La storia
Il territorio del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese, comprendendo alcuni importanti valichi di montagna e una naturale via di comunicazione quale la valle del fiume Agri, vanta una antichissima frequentazione antropica e, per la sua peculiare posizione, è stato fin da sempre luogo di incontro di popolazioni con diverse culture e tradizioni.
La presenza dell’uomo è accertata tra il Neolitico e l’età del Bronzo, come documentato dai rinvenimenti avvenuti nella grotta di Latronico e più in generale lungo la fascia costiera ionica.
Nel corso dell’età del Ferro si assiste alla formazione di numerosi insediamenti concentratisi specialmente su altipiani nei pressi dei maggiori corsi d’acqua.
In particolare vanno distinguendosi due aree culturali, identificabili sulla base delle differenti tipologie di inumazione: lungo la fascia costiera ionica e presso la val d’Agri è presente una popolazione di cultura enotra, con tradizione di inumazioni supine; nell’area interna, ai confini con l’Apulia, se ne insedia un’altra, con inumazione in posizione rannicchiata.
Più consistenti le testimonianze di età greca. La colonizzazione comportò infatti un netto aumento demografico, come documentano le numerose necropoli tra cui quelle di Alianello di Aliano nella media valle dell’Agri.
I rinvenimenti archeologici testimoniano la funzione di cerniera delle popolazioni della zona, che fungevano da intermediario tra polo greco ionico e polo etrusco-campano tirrenico.
Dal punto di vista archeologico il processo di romanizzazione, in atto dai primi del III secolo a. C., si configura come un momento di profonda ristrutturazione socio-economica dell’intera regione: nucleo di organizzazione territoriale divenne infatti il sistema della villa, a fronte dell’abbandono delle fortificazioni d’altura. Significativo il fatto che per l’entroterra si possa considerare Grumentum l’unico centro con caratteristiche urbane, cui facevano capo piccoli agglomerati rurali.
Altro momento spartiacque per il territorio è la guerra annibalica, in seguito alla quale – in ragione dell’appoggio che i Lucani garantirono al generale africano – si verificò un vero e proprio spopolamento conseguente
all’azione punitiva di Roma, che provvide a radere al suolo le città ribelli deportandone i cittadini come schiavi.
Segnali di ripresa sono riconducibili all’età di Augusto, come indicano gli insediamenti rurali: il conseguente sistema di ville ha lasciato importanti tracce in tutto il comparto territoriale della regione.
Ciononostante l’area rimarrà sempre isolata e i maggiori centri cittadini perderanno gradualmente il loro antico splendore, lasciando la regione in una costante situazione di abbandono fino a tutta la tarda antichità. Non a caso tutta l’area potentina nel 402 fu razziata da Alarico e nel secolo successivo aggregata dai Longobardi al Ducato di Benevento e poi al principato di Salerno.
La Basilicata assunse una posizione preminente nella prima metà dell’XI secolo, quando Melfi divenne capitale dello stato normanno. Sotto la dominazione angioina le condizioni della regione peggiorarono ulteriormente, anche a causa di un massiccio fenomeno di spopolamento.
Pestilenze, carestie, terremoti e guerre aggravarono la situazione demografica nel corso dei secoli successivi. Più tardi questo comprensorio entrò a far parte della repubblica napoletana, schierandosi contro gli eserciti napoleonici e subendo a lungo il dominio borbonico fino all’unità d’Italia.
Fra le città di rilievo storico si segnala Brienza (Burguntia o Burgentia) fondata probabilmente dai Longobardi nel VII secolo. La cittadina è dominata dai resti imponenti del castello angioino, o Castello Caracciolo, restaurato nel 1571, attorno al quale si snoda il borgo medievale.
In paese sono visitabili alcuni edifici di culto che conservano affreschi e tele
di rilevante interesse artistico. Marsico Nuovo è un centro agricolo dominante la valle dell’Agri. Fondato dai Marsi nel VI-V secolo a.C. (Abellinum Marsicum) fu un antico gastaldato, contea sotto ai Longobardi e sede vescovile.
Nella parte alta del paese sorge la chiesa di S. Michele Arcangelo, la prima cattedrale della città, con portale di pietra del XIII secolo decorato a fogliami e fiori.
Innanzi a questa si trova la chiesa di S. Gianuario, del XII secolo, con i caratteristici stipiti, decorati con rilievi antropomorfi.
In posizione elevata dominata dalla cima del Monte S. Enoc – sul crinale occidentale dell’alta Val d’Agri – c’è Viggiano, antico pagus di Grumentum, che deriva il nome dal gentilizio romano Vibius. Fortificata nel X secolo dai Longobardi, l’antica Bizzano prese parte alla rivolta ghibellina del 1268 e fu feudo di Giovanni Pipino all’inizio del XIV secolo.
Del castello feudale, distrutto dal terremoto del 1857, rimangono ampi tratti di mura e parti delle torri laterali.
I BENI
GRUMENTUM (GRUMENTO NOVA)
La fondazione di Grumentum si colloca a metà del III secolo a.C. ed è il risultato di un fenomeno complesso legato alla romanizzazione della Lucania.
Diversi aspetti concorrono a definire il carattere urbano di Grumentum ed il suo ruolo politico, in particolare l’impianto urbanistico ortogonale di matrice ellenistica e la sua collocazione a ridosso di un punto di convergenza tra più assi stradali, che consentivano un collegamento con Venusia – e quindi con la via Appia – ed una connessione verso Sud, con Eraclea, attraverso la via Popilia.
La fase lucana della città, inquadrabile all’incirca tra III e II secolo a.C., è testimoniata al momento da alcuni battuti stradali e dall’uso dell’opus coementicium. I dati numismatici evidenziano rapporti con Napoli, Eraclea, Metaponto e Taranto.
Durante la guerra sociale, all’inizio del I a.C., Grumentum si schierò con Roma e venne quindi ripetutamente occupata dagli italici. I primi segni di ripresa edilizia si hanno con la metà del secolo. Gli interventi si intensificarono a partire dall’età augustea e nella prima età imperiale, quando sorsero un acquedotto, un complesso termale, un teatro ed un anfiteatro.
Nello stesso periodo si avviò la monumentalizzazione dell’area forense, che verosimilmente accompagnò la conquista dello statuto di colonia.
L’inserimento dei nuovi complessi pubblici tenne conto della maglia stradale più antica rispettandone l’orientamento, con l’unica eccezione dell’anfiteatro. Sia il foro che il teatro, come altri corpi di fabbrica, si inserirono pertanto in aree già precedentemente occupate.
Nel corso della piena età imperiale Grumentum rappresentò assieme a Venusia e Potentia uno dei pochi centri urbani della Lucania, gli unici ad essere direttamente connessi alla viabilità egemone regionale ed extraregionale;
Grumentum rivestì dunque un ruolo molto importante nelle dinamiche politiche e commerciali del tempo.
La documentazione archeologica attesta una grande vivacità economica: gli edifici pubblici sono sottoposti a continua manutenzione e potenziamento, con l’aggiunta tra l’altro di un secondo impianto termale e della pavimentazione in basalto delle strade a maggior frequenza.
Il V secolo si presenta come momento conclusivo del ciclo vitale della città: a partire dalla prima metà del secolo i principali monumenti pubblici e la stessa area forense mostrano segni di abbandono;
l’unica eccezione è rappresentata dalla chiesa di S Maria Assunta, luogo di culto ed area cimiteriale almeno fino al XIII – XIV secolo.
Dopo la sua decadenza, l’area in cui sorgeva Grumentum è utilizzata in vario modo. Elementi architettonici appartenenti alla necropoli urbana sono riusati come materiale da costruzione per le tombe della piccola necropoli che sorge nel VII secolo in contrada S. Marco.
Successivamente tutta la collina diviene area sfruttata a scopo agricolo, il che determina la scomparsa di numerosi reperti della città antica.
L’attuale Parco Archeologico di Grumentum comprende alcuni settori urbani (anfiteatro, teatro e foro) mentre il museo possiede una ampia documentazione archeologica della città romana e dell’alta Valle dell’Agri in età preromana.
CASTELLO CARACCIOLO (BRIENZA)
Eretto in epoca angioina, domina la rocca di Brienza e deve la sua denominazione ai più famosi proprietari di cui ci sia rimasta notizia.
I Caracciolo lo acquistarono nel 1428 e lo possedettero fino al 1857, realizzando negli anni interventi di ampliamento. Ereditato dai Barracco, cadde poi nelle mani di feudatari e amministratori, che lo smembrarono vendendone addirittura i materiali edili e lasciandolo in serio stato di abbandono.
Fortemente danneggiato dal terremoto del 1980, conserva ancora i suoi caratteri angioini nel possente mastio cilindrico e nella semitorre circolare che dominano la rocca.
L’accesso, reso difficoltoso dalle pareti scoscese del colle, era possibile solo dall’ingresso principale, cui si giungeva attraverso una larga scalinata in pietra che immetteva in un terrazzo su terrapieno.
Secondo i metodi di fortificazione longobarda, il castello era inoltre protetto dalla cortina formata dall’agglomerato murario delle case che vi si addossavano, proteggendolo da attacchi nemici. Scenario di numerose storie leggendarie e teatro dell’opera lirica “Rodolfo da Brienza”, si dice che possedesse 365 stanze, una per ogni giorno dell’anno.
CONVENTO DI S. ANTONIO E MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO (RIVELLO)
L’ex convento di “S. Antonio”, anche noto come convento dei “Minori Osservanti”, risalente al XVI secolo, si trova nella parte bassa del paese di Rivello .
Il prospetto della chiesa conserva tracce di affreschi del XVI secolo ed ha un portale di reminiscenza catalana sormontato dallo stemma di Rivello. L’interno della chiesa presenta una profonda abside presbiteriale coperta a cupola, interessata da marcati interventi in stile barocco.
La volta a botte è ricca di partiture che trovano motivi ricorrenti nella decorazione a stucco lungo le pareti laterali.
Nel refettorio del convento si conserva una ”Ultima Cena” realizzata nel Seicento ed altri affreschi molto deteriorati di Giovanni de Gregorio.
Il complesso ospita il Museo Civico Archeologico che espone materiali frutto di scavi effettuati nelle vicine località di Serra Città e Piano del Pignataro, sede di abitanti indigeni in stretto contatto con le colonie greche della costa tirrenica.
Fonte @ Ministero dell’Ambiente