Pan Barbarià PAT

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del PIEMONTE

Pan Barbarià significa “pane imbarbarito”, e deve il suo nome alla farina usata per produrlo. Questa infatti era ricavata dai raccolti di montagna, in cui si seminavano insieme sia la segale che il grano. La coltivazione mista aveva il suo perché nelle caratteristiche dei due cereali: resistente al freddo la segale, ma di stelo lungo e poco robusta per il vento in quota; con la spiga scarsa ma di stelo corto il grano, che così sorreggeva l’altra. La miscela di semina, poi, dipendeva dalla quota e dalle caratteristiche dei terreni, quindi la farina mista risultante, che sui mercati torinesi si chiamava “Barbariato” non ebbe mai composizione precisa.

Ecco quindi la spiegazione del nome: farina mista ovvero “imbarbarita” , con cui produrre il pan barbarià e le sue versioni con patate, barbabietole e cipolle. È un prodotto tipico delle vallate cuneesi, della Val Pellice, dell’Alta Val Chisone e dell’Alta Val Susa ed è prodotto ormai da pochi panettieri. Gli ingredienti sono farina di frumento, farina di segale, acqua, lievito naturale, sale. È prodotto usando lievito madre, quindi la sua preparazione è molto lenta, con tempi di lievitazione lunghi.

Il pan barbarià si produce in pezzature da 500-600 g fino ad 1 kg circa, si conserva alcuni giorni, ed è il pane ideale per coloro che preferiscono consumare il pane anche in giorni successivi a quello di produzione, e quindi raffermo. Le caratteristiche di gusto sono peculiari, è un po’ acidulo e molto gustoso, ha un’umidità elevata e un colore scuro. Le fette sono ottime per preparare crostoni, la crosta è croccante e abbastanza spessa, la mollica è abbondante, compatta e molto umida.

Caratteristiche

  • Consistenza: dura e compatta, alveolatura piccola e non regolare. Crosta croccante e friabile, spessa, molto rugosa.
  • Odore: gradevole di farina, leggermente acido.
  • Colore: bruno dorato scuro. Internamente giallo tendente al grigiastro.
  • Sapore: acidulo, si scioglie in bocca, molto umido. Crosta amara e caramellata se molto cotta.
  • Dimensioni: pagnotte quasi sempre rotonde, a volte con spaccature da taglio; le pezzature più comuni sono da 500 a 600 g circa.

Metodiche di lavorazione

La composizione non è uguale per tutti i produttori, ed ora le coltivazioni per l’autoproduzione non esistono più, quindi, invece della farina “imbarbarita” proveniente dalla coltura mista, si usa una miscela di farina di grano e di segale. Per l’impasto occorrono circa 1 kg di lievito naturale madre in pasta della lavorazione precedente, 2,5 kg di farina di grano, 2,5 kg di farina di segale, 2,3 litri di acqua e 200 g di sale. Le proporzioni dei due tipi di farina possono variare a piacere, ricordando che la farina di segale non ha la stessa spinta di quella di grano. Ottenuto l’impasto, e dopo la opportuna lievitazione di almeno 5-6 ore, si asporta un pezzo di pasta per la produzione dell’indomani (da tenere in frigo), e si piega il pastone ottenuto (meglio se diviso in più pastoni piccoli) dando una serie di pieghe alla pasta, si lascia riposare 20 minuti, poi si ripiega la pasta. Si formano le pagnotte e dopo un’ora di lievitazione si inforna con forno a 220 °C e umidità massima.

ZONA DI PRODUZIONE

Il pan barbarià si produce nelle vallate cuneesi, in Val Pellice, in Alta Val Chisone e in Alta Val Susa.

TRADIZIONALITÀ

Oggi il pan barbarià è da prenotare con anticipo, come una raffinatezza, ma la coltivazione della segale mista al grano e il pane che ne deriva non sempre è ricordato con piacere dai vecchi, che associano questi tipi di pane a periodi di carestia e mancanze. La presenza nelle vallate alpine di tanti tipi di pane, con molti nomi che ora incuriosiscono e a volte affascinano, non deve fare pensare a abbondanza, o anche solo a possibilità di scelta. Derivano per lo più dalla mancanza del grano, sostituito con cereali più poveri o più robusti alle intemperie, che l’ingegno che sempre segue alla povertà cronica ha elevato a piccoli capolavori di gusto, ora apprezzati in contesti molto diversi.

Le origini di tale tipo di pane nelle vallate cuneesi sono piuttosto remote e si possono fare risalire almeno
alla fine dell’800. La documentazione scritta non esiste, e se ne tramanda memoria, comunque consistente e diffusa, per lo più orale.

Bibliografia

  • Goffredo Casalis, Dizionario geografico, storico e statistico degli stati si S.M. il Re di Sardegna, G.
  • Maspero Libraio e Cassone e Marzorati Tipografi, Torino, 1841
  • Rocco Ragazzoni, Repertorio d’agricoltura, scienze economiche ed industriali, Torino, 1849
  • Giuseppe Prato, La vita eeconomica in Piemonte a messo il secolo XVIII, Soc. Tipografico Editrice Nazionale, Torino, 1908
  • F. Basteris, G. Garnerone, L’alimentazione povera delle valli occitane cuneesi, Ed. Centro Occitano di Cultura ”Detto Dalmastro”, Castelmagno (CN), Editrice ICAP, Cuneo
  • Orlando Perera, Pane nostro, Daniela Piazza Editore, 2003

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