La storia
L’utilizzo da parte dell’uomo dell’area delle Foreste Casentinesi ha origini molto antiche ed è stato sempre molto influenzato dalle vicende della vicina città di Arezzo.
In epoca romana la frequentazione di questo territorio divenne più intensa nel corso del I secolo a.C., durante il quale si formarono due colonie. A questa epoca risalgono i resti di insediamenti residenziali visibili in più luoghi, compresi tra i 360 ed i 630 m di altitudine.La presenza di questi siti, in particolare nei comuni di Poppi e Bibbiena, è testimoniata da aree di frammenti fittili emergenti in superficie.
Dalle poche informazioni disponibili si evince che durante l’alto Medioevo il Clusentinum rientrava nella Marca di Tuscia, zona di confine tra i comitati di Arezzo e Fiesole.
Tra il IX e il X secolo la crisi nell’ordinamento pubblico e la destrutturazione
del sistema di governo territoriale carolingio determinarono un indebolimento dei poteri centrali e un conseguente rafforzarsi di quelli locali, qui rappresentati dai vescovi di Arezzo, da alcune famiglie comitali e dalle numerose fondazioni monastiche della zona.
In particolare alla destra dell’Arno avevano ritagliato spazi di potere i Guidi, signori di un’ampia porzione territoriale estesa su tutto il crinale appenninico e sul versante romagnolo, che consolidarono i loro possessi in Casentino nella prima metà dell’XI secolo.
La frequenza e l’importanza delle fondazioni monastiche in questo territorio, ebbero un ruolo strategico per le comunicazioni appenniniche.
Fu in questo periodo che le foreste del Casentino divennero tebaidi montane aperte alle più severe forme di ascetismo eremitico.
La dissoluzione dei diritti dei vescovi fiesolani sulla vallata casentinese, che dovette precedere quella dei loro colleghi aretini, favorì l’emergere della famiglia dei Guidi, i quali si impadronirono dei principali raccordi stradali che consentivano l’accesso all’area fiorentina dominando, con le rocche di San Niccolò, Raggiolo, Montemignaio, Poppi, il versante occidentale del sistema di comunicazioni.
Le fondazioni religiose si incardinarono sulla viabilità della valle, determinando la creazione di nuovi centri che andarono ad aggiungersi al reticolo territoriale delle pievi sorte lungo le principali arterie che attraversavano il Casentino.
Responsabile del processo di incastellamento che aveva dato al Casentino il suo profilo turrito e castrense, l’aristocrazia che si era spartita il territorio nel corso dell’alto Medioevo cedette il passo alle dinamiche città mercantili di Firenze ed Arezzo, avviando un processo che condusse all’esautorazione del potere feudale a favore di quello comunale.
Le alterne fasi delle guerre comunali in Toscana ritoccarono a più riprese la mappa dei confini politici del casentino: Bibbiena, antico nucleo di beni episcopali aretini, seguì il declino del vescovo Guglielmino Ubertini dopo la rotta ghibellina di Campaldino (1289).
A seguito della vittoria di Campaldino, Firenze decise la creazione di avamposti lungo l’Arno, fondando le “terrenove” di S. Giovanni Valdarno, tra Figline e Montevarchi; la Terranuova Bracciolini, fronteggiante Montevarchi; Castelfranco di Sopra, tra la diocesi di Fiesole ed Arezzo.
Nello stesso periodo i Fiorentini rifortificarono Montevarchi e Figline, mentre il consolidamento dell’espansione aretina avvenne nelle conche nord – orientali, con il potenziamento delle difese di Bibbiena e la ricostruzione delle mura della fortezza di Sansepolcro nel 1318.
La definitiva cessazione delle autonomie feudali coincise con la vittoria fiorentina nella battaglia di Anghiari (1440).
I secoli successivi (dal XVI al XVIII) videro il consolidarsi dell’appoderamento e dell’insediamento sparso: ville – fattorie, realizzate con capitali urbani da cui dipendevano numerose case coloniche.
Con l’800 si registrò un decisivo incremento demografico ed un aumento dei centri urbani di pianura, con l’introduzione di colture nuove come il tabacco ed il potenziamento di quelle tradizionali come ulivo e vite.
Frattanto il Casentino assistette alla frammentazione della grande proprietà agricola. Qui, nel 1787, Pietro Leopoldo ricevette da Pietro Ferroni l’incarico di progettare una “strada barrocciabile casentinese” che da Pontassieve risalisse al passo della Consuma, per meglio collegare queste zone, marginali ma già molto frequentate da viaggiatori.
Nello stesso periodo a Stia venne impiantata una grande fabbrica laniera lungo l’Arno. Realizzata inglobando lanifici e gualchiere quattrocenteschi, divenne un centro economico di grande importanza per tutta la zona, grazie alla rinomata produzione del caratteristico feltro casentinese.
Tra il 1879 ed il 1888 venne realizzata la ferrovia Arezzo Stia, impiegata anche per la transumanza invernale dalla maremma verso il Casentino.
I BENI
IL LAGO DEGLI IDOLI (STIA)
Situato a sud della cima del Monte Falterona, a poche centinaia di metri dalla sorgente Capo d’Arno, il Lago degli Idoli è un sito archeologico di straordinaria importanza, presso il quale è stata raccolta una delle più cospicue testimonianze del culto del mondo etrusco.
Nel maggio 1838, in seguito al ritrovamento fortuito sulle sponde del lago di una statuetta in bronzo raffigurante Ercole, si realizzarono ulteriori ricerche che portarono al prosciugamento dello specchio d’acqua e al rinvenimento di una delle più ricche stipi votive del mondo etrusco.
Furono recuperate circa 650 statuette in bronzo e lo specchio d’acqua, sino ad allora chiamato Lago della Ciliegieta, prese la denominazione di Lago degli Idoli.
Purtroppo, più che uno scavo, l’intervento del 1838 fu un vero e proprio sterro che intaccò in maniera irreversibile la stratigrafia del sito. Nel 2003 è stata avviata una nuova campagna di indagini pluridisciplinare. I nuovi scavi hanno consentito il recupero di circa 200 bronzetti (tra statuette, figure anatomiche votive e figure animali), 9000 aes rude (ossia pezzi informi di bronzo utilizzati come moneta), oltre 4000 frammenti. Lo studio su questi materiali ha rivelato una frequentazione del sito molto dilatata nel tempo, che presumibilmente va dal VI al III secolo a.C..
Ha inoltre confermato l’importanza cultuale della stipe votiva, elemento di culto importante lungo un territorio che univa diversi centri dell’Etruria (da quelli dell’Etruria propriamente detta a quelli dell’Etruria padana)
IL MONASTERO DI CAMALDOLI (POPPI)
Da Ponte a Poppi, percorrendo una bella strada panoramica, si giunge a Camaldoli. Il complesso religioso legato alla congregazione benedettina fondata da San Romualdo nell’XI secolo, comprende due parti ben distinte, eremo e monastero, immerse nella monumentale foresta che i monaci hanno gestito nei secoli.
Lo stabile connubio tra eremo e monastero costituisce una struttura unica nella tradizione benedettina e una delle realtà più vive del monachesimo occidentale.
La fondazione di una prima sede dell’ordine, su un’area appartenuta al conte Maldolo di Arezzo (Ca’ di Maldolo), avvenne attorno al 1023 in località Campo Amabile. In questo luogo il ravennate Romualdo, in accordo con il vescovo di Arezzo, fece costruire cinque celle ed il piccolo oratorio di San Salvatore mentre nella sottostante località di Fontebona riorganizzò l’ospizio per i pellegrini che attraversavano l’appennino lungo la via Flaminia Minor.
Alla fine dell’XI secolo l’ospizio fu trasformato in monastero del beato Rodolfo e, nel 1113, venne sancita la Congregazione Camaldolese dell’ordine di San Benedetto. Camaldoli, in seguito a ciò, divenne sempre più importante sia come luogo di preghiera che come centro di conservazione del territorio e diffusione di cultura.
Il complesso monastico di Fontebona, fortemente trasformato nel corso dei secoli, è costituito da tre ordini principali: la chiesa dei santi Donato ed Ilariano, la Foresteria ed il Monastero.
La chiesa medievale, decorata nel trecento da Spinello, venne riedificata nel Cinquecento e completamente ristrutturata tra il 1772 ed il 1776.
La sobria facciata contrasta con le decorazioni barocche dell’interno. La chiesa custodisce inoltre importanti opere del Vasari. La foresteria del monastero, antico Hospitium, conserva un chiostro detto di Maldolo che – insieme ai vicini resti della cappella dello spirito Santo – mostra caratteri di transizione dal romanico al gotico.
Il monastero è di impianto cinquecentesco e si articola attorno ad un chiostro “montano” cinto su due lati da un portico ad arcate.
L’attuale farmacia – parte dell’antico ospedale, esistente sin dal 1048 – conserva arredi in noce intagliato del 1543 che contengono ceramiche e vetri del XVI – XVIII secolo.
Sopra la farmacia è l’ampio refettorio dei monaci, costruito nel 1609, coperto da un soffitto ligneo cassettonato con decorazioni dipinte ed in cartapesta. Dal monastero, salendo la strada che si svolge attraverso la fitta abetaia, si giunge all’eremo, prima sede dell’ordine.
Il complesso eremitico conserva il primitivo impianto con le singole celle dei monaci risalenti al XVI secolo, allineate in cinque file all’interno di un recinto. In fondo al viale centrale si trova una chiesetta romanica con abside e campanile, fatta costruire nel 1220 dal conte Ugolino dei conti Segni.
IL SANTUARIO DELLA VERNA (CHIUSI DELLA VERNA)
Sopra Chiusi della Verna, arroccata su una rupe calcarea, sorge la cittadella francescana della Verna. Frutto di molteplici interventi costruttivi – avvenuti principalmente tra XIII, XV e XVI secolo
La Verna è il più famoso dei conventi del Casentino e cuore del culto francescano. La storia della fondazione del primo nucleo eremitico risale al 1213, quando il conte Orlando Cattani di Chiusi donò a Francesco d’Assisi l’area montana e boschiva dove sorge il vasto complesso.
Negli anni successivi vi furono costruite le prime cellette e la chiesa di Santa Maria degli angeli (1216 – 1218), la cui fondazione avvenne sempre per iniziativa di Francesco d’Assisi.
La Verna ebbe una continua evoluzione formandosi attraverso una serie di corpi incastrati adattati alla conformazione impervia del terreno
Fonte @ Ministero dell’Ambiente