Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Puglia
Piseddhru Quarantinu, Piseddhru Cucìulu
Il pisello secco di Vitigliano, detto anche “piseddhru quarantinu” o “piseddhru cucìulu” identifica un particolare ecotipo locale di pisello coltivato da tempo nel territorio di Vitigliano (frazione di Santa Cesarea Terme), il cui seme e le relative tecniche colturali vengono tramandate da generazioni. Il seme si presenta di medie dimensioni, liscio, di color senape, con sfumature verdi e di forma tondeggiante.
Caratteristica botanica della pianta è la fioritura scalare: basale, mediana e apicale e quindi sulla stessa pianta si possono riscontrare contemporaneamente frutti maturi, baccelli in maturazione e fiori.
Il termine “quarantinu” identifica la brevità del ciclo vegetativo di questo particolare ecotipo, che per tutta una serie di motivazioni agronomiche, offre risultati migliori quando viene seminato tardivamente. Il termine “cucìulu” che vuol dire: “di facile cottura” sta a sottolineare la particolare tenerezza degli stessi e del loro tegumento esterno che consente una cottura perfetta ed uniforme anche senza vengano posti preventivamente in ammollo. Inoltre, al termine della cottura, gli stessi si presentano integri, senza che avvenga la spiacevole separazione del tegumento esterno. Il sapore è particolarmente grato e tipicamente dolciastro.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Il prodotto giunge a maturazione nel mese di giugno. Falciati manualmente nelle prime ore mattutine, quando la rugiada fa si che il baccello benché senescente rimanga chiuso e attaccato alla pianta, le piante di piselli vengono quindi ammucchiate creando dei covoni di circa un metro di diametro. I covoni, vengono trasportati in aia e lasciati essiccare perfettamente al sole (operazione che si può ottenere anche nel giro di poche ore) prima di passare alla fase successiva della trebbiatura.
Operazione che viene effettuata sempre manualmente, battendo le piante con dei magli onde provocare l’apertura dei baccelli e quindi la separazione dei piselli dalle paglie. Un’ulteriore e completa eliminazione delle paglie si ottiene con la ventilatura, che si esegue sempre manualmente con l’ausilio di un apposito rudimentale setaccio in legno e metallo a fori tondi attraverso il quale si ottiene anche una prima calibratura della produzione, in quanto lascia passare i piselli troppo piccoli che vengono scartati.
Per una migliore conservazione il prodotto viene sottoposto ad ulteriore essiccazione mediante esposizione diurna sull’aia per alcuni giorni. Inoltre, per garantire la conservabilità dei piselli nel tempo si procede ad un successivo breve passaggio in forno. Il prodotto, posto in dei sacchi di juta, viene trasportato in magazzini freschi e asciutti dove viene conservato in dei tradizionali contenitori di terracotta, vetrificati internamente (stangate).
TRADIZIONALITÀ
La coltivazione del Pisello di Vitigliano, come del resto quella di altri legumi nello stesso territorio di Vitigliano, è comprovata dalle testimonianze di anziani contadini, i quali ricordano come il seme, le tecniche colturali e le metodiche di lavorazione siano le stesse utilizzate dai propri genitori. Inoltre, tali affermazioni, trovano riscontro nella pubblicazione a cura di Giuseppe Maria Alfano “Istorica descrizione del Regno di Napoli ultimamente diviso in quindici province colla nuova mutazione di esse nello stato presente”, Stamperia Raffaele Miranda, Napoli 1823.
TERRITORIO
Alcune zone del territorio di Vitigliano (LE), chiamate “terre duci” (terre dolci)
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Ruchetta PAT
Arancino PAT Puglia
Liquore denso e aromatico di colore arancio. L’arancino è sovente presente in fiere e sagre tradizionali dei paesi pugliesi, come accompagnamento alle pietanze principali. Un esempio è la “Sagra del Tacchino” di Palo del Colle (BA) dove, tra gli altri liquori, è servita per la degustazione l’arancino;
Africani PAT Puglia
Il dolce tipico della città di Galatina veniva (e viene ancora oggi), preparato dalle massaie del luogo sempre in abbinamento ai dolcetti chiamati “marzapani” per il semplice fatto che i primi richiedono solo l’uso dei tuorli e i secondi l’uso degli albumi.