La pittura Rinascimentale a Firenze- Masaccio

Pittura del Quattrocento – Masaccio

Le concezioni Rinascimentali condizionano e rivoluzionano il modo di dipingere Arte, il promotore che segue le idee del Brunelleschi e del Naturalismo di Donatello, lo possiamo riconoscere senza dubbio in Tommaso detto “MASACCIO”La nuova concezione prospettica dello spazio è il fondamento del carattere della pittura Rinascimentale. I vari piani della visione sono composti in maniera unitaria dando spazio e collocazione alla figura umana e alle vicende in essa rappresentate.

La figura umana è al centro della rappresentazione rinascimentale con i suoi contorni nitidi e definiti. La luce plasma sia la struttura anatomica che l’espressione caratteriale definendo i valori plastici delle forme.

MASACCIO

Tommaso detto “Masaccio” nasce a San Giovanni Valdarno nel 1401. Trasferitosi a Firenze a modo di fare conoscenza delle concezioni artistiche del Donatello e del Brunelleschi. Nel 1427 si reca a Roma dove morirà di li a poco all’età di 27 anni. Masaccio è nella pittura quello che rispettivamente rappresentano DOnatello nella scultura e Brunelleschi nell’Architettura, anch’esso un rivoluzionario stilistico e concettuale.

Egli prosegue il cammino iniziato da Giotto sulla concezione naturalistica dell’arte, portandola alle estreme conseguenze e alla ricerca di nuove concezioni estetiche della prospettiva. Le figure non sono più astrattamente collegate ma vengono inserite in un ambiente architettonico e naturale, concreto e determinante un rapporto più armonico tra uomo e natura.

Giocando con luci ed ombre, oltre al senso del rilievo caratterizza le espressioni dei personaggi con un sapiente chiaro scurale, e nella definizione dei gesti ci rappresenta una umana realtà. Nessuna divagazione decorativa o aneddotica tipica dell’arte gotica ma solo una concentrazione sui gesti e le espressioni dei suoi personaggi.

Trale sue opere più emblematiche ricordiamo:

Affreschi della Cappella Brancacci

IL TRIBUTO

La narrazione prosegue accanto alla Cacciata, sul registro superiore della parete sinistra, con la grande scena del Pagamento del tributo, universalmente riconosciuta come una delle più alte espressioni dell’arte di Masaccio, databile al 1425 ed eseguita in 32 “giornate”.

L’affresco illustra l’episodio riportato nel Vangelo di Matteo (Mt 17, 24–27) in cui Pietro chiede a Gesù, nella città di Cafarnao se è legittimo pagare i tributi ai Romani, in presenza dello stesso gabelliere romano. Gesù risponde affermando di rendere “a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» e indica a a Pietro il lago in riva al quale troverà un pesce nella cui bocca ci sarà una moneta d’argento con la quale potrà pagare il tributo.

Si vede quindi a sinistra Pietro, piccolo in quanto posto in prospettiva, piegato espressivamente a raccogliere la moneta dal pesce dopo avere appoggiato la toga a terra (notare la disposizione realistica ed espressiva delle gambe dell’apostolo). Il gruppo centrale invece mostra Gesù, al centro, che indica a Pietro la riva del lago, attorniati dai dodici apostoli con aureola (una composizione probabilmente ispirata al gruppo dei Quattro Santi Coronati di Nanni di Banco), mentre davanti a loro, di spalle, il gabelliere manifesta chiaramente la sua richiesta di denaro allungando la mano aperta e indicando con l’altra la porta cittadina. A destra infine si vede Pietro che consegna, con una certa solennità, la moneta al gabelliere.

Emblematico è nel gruppo degli apostoli la figura a destra, vestita di color vinaccia, che appare molto ben definita nei lineamenti, con zazzera e barbetta. Secondo alcuni potrebbe trattarsi dell’autoritratto di Masaccio (che altri individuano invece nella scena sottostante), mentre altri lo indicano come possibile ritratto del committente Felice Brancacci.

Questa celeberrima scena è composta in tre tempi composti però in un unico spazio scenico, entro il medesimo paesaggio. Esso è scandito da una serie di tronchi e da varie montagne che sfumano all’orizzonte, mentre a destra si trovano le articolate mura della città composte con giochi di contrasto tra vuoto e pieno (la loggetta aggettante, le tettoie, ecc.). Inedito è anche il trattamento realistico del paesaggio, soprattutto nei monti erbosi che sfumano in lontananza: niente di più diverso dalle rocce aguzze usate da Giotto e continuatori seguendo la tradizione bizantina. La prospettiva è quindi unica (e ha il punto di fuga dietro la testa di Cristo), ma anche la luce, con le ombre determinate con la stessa inclinazione dei raggi del sole. Il gruppo degli apostoli è disposto nello spazio attorno al Cristo con coerenza e il loro insieme sembra volere ribadire la volontà dell’uomo e la sua centralità.

Le due figure monumentali di Pietro e del gabelliere a destra sono saldamente piantate sul suolo e sembra di percepirne la massa plastica perfettamente sviluppata dal chiaroscuro.

La scelta della scena del Tributo viene rappresentata raramente dagli artisti tra le storie di Pietro e la sua presenza, oltre che celebrare la sapienza divina, allude probabilmente all’istituzione del catasto che sarebbe avvenuta di lì a poco (1427), ma che era già nell’aria: come Cristo accetta la logica terrena di pagare un tributo, così i cittadini dovevano sottostare all’obbligo civico di versare le tasse richieste.

La cacciata dei progenitori

Particolare della Cacciata MASACCIO

La Crocifissione dello smembrato polittico Pisano

Sulla tavola lignea è stesa una foglia d’oro a fare da sfondo, tecnica in voga in epoca bizantina e alto medievale, ma quasi in disuso per un’opera del ‘400; le figure sono dipinte a tempera e rappresentano pienamente la disperazione della Madonna, di san Giovanni e di Maria Maddalena dinanzi a Cristo appena spirato sulla croce. Maria, sulla sinistra e rivolta verso il simbolo del martirio, è impietrita nel suo mantello blu: il dolore nel viso che rimane a bocca aperta, la mani giunte che restituiscono ancora di più la disperazione di una madre che vede morire il suo unico figlio.

Sulla nostra destra si staglia la figura di Giovanni che, con lo sguardo perso nel vuoto, tiene le mani giunte a reggere il volto gemente di dolore. Interessante è la figura di Maria Maddalena che, in una congiuntura così statica di figure, è l’unica che dà vitalità alla scena; inginocchiata ai piedi della croce e di spalle, Masaccio ci trasmette tutta la sua disperazione tramite il solo gesto delle braccia aperte verso l’alto, quasi a voler toccare l’anima di Cristo che sta salendo al Padre.

Qui l’artista ci rivela quanto la lezione giottesca, della novità figurativa delle espressività delle figure, sia stata esemplare: lo stesso gesto in cui qui compare la Maddalena, viene introdotto per la prima volta con Giotto che, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, nella scena del “Compianto su Cristo morto” dipinge Giovanni in quella stessa posa. È la figura di Cristo, appena spirato sulla croce che si staglia al centro della tavola, ad attirare l’interesse e lo sguardo di studiosi e visitatori; quello che subito colpisce, e potrebbe indurre a valutazioni errate sulle capacità dell’artista fiorentino, è che Gesù con la testa leggermente piegata sulla spalla destra, si presenta senza collo con il capo praticamente attaccato alle spalle. Quello che a molti potrebbe sembrare un difetto è semplicemente un accorgimento prospettico, operato sapientemente dal Masaccio, poiché questa tavola era il pannello più alto del polittico di cui era parte. Difatti, se ora lo osservassimo quasi schiacciati a terra, il Cristo ci apparirebbe perfettamente disegnato come se fosse all’altezza considerevole a cui era posta la Crocifissione di Massaccio nel grande quadro composto di Pisa

Affresco della Trinità in Santa Maria Novella

Nella Trinità del Masaccio viene raffigurata la scena della Crocifissione all’interno di una nicchia. In basso vediamo un sarcofago con appoggiato uno scheletro. A far da cornice alla Trinità una coppia di coniugi oranti. L’architettura è composta da un arco classico sostenuto da due colonne con capitello ed una volta a botte con lacunari.

Osserviamo che tutte le figure della scena sono comprese all’interno di uno schema triangolare (il triangolo è simbolo del numero tre e quindi della Trinità stessa). Le tre figure della Trinità, cioè Padre, Figlio e Spirito Santo, sono inoltre disposte secondo un modello iconografico ancora trecentesco, chiamato “Trono di Grazia”, con Dio che regge la croce di Cristo. La figura del Padre è collocata in piedi sopra una piattaforma orizzontale e ha l’aspetto di un vecchio dalla barba bianca, secondo una nuova iconografia comparsa già nel secolo precedente. La sua espressione è severa e la sua aureola sfiora la volta della cappella, sicché egli appare gigantesco: in realtà, la sua statura è uguale a quella di Cristo.

L’iscrizione latina invita l’osservatore a meditare sull’ineluttabilità della morte e si definisce un “memento mori” (ricordati che devi morire). La scritta recita: IO FU’ GIÀ QUEL CHE VOI SETE, E QUEL CH’I’ SON VOI ANCO SARETE.”

Approfondimento RAI PLAY

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