Marzolino di Lucardo PAT Toscana

  Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Toscana (Firenze, Siena)

Marzolino di Lucardo PAT

Sinonimi:

Pecorino di Lucardo.

Descrizione sintetica del prodotto:

Il Marzolino di Lucardo o Pecorino di Lucardo trae il proprio nome dalla zona in cui originariamente veniva prodotto. È un formaggio di latte di pecora, la cui lunga ed elaborata lavorazione, condotta principalmente da donne, è attestata da prima del XVII secolo e caduta in disuso nei secoli avvenire tanto che fino a qualche anno fa non esisteva produzione. Si tratta di un pecorino estremamente raffinato, la cui maggiore particolarità risiede nell’utilizzazione nella propria manifattura di fiori di cardo essiccato (detto presura) come caglio vegetale.
È un formaggio di latte ovino dal peso di circa 1 Kg e di colore bianco latte nel formaggio fresco, giallo paglierino nel formaggio stagionato a 6 mesi. Tale formaggio ha una forma ovale/tronco conica (storicamente si parlava anche di forma tonda) e la messa in forma viene effettuata utilizzando un panno in lino appeso. Il prodotto fresco presenta una pasta tenera e burrosa leggermente occhiata con un leggero sentore di erbe nel retrogusto. Nel prodotto stagionato a 6 mesi è presente un’occhiatura non abbondante e la pasta è compatta ma non secca né dura dal profumo di fieno e paglia, erbe mediterrranee e con lunga persistenza gustativa con leggere componenti amare.

Territorio interessato alla produzione:

Territorio di Lucardo, Certaldo, San Gimignano e in genere Val d’Elsa.

Produzione in atto: Attivo 

Descrizione dei processi di lavorazione:

Oggi la produzione del pecorino di Lucardo è stata ripresa con qualche variante rispetto alla ricetta storica.
Il marzolino si prepara mischiando latte ovino con caglio vegetale e sale. Un tempo il latte veniva scaldato per circa 3 ore alla temperatura di 38°C, a fuoco dolce fino alla completa coagulazione della massa. Ma ora, con le valutazioni attuali, è stato inteso il tempo delle tre ore come la fase che va dallo scaldare il latte all’estrazione della cagliata, in quanto il tempo di coagulazione della cagliata con il caglio vegetale è molto lungo (circa due ore). Dalla massa coagulata si separano due parti distinte: la prima detta “Liscio”, costituita dalla panna, e la seconda – il cacio – che nel testo storico veniva riposto in un piatto concavo dove in seguito veniva impastato per due ore fino ad assumere una forma tronco-conica. La fase dell’impasto avviene facendo assorbire una parte della panna alla massa caseificata fino a farle assumere la forma tronco-conica. Dopo l’impastatura, il formaggio veniva avvolto in un telo di canapa, mentre ora sono utilizzati i teli misto lino, e si procede allo spurgo che consiste nel traforare, molte volte, la forma con un bastoncino appuntito. Si ha anche la compressione che avviene stringendo il formaggio posto nel panno con due bastoncini (canne) e girato leggermente per fare uscire il siero. Questa operazione di spurgo richiedeva da 2 a circa 15/16 ore, mentre ora è stato valutato un tempo che varia dai due ai tre giorni. Terminata quest’operazione il formaggio veniva riposto in un panno di canapa e appeso per 24 ore a circa un metro dal camino per la fermentazione e l’asciugatura. Quest’ ultima fase è stata rielaborata ponendo il formaggio in un ambiente a temperatura costante e con la giusta umidità e vale a dire nella parte più bassa dello scaffale presente nella sala di lavorazione. L’ultima fase della stagionatura avviene per 8 giorni, in una cantina di tufo, dove la forma è rivoltata a giorni alterni per 4 volte circa, differentemente da prima che era rivoltata giornalmente, ungendola con olio d’oliva. Il formaggio viene lasciato in questo ambiente per 30-40 giorni circa, fino al raggiungimento della giusta morbidezza.

Materiali, attrezzature e locali utilizzati per la produzione:

  • Locale di lavorazione fresco ed asciutto
  • Caldaia
  • sale come anticoagulante nella preparazione della cagliata
  • schiumarola
  • teli misto lino
  • bastoncino appuntito
  • canne
  • panno di canapa
  • cella frigorifera
  • olio d’oliva per ungere la forma
  • cantina di tufo

Osservazioni sulla tradizionalità, la omogeneità della diffusione e la protrazione nel tempo delle regole produttive

La riscoperta di un prodotto tipico e tradizionale, come il Marzolino di Lucardo, è un’impresa difficile in quanto a distanza di 100 o 200 anni dalla sua scomparsa si sono tracciate grandi modifiche all’interno delle campagne toscane: sono cambiati i rapporti di lavoro, le forme di conduzione del fondo, sono migliorate le razze ovine e, infine, i gusti delle stesse persone sono cambiati. Motivi per i quali è difficile “risuscitare” il prodotto così com’era allora.
Però c’è di positivo che recuperare la storia di un prodotto significa anche ritrovare una parte d’identità perduta e quindi un ritorno al vissuto delle generazioni che ci hanno preceduto. Tale richiamo al vissuto permette alla tradizione di rinascere nel futuro.
La qualità e la bontà del Marzolino di Lucardo erano famose ben oltre i confini del Granducato di Toscana ed apprezzate dai grandi Papi e personaggi importanti. Infatti, per la sua grande qualità tanto apprezzata, il prezzo di questo formaggio, alla fine de XVIII secolo, superò quasi del doppio quello di altri stimati formaggi.
La sua manifattura era operata esclusivamente dalle donne che la consideravano come in conto di dote per facilitare l’accasamento. Inoltre, la produzione di questo pecorino era molto affermata nell’area fra Castelfiorentino e Lucardo durante il XVIII secolo perchè era legato ad una dimensione dell’allevamento ovino fatta da piccoli greggi, i cui prodotti erano principalmente lana e formaggio, diffusi nel territorio e che molto raramente superavano le dimensioni di 100 capi.

Produzione

Produzione ripresa da una ricetta antica grazie ad un progetto ARSIA- Cipa-at Toscana. Ad oggi sono quattro i produttori che hanno ripreso la produzione di questo formaggio.

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