Prodotto Agroalimentare Tradizionale del PIEMONTE
Il pesco predilige ambienti mediterranei; è infatti sensibile ai freddi invernali, così come alle gelate primaverili. Eppure in Piemonte – ai limiti altitudine/latitudine nord della specie in Europa – con clima continentale, ma temperato per la protezione della cerchia alpina, i peschicoltori hanno saputo ricavare gli habitat adatti alla specie. Hanno scelto gli ambienti meno esposti alle gelate, i terreni alluvionali sciolti e profondi, adatti all’apparato radicale del pesco.
Le Pesche di Baldissero Torinese sono ottenute da selezioni locali; in alcuni casi sono indicate con il nome generico di “pesche di vigna”, in altri derivano da innesti introdotti a Baldissero in anni precedenti alla prima guerra mondiale. Il periodo della raccolta si concentra tra la metà di luglio e l’inizio di agosto. Le Pesche di Baldissero presentano una rapida evoluzione della maturazione; il frutto è delicato e poco serbevole. Le pesche di vigna sono popolazioni autoctone, selezionatesi nel tempo a partire da selvatici, in funzione di particolari caratteri organolettici e all’adattabilità ambientale.
Si ha memoria di numerose selezioni dai nomi dialettali o con etimologia riconducibile alla caratteristica principale. È il caso della cosiddetta pesca del vino, il cui nome ricorda la polpa dal tipico colore rossastro. Tradizionalmente erano coltivate in consociazione con la vite o negli orti familiari, un tempo particolarmente importanti nell’economia locale. Tutte le selezioni sono riconducibili al cosiddetto gruppo “Pesche della Vigna” (Persi d’la vigna), molto conosciuto e rinomato in tutto il Piemonte. Le pesche della vigna sono da sempre ritenute sinonimo di frutto di elevata qualità gustativa, dal sapore particolarmente accattivante. Ciò è dovuto al fatto che erano storicamente coltivate a ridosso dei vigneti, tradizionalmente coltivati nei terreni con miglior esposizione e vocazionalità alla qualità (elevato tenore zuccherino, sviluppo di aromi tipici). Fra le “pesche di vigna” sono ancora oggi riconosciuti e presenti in pieno campo:
Persi d’l vin. La buccia è colorata di rosso con striature gialle, la polpa – anch’essa di color rosso intenso – è connotata da un sapore particolarmente dolce. La maturazione è contemporanea al periodo della vendemmia.
Piccola pesca o Persi limun servai. Il frutto è piccolo e, a maturazione, assume colore giallo intenso; è molto profumato, poco dolce ma aromatico.
Limunin. Il frutto è allungato e la forma ricorda quella di un limone; il colore della buccia è giallo con sfumature rosa, il sapore è molto dolce e matura a metà agosto. La polpa soda le rende speciali per preparare uno dei più tradizionali dessert piemontesi: le pesche ripiene, farcite di cacao e amaretti e cotte
al forno.
È possibile rinvenire in zone una serie di peschi selvatici, non classificati e non riconducibili alle tipologie sopradescritte, accomunati da una caratteristica buccia giallo chiaro che racchiude la polpa biancastra. Tra quelle non annoverate nel gruppo di Persi d’la vigna troviamo Fior di maggio, a maturazione precoce; San Giovanni, che matura nella seconda decade di giugno; Golden, dal frutto allungato e Vitu (a pasta bianca e buccia rossa), che maturano entrambe ad agosto.
Le Pesche di Canale sono frutti dall’elevato profilo sensoriale, risultato di un processo ultracentenario di interazione tra il territorio del Roero, la passione dei suOi frutticoltori e la plasticità della specie pesco. Il territorio ha svolto nel corso dei secoli una naturale selezione del materiale genetico più adatto alla collina roerina, che si traduce in un paniere composito e variegato, con alcuni tratti comuni di fondo. Le varietà autoctone sono infatti accomunate da buona rusticità, tolleranza alle più comuni avversità e spiccata adattabilità alle difficili condizioni di collina. Il territorio predilige ancora oggi le pesche rispetto alle nettarine
Sin dagli albori dunque la peschicoltura del Roero dimostrò la capacità di far coesistere in un connubio vincente l’antico e il moderno, segnando i primi passi di un’attività produttiva solida e dinamica. Se si guarda indietro all’origine, si coglie una vera e propria “cultura del pesco”: sono emblematici i caratteristici nomi attribuiti alle varietà di pesche di origine locale che ricordano talvolta i soprannomi dei loro scopritori, come la Rachele, detta anche Regina per la sua bellezza, la Cisi di Vezza d’Alba e la Mercandini; o i periodi di maturazione (la S. Anna, la Seconda cosiddetta perché matura dopo la S. Anna, la S. Michele e la S. Martino); o ancora figure o fatti eccezionali quali la Lenin di Castellinaldo e la Repubblica di San Rocco di Montaldo Roero. Tra le più note e diffuse meritano di essere citate la Caprone (molto coltivata a Canale), la S. Rocco o Incarnè (molto apprezzata nella borgata S. Rocco di Canale), la Giambus di S. Stefano Roero, la Patronèt di Vezza d’Alba, la Cravé e la Moscatelli. Ma era molto diffusa anche l’usanza di ribattezzare le varietà di importazione, per cui il Victor è detto localmente “Maggiorino”, l’Amsden “S. Giovanni”, il Trionfo “Giallo e Rosso”, il Waddel “Vitu”, lo Slappy “Giallo d’agosto” o “Giallo del puret” (Bertello L., 1985).
Sono frutti di modeste dimensioni, buccia spessa e tomentosa, di colore tenue. La polpa è soda, spiccagnola, connotata da un tipico retrogusto amarognolo. La gamma di colori spazia dal bianco venato di rosso al rosso uniforme, intenso, quasi vinoso. Si tratta perlopiù di varietà a maturazione tardiva. Ma ai nomi storici della peschicoltura di collina (S. Anna, S. Michele, Beichme Bin, Prete, Giallo del Poretto, Badoglio, Begnin, Botto, Lenin, Repubblica, Tabalet) si affiancano oggi cultivar di recente introduzione che contribuiscono a rafforzare l’offerta varietale. Per questa ragione sulle colline attorno a Canale è possibile trovare anche impianti di varietà di recente introduzione che ben si adattano all’ambiente e rispondono alle esigenze del consumatore contemporaneo.
Prevalgono gli impianti a vaso, che facilitano la raccolta e le operazioni colturali da terra. La potatura viene eseguita sia in inverno (su piante in riposo vegetativo) sia a inizio primavera (con la ripresa vegetativa). È finalizzata a equilibrare il carico produttivo e migliorare la qualità del frutto. In particolare la potatura primaverile è fondamentale per evitare l’impoverimento della porzione inferiore della pianta.
Si effettua in genere in due passaggi, il primo a inizio giugno, il secondo a fine estate, dopo la raccolta. Particolare attenzione viene dedicata dai frutticoltori alla tecnica del diradamento dei frutticini, volta ad ottimizzare non solo la pezzatura dei frutti, ma soprattutto il profilo sensoriale. Per la fertilizzazione si ricorre sostanza organica, integrata da apporti minerali commisurati ai fabbisogni della coltura. La raccolta si colloca tra metà luglio e metà settembre. Le Pesche presentano una rapida evoluzione della maturazione; il frutto è delicato e poco serbevole. Il tempo di permanenza presso i centri di condizionamento è quindi breve.
ZONA DI PRODUZIONE
Le Pesche di Baldissero sono coltivate nel territorio del comune di Baldissero (TO) e in alcuni comuni limitrofi. Tradizionalmente le Pesche di Canale sono coltivate nel comune di Canale e in tutto il territorio collinare del Roero (in particolare nei comuni di Cornegliano d’Alba, Magliano Alfieri, Monteu Roero, Vezza d’ Alba, Canale, Montaldo Roero, Priocca, Govone, Castellinaldo, Piobesi d’Alba, Monticello d’Alba, Santo Stefano Roero, Baldissero d’Alba, Pocapaglia).
TRADIZIONALITÀ
Nella documentazione storica – in genere di archivi comunali – si trovano cenni alla presenza di peschi fin dal ‘400. A tal proposito, negli statuti di La Morra del 1402, si parlava già di persichi, distinguendo tra durassi et nostrai (tipologie duracine e spiccagnole). Non si trattava di certo di una coltura specializzata ma pur sempre di una presenza, seppur allo stato di specie selvatica, riconosciuta come importante per la quotidianità cittadina dalle autorità dell’epoca. È curioso, tra il resto, apprendere che nella prima metà del ‘700 fu introdotto il divieto di asportare i fiori del pesco dalle altrui proprietà; usanza quanto mai diffusa per via dell’interessante contenuto di acido cianidrico molto utilizzato nella farmacopea e nella medicina
popolare.
Ma occorrerà attendere oltre un secolo per approdare alla nascita di una vera e propria coltura specializzata e lo stimolo più forte verrà dall’improvviso e repentino declino della viticoltura, fino a quel tempo principale voce di sussistenza per le economie familiari. Nell’ultimo quarto dell’800 il paesaggio agrario di queste colline mutò progressivamente. Dapprima il pesco si diffuse tra i serrati filari delle vigne, per acquisire via via maggior dignità e occupare appezzamenti dedicati. I pionieri della peschicoltura di Canale scelsero varietà precoci di importazione per i loro primi impianti: nel 1885 l’avvocato Ferrio mise a dimora a Vezza d’Alba un pescheto di Amsden e Rossa di Maggio di Brigg. Poco dopo il Deltetto estese il proprio frutteto affiancando alla tradizionale S. Anna, le nuove Precoci del Canada, Rossa di Maggio, Precoce Alexander e Amsden. I primi esperimenti mostrarono da subito le potenzialità della peschicoltura e ciò incoraggiò altri agricoltori locali a investire in pescheto.
Come già accennato, ad aprire il sipario sulla peschicoltura di Canale e del Roero fu l’avvocato Ettore Ferrio che nel 1885 impiantò in Vezza d’Alba, sul bricco di San Martino, un piccolo pescheto di 70-80 are con varietà precoci fra cui Amsden (sinonimo di San Giovanni, secondo Haussmann, 1929) e Rossa di Maggio di Brigg. Gli esperimenti di Ferrio destarono molto interesse così come quelli, pressoché contemporanei, condotti a S. Stefano Roero (poco distante da Vezza), da Severino Deltetto. Anche quest’ultimo, che già dal 1886 possedeva un pescheto specializzato con predominio della varietà locale S.
Anna, nel 1899 sperimentò la coltivazione di varietà precoci: Precoci del Canada, Rossa di Maggio, Precoce Alexander e Amsden. I risultati si rivelarono ben presto superiori alle aspettative e dal pescheto del Caudanito nel 1893 il Deltetto ricavò la somma di L. 567,85 realizzando sul mercato di Asti prezzi di L. 2,50-3,50 al kg, nel 1894 il ricavo fu di L. 1.115,45 con 538,4 Mg venduti e nel 1895 raggiunse la cifra di L. 1.898,25.
I successi della nuova coltura convinsero i diffidenti agricoltori locali e il pesco ebbe così un’immediata diffusione. Nel 1906 l’estensione della superficie coltivata a pesco era stimata in 70 ettari: il continuo aumento della produzione pose i primi problemi per la commercializzazione delle pesche data la lontananza tra il Roero e i principali mercati. La città di Canale si fece per prima interprete di questa necessità dando vita verso la fine del primo decennio del Novecento al “mercato del pesco”. Negli stessi anni fu creata la Società Cooperativa “Unione Agraria per l’esportazione delle pesche”, con lo scopo di promuovere il miglioramento della coltura delle pesche e la vendita delle medesime sui mercati nazionali e internazionali. La società vietava ai soci “ogni commercio per conto proprio”.
La centralità di Canale nell’ambito commerciale fu sancita nel 1908 con l’organizzazione di un’importante “Esposizione di imballaggi e di frutta” che nel periodo di apertura, fra il 13 e il 23 settembre, fu visitata da circa 8.000 persone, tra cui il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena. Il 1913 fu l’ultimo anno di attività per l’Unione Agraria: il mercato giornaliero delle pesche di Canale garantiva, indipendentemente dalla qualità, una estrema facilità di commercializzazione assicurando un ricavo immediato. Chiara manifestazione della vivacità commerciale del tempo sono i tentativi che si fecero per cercare di risolvere il problema della conservazione delle pesche, indispensabile per la conquista di nuovi e più lontani mercati.
Nel 1910 a Vezza l’impianto dei pescheti subì una brusca frenata d’arresto, alimentata, negli anni successivi, dal pesante clima di guerra. Nell’immediato primo dopoguerra, tra le due grandi disavventure che flagellarono la viticoltura del tempo – la fillossera e la tassa sul vino – la coltura del pesco da sussidiaria divenne valida alternativa alla vite. A contribuire allo sviluppo della peschicoltura di professione contribuì anche l’opera di istruzione e propaganda dei tecnici della Cattedra Ambulante per l’Agricoltura di Alba.
Si intensificarono, dunque, le conferenze, i corsi teorici e le dimostrazioni pratiche di concimazione, potatura e difesa dalle malattie del pesco, parallelamente ai tentativi di indirizzare la scelta dei contadini sulle varietà meglio rispondenti alle nuove esigenze dell’esportazione. Anche Haussmann (L’Ortofrutticoltura in Piemonte, 1929-1931) parla di peschicoltura albese affermando che in quegli anni: “la coltura specializzata si estende su un area di circa 900 ha, mentre al produzione, in continuo aumento, ai attesta sugli 80.000 q. Le varietà principali – primaticce – sono: Amsden (S. Giovanni), Trionfo (giallo-rosso) e S. Anna. Si trovano pure la Beicme-Bin, la Caprone, la San Rocco, la S. Michele, mentre una varietà preziosa è la Fior di Novembre.
L’industria attuale – data una certa sovrapposizione della varietà precoci – si volge verso quelle a maturazione più tardiva: Hale, Late Elberth, Krumël, October, etc”. La Beicme Bin è già citata da Molon nel 1926 come varietà di Vezza d’Alba, allo studio in quegli anni, analogamente a Late Elberth (Elberta per Molon, il quale la definisce varietà americana molto importante che matura in principio di agosto) e Trionfo (anch’essa varietà americana, fra le precoci, a buccia molto ben colorita di rosso e polpa gialla). Un paese meglio degli altri interpretò nel primo dopoguerra il rinnovato entusiasmo: a Corneliano, in poco più di un decennio, la peschicoltura si estese su una superficie di circa 150 ettari. Il 1926 segnò per Corneliano il momento di maggiore entusiasmo e fervore peschicolo con l’istituzione del mercato delle pesche e l’organizzazione di una Mostra del pesco. I mercati all’origine – cardini vitali della peschicoltura di collina – ne hanno scandito e condotto lo sviluppo e la diffusione.
Storicamente, gli alberi di pesco erano diffusi nella zona di Baldissero Torinese, soprattutto in coltura promiscua con i vigneti. In seguito ai forti attacchi di fillossera (1920 – 1930), i vigneti vennero reimpiantati con nuovi criteri che non prevedevano più la presenza dei peschi. Così, i nuovi impianti di pesco sono per lo più avvenuti in consociazione con altre piante da frutto – perlopiù ciliegio e susino – privilegiando la pratica dell’innesto. Alcune selezioni locali, moltiplicate dagli stessi agricoltori, hanno una diffusione circoscritta ai giardini familiari e vengono commercializzate sui piccoli mercati locali.
Bibliografia:
- Molon G., 1926. Le varietà di piante da frutto raccomandabili per l’Alta Italia: pp. 54.
- Haussmann G., 1929-1931. L’Ortofrutticoltura in Piemonte. Estratto dall’Annuario della R. Stazione Chimico-Agraria di Torino. Vol. XI.
- Carlone R., 1955. Le gloriose tradizioni e le possibilità future della frutticoltura nell’Ovest Piemonte. Relazione alla Mostra Frutticola di Barge: pp. 12.
- Carlone R., 1958. Le specie e le cultivar di alberi da frutto più rispondenti ad una evoluta frutticoltura in Provincia di Cuneo. Atti Convegno frutticolo, Cuneo, 30/9/1958: pp. 19.
- Parusso G., 1978. Corneliano nella storia del Roero – Gli Statuti del 1415-16, Sommariva P: p.116.
- Bassi R., Bertello L., Molino B., 1985. Cento anni di coltura del pesco nel Cuneese. Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Cuneo: pp. 79.
- Pellegrino S., 1991. Indirizzi varietali per la coltura del pesco in Piemonte. Quaderno di Piemonte Verde, 6: 1-18.
- Soster M., Pellegrino S., 1991. I portinnesti per la peschicoltura piemontese. Piemonte Agricoltura, 3: 23-26.
- AA.VV., 1994. Elenco delle cultivar autoctone italiane. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Delfino Editore: pp. 153.
- Pellegrino S., 2000. Le varietà che cambieranno la frutticoltura – Melo e pesco, le novità piemontesi. Terra e Vita, XLI, 30: 29-34.
- Pellegrino S., Berra L., 2002. Evoluzione varietale della peschicoltura piemontese nel mercato globale.
- Quaderni della Regione Piemonte – Agricoltura, VI, 33: 25-28.
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