Pittura del Quattrocento – Filippo Lippi
Nato verso il 1406 a Firenze, diventa Frate Carmelitano nel 1419 e lavora, come pittore, a Firenze, Padova, e in altri centri; nel 1456 rapisce una suora e la sposa, dopo che entrambi sono stati sciolti dai voti; muore a Spoleto nel 1467. Artista dal temperamento vivace, sensibile alle più diverse influenze, coglie l’importanza della lezione di Masaccio, al cui rigore formale e etico contrappone un carattere più portato a forme instabili e vaghe ed all’espressione immediata di stati emotivi. La sua pittura dal disegno lineare elegante e fluido, non fissata in solide forme geometriche, si mostra sensibile al dinamico gioco della luce (influsso fiammingo) all’interno di tutta la sua produzione artistica.
Opere principali del Beato Angelico
Madonna col Bambino: è il tema ricorrente nell’arte di Lippi, attraverso il quale si può seguire la sua evoluzione stilistica.
Le circostanze della committenza e la datazione dell’opera sono sconosciute, a causa della mancanza di documenti contemporanei. Il ritratto tradizionalmente riferito a Lucrezia Buti nel volto della Madonna farebbe pensare a un’opera del periodo pratese (1452-1466), mentre le dimensioni insolite hanno fatto ipotizzare che si trattasse di una celebrazione per un’occasione privata e personale dell’artista, come la nascita del figlio Filippino (1457), anche se la tradizione indica un ritratto del fanciullo nel bambino o, più probabilmente, nell’angelo che si volta in primo piano, spostando la possibile data al 1465 circa, in concordanza anche con l’analisi stilistica.
Un’iscrizione settecentesca sul retro della tavola testimonia la presenza del dipinto, a quell’epoca, nella villa di Poggio Imperiale, di proprietà dei Medici. Il 13 maggio 1796 è registrata in ingresso nelle Galleria Granducali, nucleo originario degli Uffizi.
Descrizione e stile
La composizione e l’uso del colore della Lippina sono estremamente innovatori e in anticipo sui tempi. Il gruppo è collocato, in modo del tutto originale, davanti ad una finestra aperta che mostra un paesaggio a volo d’uccello, dilatato fino alla linea d’orizzonte, ispirato dalla pittura fiamminga. In primo piano si trova la Madonna, nelle cui fattezze si celerebbe un ritratto della monaca e amante di Filippo, Lucrezia Buti. Il volto è malinconico ed è atteggiata nella posizione dell’adorazione del figlio, quasi a voler scongiurare, con la preghiera, il destino della Passione.
Essa è seduta su una seggiola e posta tre quarti, mentre la testa è di profilo. L’acconciatura elaborata, con veli impalpabili e perle, è un dettaglio di estremo virtuosismo, che venne ripreso in tutto il secondo Quattrocento fiorentino: se ne trova ad esempio una foggia identica nel Ritratto di fanciulla di Andrea della Robbia al Museo del Bargello, leggermente posteriore (1470 circa). Anche il vestito, con pieghe cadenzate ed eleganti e con giochi della luce che restituiscono la consistenza del velluto blu, è di estrema eleganza e trattiene istintivamente l’osservatore a una visione più dettagliata della figura sacra. Le perle, che compaiono sullo scollo del vestito, sull’acconciatura e sul cuscino, erano simbolo della purezza per le giovani spose, ripreso dal Cantico dei Cantici.
Nuovo è il taglio all’altezza del ginocchio, così come la disposizione del Bambino che è retto, anziché dalla Madonna, da due angeli: uno voltato e sorridente in primo piano ed uno seminascosto dietro. L’atteggiamento giocoso dell’angioletto bilancia la gravità pensosa della Vergine, con un risultato di sorprendente equilibrio.
Lo spazio, anche per le figure in primo piano, è illusionisticamente dilatato, come suggeriscono la disposizione in profondità degli angeli e alcune linee di forza prospettiche, come l’ala dell’angioletto in primo piano, che si proietta fuori del dipinto, oltre la cornice. Anche le ginocchia leggermente ruotate della Vergine contribuiscono a sottolineare questo effetto.
Straordinario è l’innovativo uso del colore: invece delle tinte tradizionali il pittore usò un’illuminazione chiara e tersa, con un effetto di unità atmosferica che soltanto Leonardo, decenni dopo, seppe riprendere. L’effetto naturalistico dell’insieme sorprese i contemporanei, che cercarono di replicare gli effetti senza riuscirci appieno. Esistono alcune copie di Andrea del Verrocchio e del giovane Sandro Botticelli (una alla Galleria dello Spedale degli Innocenti di Firenze), che non raggiungono un effetto altrettanto vivido. Lo stesso Lippi ne fece una nuova versione nel 1465 circa, oggi conservata nell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera (n. 647).
Affreschi del Duomo di Prato
La cappella Maggiore (Filippo Lippi)
La cappella è decorata dal preziosissimo ciclo di affreschi di Filippo Lippi, frate carmelitano e pittore. Le decorazioni parietali sono state eseguite dal 1452 al 1465 da Lippi insieme ad alcuni collaboratori, tra i quali spicca Fra’ Diamante. Tali dipinti ricoprono interamente le pareti della cappella con Storie dei Santi Stefano e Giovanni Battista e si possono ammirare in tutto il loro originario splendore grazie ai restauri terminati nel 2007, a cura della Soprintendenza ai beni Storici e Artistici di Firenze, Pistoia e Prato.
Nella volta a crociera appaiono gli Evangelisti, mentre sulla parete sinistra sono narrate le Storie di Santo Stefano, patrono di Prato e titolare della chiesa. Le vicende si leggono come di consueto dall’alto verso il basso, con la prima scena, la Nascita del Santo, inserita in un impianto prospettico all’interno della lunetta superiore: un demone alato sostituisce il neonato Stefano con un diavolo dalle stesse sembianze. Accanto è rappresentata la scena dell’Incontro tra Stefano e il vescovo Giuliano, al quale il Santo venne affidato in giovane età dopo varie peripezie. La partitura sottostante è raffigurata con il Congedo (o commiato) di Santo Stefano dal vescovo Giuliano per iniziare la sua missione in Cilicia, affiancata dalla Liberazione del corpo indemoniato e da una terza scenetta, la Disputa nella sinagoga. Nell’ultimo riquadro in basso è dipinta una scena ambientata all’interno di una basilica paleocristiana, ovvero le Esequie dopo il ritrovamento del corpo di Santo Stefano, con la salma del Santo al centro e due gruppi di personaggi disposti ai lati; in quello a destra sono presenti l’autoritratto dell’artista e i ritratti di Fra’ Diamante e di papa Pio II. La scena prosegue sul lato destro, sconfinando all’interno della chiesa, con la Lapidazione.
Sulla parete destra appaiono le Storie di San Giovanni Battista, patrono della città di Firenze. Le scene corrispondono a quelle opposte dedicate a Santo Stefano, infatti nella lunetta destra troviamo la Nascita del Battista, inserita in un’analoga scatola prospettica. La riquadratura centrale raffigura sulla destra il Commiato di San Giovannino dai genitori per ritirarsi nel deserto, seguita da San Giovannino in preghiera (rimangono poche tracce, eseguite a secco, di un angelo che porge la croce al santo) e la Predicazione del Battista sulla sinistra. I tre episodi sono inseriti in un unico fondale roccioso e scosceso. La parte inferiore è dedicata al Banchetto di Erode, con la famosissima scena centrale della Danza di Salomè, probabilmente un ritratto di Lucrezia Buti, amante di Filippo Lippi e madre di Filippino Lippi. Nello stesso ambiente sono compresenti altre due scene: la Decollazione del Battista, sulla destra di uno sfondo alberato, e la Presentazione di Salomè a Erodiade della testa del Battista, sulla sinistra.
Sulla parete di fondo è presente una vetrata, realizzata da Lorenzo da Pelago nel 1459 su disegno dello stesso Filippo Lippi. Nei tre ordini di edicole sottostanti, di chiaro gusto tardo-gotico, sono inseriti i Santi Giovanni Battista, Stefano e Lorenzo, nel mezzo si trovano invece rappresentati i Santi Paolo, Pietro e Andrea. La parte inferiore, rifatta nell’Ottocento, è dipinta infine con alcune Sante.
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