San Sebastiano
Autore: Guido Reni (Bologna 1575 – 1642) Data: 1616 circa
Tecnica: Olio su Tela – Dimensioni: 127 x 92 cm
Musei di Strada Nuova: Palazzo Rosso GENOVA
Reni, uno dei più grandi interpreti del Seicento, ha fornito del martirio di san Sebastiano – il cui culto aveva avuto una straordinaria diffusione in virtù della protezione attribuitagli durante le epidemie di peste – immagini del tutto indipendenti dalle suggestioni medievali, dal carattere più edonistico che religioso, se è vero che Stendhal ricorda come alcuni di questi quadri furono tolti dalle chiese di Roma perché innamoravano le bigotte.
Nel XIX secolo Oscar Wilde, ammirando il San Sebastiano di Reni a Genova, ne decretò una nuova fortuna che, passando per la letteratura (D’Annunzio, Mishima), il cinema (Jarman, Defurne) e altre forme di comunicazione visiva come la fotografia e la danza, continua fino a oggi.
San Sebastiano e gli otto dipinti del Reni
Alla figura di San Sebastiano, Guido Reni, pittore ha dedicato ben otto dipinti. Quello ,che colpisce di questa immagine sacra è la bellezza esteriore e la sensualità della posa.
La figura di questo Santo ha ispirato anche molti scrittori, come Oscar Wilde che in “The Tomb of Keats” parla di “un incantevole ragazzo bruno dai capelli ricci e fluenti e le labbra rosse, legato a un albero da malvagi nemici; pur trafitto dalle frecce, aveva gli occhi alzati al cielo…”. D’Annunzio ne “Le martyre de Saint Sébastien” affida la parte del Santo a Ida Rubenstein, che recita: “Colui che più profondamente mi ferisce, più profondamente m’ama”.
Infine si può ricordare che lo scrittore giapponese Yukio Mishima, nel suo romanzo autobiografico, scrive: “…baluginò davanti ai miei occhi un’immagine…Era una riproduzione del San Sebastiano di Reni”.
Davanti alla tela bianca Reni decise di tratteggiare la figura di San Sebastiano, subì l’influsso di altri artisti, in particolare di Caravaggio, ma ne diede una nota personale, identificando nel suo San Sebastiano il Cristo crocifisso.
Storia di San Sebastiano
Sebastiano, che in greco significa “Venerabile”, nacque a Narbonne (Francia) nel III secolo dopo Cristo e visse a Milano. Guardia pretoriana sotto Diocleziano, si convertì al Cristianesimo e, per non aver rinnegato la propria fede, fu condannato a morte tramite le frecce, ma si salvò miracolosamente. Infatti, creduto morto dagli arcieri, fu lasciato a terra.
La vedova Irene lo curò e Sebastiano si ripresentò all’imperatore che lo condannò ad essere ucciso a bastonate, poi il corpo venne gettato, nel 287, nella Cloaca Massima.
I martirii quindi sono due: quello più popolare è il primo, il secondo è invece stato ignorato.
Inoltre l’iconografia del Santo nel corso dei secoli è stata diversamente interpretata. Inizialmente è un uomo anziano, con la barba, vestito alla romana ed ha come segno di riconoscimento o una piccola croce o una corona, emblema di martirio e di vittoria sulla morte.
Nei ritratti medievali compaiono le frecce, perché Sebastiano è raffigurato con l’armatura, propria di un militare e, dal XV secolo, presenta figura giovanile.
Se nel Medio Evo viene invocato come protettore dalla peste, nel Rinascimento la sua figura è pretesto per celebrare la bellezza del corpo nudo, secondo l’ideale rinascimentale dell’hedoné.
Il San Sebastiano, un modello di altissima qualità, chiaramente esplicativo del suo intento di ‘raccontare’ anche il contenuto morale del soggetto, e destinato a una grande fortuna in campo artistico e letterario.
Il tronco dell’albero del supplizio, nero e leggermente obliquo, campeggiava sullo sfondo tizianesco d’una tenebrosa foresta e d’un cielo serotino, fosco e distante. Un giovane di singolare avvenenza stava legato nudo al tronco dell’albero, con le braccia tirate in alto, e le cinghie che gli stringevano i polsi incrociati erano fermate all’albero stesso. Non si scorgevano legami d’altra sorta […]. Immaginai che fosse la descrizione di un martirio cristiano.
Ma siccome era dovuta a un pittore della scuola eclettica derivata dal Rinascimento, anche da questo dipinto che raffigurava la morte di un santo cristiano emanava un forte aroma di paganesimo. Il corpo del giovane -la cui bellezza la si potrebbe paragonare a quella di Antinoo, il favorito di Adriano, la cui bellezza fu così spesso immortalata nella scultura- non reca alcuna traccia degli stenti o dello sfinimento derivanti dalla vita missionaria, che imprintano l’effigie di altri santi […].
Quella bianca e incomparabile nudità scintilla contro uno sfondo di crepuscolo.Le braccia nerborute, braccia d’un pretoriano solito a flettere l’arco e a brandire la spada, sono levate in una curva armoniosa, e i polsi s’incrociano immediatamente al di sopra del capo. Il viso è rivolto leggermente in alto e gli occhi sono spalancati, a contemplare la gloria del paradiso con profonda tranquillità. Non è la sofferenza che aleggia sul petto dilatato, sull’addome teso, sulle labbra appena contorte, ma un tremolio di piacere malinconico come una musica. Non fosse per le frecce con le punte confitte nell’ascella sinistra e nel fianco destro, egli sembrerebbe piuttosto un atleta romano che allevia la stanchezza in un giardino, appoggiato contro un albero scuro.
Le frecce si sono addentrate nel vivo della giovane carne polposa e fragrante, e stanno per consumare il corpo dall’interno con fiamme di strazio e d’estasi suprema. Ma il sangue non sgorga, non ha ancora infuriato il nugolo di frecce che si vedono in altri dipinti del martiri di San Sebastiano. Qui invece, due frecce solitarie mandano le loro ombre quiete e delicate sopra la levigatezza della pelle, simili alle ombre d’un ramo che cadono su una scala di marmo”.
Confessioni di una Maschera – Yukio Mishima
Musei di Strada Nuova – Palazzo Rosso
Via Garibaldi, 18, 16124 Genova GE, Italy – Tel. +39 010 275 9185
email: museidistradanuova@comune.genova.it
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Il ritratto venne commissionato dallo stesso Agnolo Doni, ricco mercante e mecenate fiorentino, assieme a un ritratto della moglie Maddalena Strozzi, dopo il matrimonio nel 1503. Lo stesso Doni aveva commissionato a Michelangelo il famoso Tondo Doni, oggi agli Uffizi.