gruppi di coleotteri, dimostrano che la loro capacità di dispersione varia da 500 a 5000 m.
A scala di paesaggio, l’efficacia in termini biologici di un albero monumentate (che si identifica anche come veterano o senescente) è tanto più utile se esso è situato vicino ad altri soggetti ricchi di microhabitat.
E’ un modello di paesaggio che affonda nella storia delle foreste primeve temperate europee. Dati paleoecologici (Stokland et al., 2012) messi anche in evidenza dall’ipotesi speculativa di Vera (2000), dimostrerebbero che, a partire dall’Olocene (convenzionalmente 11.700 anni fa) ’”l’open-parkland” (paesaggio forestale aperto) modellato dall’azione del pascolo dei grandi erbivori, sia stata la formazione forestale dominante in Europa.
Esempi di paesaggio a “pascolo arborato” con buone densità di alberi monumentali (spesso con diametro (DBH) di oltre 1 m) si possono trovare oggi in zone alpine ed appenniniche, dove le fasi forestali “aperte” sono mantenute dalla presenza del pascolo semibrado.
Nel pascolo arborato nell’area prealpina la rinnovazione del faggio è assicurata dalla protezione degli arbusti spinosi o da densi e rigidi “cuscinetti” di faggio brucato Mason, 1990).
Nel paesaggio agrario italiano, che rappresenta una forma estrema di open-parkland o di pascolo arborato, i filari di gelso capitozzati della piantata veneta o lombarda (Sereni, 1976) assicurano ugualmente la continuità dell’habitat per un grande coleottero a scarsissima mobilità, quale Osmoderma eremita specie chiave e protetta.
Gli alberi vetusti rappresentano spesso eredità di gestioni del territorio abbandonate da tempo: l’intensificazione del suolo e la scomparsa degli interventi tradizionali sono due delle principali cause della rarefazione di tali alberi (Siitonen and Ranius, 2015).
La loro conservazione richiede interventi attivi mirati a garantirne la continuità temporale
Fonte @Ministerodell’AMbiente @MasonFranco @ZapponiLivia