Varese
IL PALAZZO ESTENSE
Nel 1766 il duca di Modena Francesco III d’Este, capitano generale e governatore della Lombardia austriaca, mentre era ospite a Biumo Superiore del marchese Menafoglio, decise di acquistare, per la villeggiatura, la dimora di Tommaso Orrigoni, che si trovava al limite del borgo. Varese con le sue Castellanze gli era stata infeudata, con poteri civili e giudiziari, il 23 giugno 1765 da Maria Teresa d’Austria, vita natural durante e a titolo personale.
Subito dopo l’acquisizione Francesco III intraprese lavori di ampliamento della proprietà Orrigoni mediante l’annessione dei terreni limitrofi. Ristrutturazione ed edificazione durarono dal 1766 al 1773, mentre il giardino era pronto nel 1771, anno in cui Francesco III si era stabilito a Varese. L’architetto Giuseppe Antonio Bianchi fu incaricato del progetto e di dirigere i lavori tra i quali rendere piano il dosso detto del Castellazzo per collocare i giardini.
Nel 1780 morì il duca e la proprietà passò alla terza moglie Renata Teresa d’Harrach, nipote di Maria Teresa d’Austria, che fece testamento in favore della pronipote marchesa Beatrice Serbelloni Trivulzio, che lasciò i beni ai figli Giorgio e Cristina Trivulzio. Quest’ultima vendette il palazzo nel 1836 al dottor Carlo Pellegrini Robbioni che lo ristrutturò. All’edificio fu annessa una filanda, che attualmente ospita l’Ufficio Tributi. A lui succedette nel 1850 il nipote Cesare Veratti che vendette la proprietà nel 1882 al Comune di Varese che ne fece la sua principale sede.
Il palazzo è costituito da un nucleo centrale con due ali laterali collegate dal porticato sottostante, dove è presente un lapidario, testimonianza della storia di Varese. La lunga fronte su via Sacco è munita di tre portali in pietra e di balconi. Entrando dal portale principale, che immette nel porticato centrale e al cortile d’onore, si passa dall’austerità della facciata esterna a quella interna, movimentata e prospiciente lo scenografico giardino, con un balcone aggettante sostenuto da mensole e colonne in pietra di Viggiù. L’interno del palazzo rappresenta un esempio del cosiddetto barocchetto teresiano.
Il Salone d’Onore (o Salone Estense) è ricco di elementi di pregio come gli affreschi illusionistici di Lodovico Bosellini e il medaglione centrale dipinto da Giovan Battista Ronchelli, artista di Castello Cabiaglio; la scena rappresenta in primo piano Venere, dea dell’Amore, insieme a Cupido e sullo sfondo Giove, che regge in mano le saette. Le due colombe alluderebbero al matrimonio tra il duca e la sua sposa Teresa d’Harrach. In questo luogo il Duca era solito organizzare ricevimenti, feste, balli e concerti; i due palchetti alle estremità, infatti, servivano come casse di risonanza per migliorarne l’acustica. Oggi la sala è sede del Consiglio Comunale.
Salendo al primo piano, lungo lo Scalone d’Onore, si trovano quattro nicchie con copie di busti femminili del Settecento e putti reggi-lampada in stucco. Sul soffitto è dipinto un medaglione allegorico che rappresenta il “buen retiro” di Francesco III: il duca, infatti, era giunto a Varese per godersi il ritiro dalla sua attività lavorativa a Palazzo Reale in Milano, senza alcun intento bellico. Si giunge al piano nobile, dove il Duca e la sua famiglia avevano gli alloggi. Da notare gli stucchi sopra le porte all’ingresso, raffiguranti angoli di paesaggio varesino e le cassapanche dell’epoca. Vi si trovano la Sala da Ballo, oggi di rappresentanza, dove il duca intratteneva gli ospiti in un’atmosfera più intima e raccolta o dove si deliziava in compagnia della famiglia con concerti privati; i musici intrattenevano dalle balconate sovrastanti. Sulle pareti sono presenti una tela del XVI – XVII secolo di un artista anonimo (“Incoronazione della Verginecon i santi della terra varesina”) ed una attribuita al Mondino del 1621 raffigurante la Vergine Immacolata.
IL PARCO ESTENSE
Il proposito di Francesco III era quello di realizzare una sontuosa dimora, su modello del palazzo viennese di Schönbrunn, dove potessero essere organizzate feste all’aperto con un giardino degno del suo rango. Dal 1766 si iniziò la realizzazione del parco, in cui fu coinvolto direttamente Francesco III, sempre supportato dall’architetto Bianchi che aveva già lavorato nel cantiere viennese. Nei primi mesi vennero impiegate centinaia di persone per il trasporto della terra per abbassare il colle del Castellazzo, abbattendo anche i ruderi del castello ancora presenti.
La bella prospettiva si sviluppa dapprima in piano, col viale centrale che raggiunge una vasca circolare e poi sale con vialetti aperti a raggiera e con scalinate, contornata da due simmetrici berceaux di carpini che conducono fino alla somma del Belvedere. Al centro dell’altura venne collocato un ninfeo con tre nicchie. Le aiuole del parterre, simmetriche, sono alla francese e sono attraversate da un viale centrale che dal porticato conduce alla base della collina. Per soddisfare la passione del duca per la caccia si adattò parte del parco con querce, olmi e castagni e si eresse un roccolo.
Dopo la morte del duca, nel corso del XIX secolo, il parco subì profonde trasformazioni. Gli interventi del Robbioni furono improntati ad una conversione al modello paesistico-romantico del parco all’inglese, caratterizzato da forme più libere ispirate alla spontaneità della natura. Vennero costruiti una filanda e un opificio per la lavorazione della seta, poi demolito, sul fianco ovest del palazzo, oltre ad uccelliere e recinti per daini. Il bacino d’acqua per l’irrigazione venne trasformato in un laghetto per i cigni con cascate e grotte e nel 1846 venne eretta un’alta torre panoramica vicino a Villa Mirabello.
Nel 1850 il nipote del Robbioni, Cesare Veratti acquistò nuovi terreni e ispirandosi ai modelli del giardino all’inglese, vennero inseriti aiuole flessuose, boschetti, ruscelli, posti come se fossero spontanei. Furono aggiunte piante estranee al giardino italiano, fra le quali il Ginkgo Biloba, situato a lato del laghetto e davanti a dei faggi. L’albero ha un’altezza di quasi 30mt e una circonferenza di più di 3 metri ed in autunno le foglie a ventaglio diventano dorate contrastando con la colorazione rossiccia dei faggi.
Fonte Comune Varese