Gli ambienti naturali più importanti della Riserva sono tre: il litorale, la macchia mediterranea e la zona umida.
Il litorale
Sulla sabbia depone le uova il fratino, uccello limicolo di piccole dimensioni; le uova hanno il colore della sabbia, vengono sistemate in una depressione e mimetizzate con conchiglie e foglie di posidonia. Sono tante le specie che frequentano questo ambiente in tutti i mesi dell’anno alla ricerca del cibo o per riposare durante la migrazione. Tra tutti la più caratteristica è la beccaccia di mare, dal lungo e colorato becco. Lungo tutta la linea di costa della Riserva, gli arenili di sabbia si alternano a brevi tratti di scogliera. Tra le vaschette d’acqua salata e frequentate dai granchi, il finocchio marino, la salicornia ed il limonio pugliese fronteggiano il mare.
Dietro la duna numerose specie di arbusti sempreverdi crescono a stretto contatto l’uno con l’altro e si addensano fino a costituire le comunità di macchia mediterranea e di gariga. Le specie sono che si sono adattate all’ambiente al fine di contrastare il caldo e la siccità dell’estate sono: il lentisco, l’alaterno, l’asparago pungente, il timo arbustivo, il rosmarino, il mirto.
Tra gli animali che frequentano la macchia si menziona il tasso, un mammifero assai raro e schivo, la luscengola ed il ramarro. Dietro la duna, dove la falda acquifera affiora, la cannuccia domina incontrastata. Insieme ad essa poche altre specie, come la campanella, che utilizza i fusti della cannuccia come tutori su cui arrampicarsi per esporre al cielo i suoi grandi fiori bianchi. Qui gli animali più frequenti ed appariscenti sono gli uccelli. Alcuni trascorrono tutta la vita in questo habitat, come il tarabuso, altri, come gli storni e le rondini, lo utilizzano solo di notte per riposare. Altri uccelli palustri, come la folaga, il tuffetto e il Cavaliere d’Italia costruiscono grandi nidi galleggianti ancorati alle piante. Là dove la salinità dell’acqua è meno elevata vivono anche anfibi e rettili tra cui la testuggine d’acqua.
La macchia mediterranea
La macchia mediterranea è un ecosistema costituito essenzialmente da piante arbustive e da alberi di piccole dimensioni. La sua ampia diffusione in tutto l’areale mediterraneo costiero deriva dalla progressiva scomparsa dei boschi sempreverdi al climax, dovuta ad incendi, disboscamenti e fenomeni di degrado. Originariamente la presenza delle leccete confinava la macchia mediterranea ai limiti delle formazioni boschive o ne limitava lo sviluppo a sottobosco.
La sua conformazione è dovuta principalmente alle condizioni limitanti in cui cresce. La vicinanza del mare e la conseguente salsedine trasportata dal vento, il periodo di siccità estivo, il forte irraggiamento delle foglie, condizionano lo sviluppo delle piante che hanno evoluto meccanismi difensivi osservabili soprattutto nella morfologia delle foglie e nei cicli vitali. A Torre Guaceto la formazione boschiva è stretta ad est dal mare e a sud dalla zona umida, condizioni che rendono molto interessanti le interazioni che si vengono a formare tra i diversi ecosistemi.
La macchia mediterranea di Torre Guaceto rappresenta un ambiente con un’elevata biodiversità: arbusti, alberi, piante erbacee, rettili, mammiferi, uccelli, anfibi. Oltre gli arbusti tipici della macchia (lentisco, corbezzolo, mirto) è importante segnalare la presenza del Ginepro Coccolone subspp. Macrocarpa, di cui esiste un esemplare secolare a circa metà del percorso verso la torre.
I rami e le foglie degli arbusti e delle piante, che crescono in stretta vicinanza tra loro, creano un groviglio inestricabile, reso ancora di più impenetrabile dai rampicanti, come lo stracciabraghe. Tale ricchezza di specie e di tipologie vegetazionali offre numerosissimi siti idonei a svariate specie animali. Oltre ai piccoli insetti e agli altri invertebrati questo habitat ospita, infatti, una ricca comunità di vertebrati che nella macchia trovano rifugio, siti adatti alla riproduzione ed una notevole fonte di alimentazione.
Tra i più conosciuti vi sono senz’altro la volpe e il riccio tra i mammiferi, la cinciallegra, il pettirosso, il merlo, la capinera fra gli uccelli, il colubro leopardino tra i rettili, il rospo comune e la raganella tra gli anfibi. Se la macchia mediterranea è sottoposta a ripetuti incendi e a pascolamento intensivo, la copertura arbustiva diviene bassa e discontinua, scompaiono gradualmente gli arbusti di macchia alta e si afferma un tipo di vegetazione costituito da specie con foglie simili a quelle delle eriche.
E’ un tipo di vegetazione che generalmente non supera i 50 cm di altezza e che si insedia su substrati poveri e degradati, spesso sabbiosi, dove frequentemente affiora la roccia madre. In questo tipo di ambiente a Torre Guaceto abbondano i cisti (Cistus incanus, Cistus salvifolius Cistus monspeliensis), il timo arbustivo (Thymus capitatus), il rosmarino (Rosmarinus officinalis). Ma sono molto frequenti anche le specie dotate di bulbo come la scilla marina (Urginea maritima) e varie specie di orchidacee spontanee. Oltre alla microfillia, le specie della gariga sono spesso dotate di una tipica forma a cuscinetto (pulvino) che è quella che meglio si presta ad offrire il minor attrito possibile al vento che spesso disidrata i tessuti delle piante, e offre anche la minor superficie possibile alla insolazione dei raggi solari.
La zona umida
Continuando a camminare verso sud incontriamo la zona umida, che rappresenta l’ecosistema che maggiormente caratterizza e rende unica Torre Guaceto. Inserita fin dal 1981 nella lista della Convenzione di Ramsar, che ha individuato l’importanza a livello internazionale degli ambienti palustri, la zona umida di Torre Guaceto è alimentata da polle sorgive d’acqua dolce. Il suo stesso nome deriva dalla parola araba Al GAWSIT, che vuol dire “luogo dell’acqua dolce”. Essendo posta lungo la costa, però, la zona umida è d’acqua salmastra. La presenza a Torre Guaceto della zona umida e le conseguenti relazioni che si vengono a creare con gli ambienti limitrofi, rappresentano la caratteristica naturalistica tra le più importanti dell’area. Questo è un ambiente ad elevata produttività e ad alta biodiversità perché sono sede di interessanti fenomeni.
Tra i primi elementi che permettono di spiegare l’elevato dinamismo dell’area ci sono il popolamento della stessa da parte di numerose specie vegetali ed animali e la presenza di gradienti di temperatura e salinità che permettono di individuare veri e propri “settori” all’interno della stessa zona. Altro elemento importante sono i punti di contatto tra il mare e l’acqua della zona umida. Torre Guaceto, come molte altre zone similari, è stata interessata da un’opera di bonifica decenni orsono e per questo motivo ancora oggi, qui si rileva la presenza di numerosi canali che mettono in contatto le due zone. In questi punti, l’incontro tra acque di differente temperatura, salinità e densità provoca dei rimescolamenti che interessano soprattutto i sedimenti. In tal modo sono rimessi in circolo elementi organici e inorganici che, in condizioni normali, sarebbero rimasti intrappolati nel sedimento.
Grazie a questi rimescolamenti i sedimenti vengono ossigenati, cosa che favorisce la funzione dei decompositori, molto attivi in questo ambiente. Infatti, il classico puzzo di “uova marce”, caratteristico delle paludi, altro non è che una conseguenza della decomposizione. La zona umida di Torre Guaceto rappresenta un importante sito di ricerca, sia dal punto di vista ecologico, sia da quello faunistico.
La Convenzione di Ramsar
La Convenzione di Ramsar è stata firmata nel 1971 da vari stati per proteggere, a livello internazionale, le zone umide. La convenzione individuava in questi particolari ambienti delle zone importanti per due motivi essenziali: l’alto valore scientifico, per l’elevata biodiversità e produttività che la caratterizzano e il ruolo rivestito nella migrazione di uccelli. Infatti, le zone umide rappresentano dei punti di sosta importanti lungo il cammino che gli uccelli compiono due volte l’anno. Per tale motivo sono state individuate delle zone umide che era prioritario proteggere. Torre Guaceto è diventata zona umida di interesse internazionale nei primi anni ’80.
Il mare:
Nel mare di Torre Guaceto la diversità degli ambienti sommersi e le numerose specie di pregio naturalistico presenti hanno determinato l’inserimento dell’Area Marina Protetta di Torre Guaceto nella Lista delle Aree Specialmente Protette del Mediterraneo per la conservazione della biodiversità. Torre Guaceto può essere apprezzata attraverso una passeggiata con maschere e pinne, i primi metri sotto la superficie dell’acqua sono popolati da un “manto erboso” costituito da diverse specie di alghe che offrono riparo e fonte di cibo ad una complessa comunità di organismi.
Un’attenta esplorazione lungo la costa rocciosa sommersa dà la possibilità di osservare numerose tane dove trovano riparo pesci appartenenti alla famiglia degli Sparidi, tra cui saraghi e occhiate. Molto curiosi sono i comuni Serranidi come lo sciarrano e la perchia o i Labridi come le donzelle comuni e le donzelle pavonine che, interessati dal visitatore, fanno capolino tra le rocce. In questo basso tratto di fondale il paesaggio è colorato da svariati Antozoi tra i quali il pomodoro di mare ed il madreporario Cladocora caespitosa che rappresenta il più grande dei madreporari mediterranei, dalla caratteristica forma a cuscino di fiori.
Scendendo ulteriormente di profondità, Torre Guaceto offre gli ambienti più spettacolari della Riserva, ossia le praterie di Posidonia oceanica e il Coralligeno. I posidonieti sono ricchi di numerosissime specie, tra le quali il più grande mollusco bivalve mediterraneo, la Pinna nobile e gli Antozoi come l’anemone dorato. Al confine delle praterie si estende un altro degli habitat più importanti e spettacolari del Mediterraneo: il Coralligeno. Questo è caratterizzato dalla presenza di gorgonie, quali le Eunicella cavolinii e E. singularis, dall’esile struttura ramificata, di briozoi quali il Falso Corallo e la fragile Trina di mare, di antozoi come il Parazoanthus axinellae, di spugne come le grandi Axinelle.
Il fondale sabbioso:
L’individuazione di organismi sui fondali sabbiosi richiede grande attenzione, perché, a parte alcuni animali nectonici che si spingono su questi fondali in cerca di cibo, la maggior parte degli abitanti si è adattata a vivere sepolta dalla sabbia. Tali organismi, per cibarsi e respirare, mantengono un costante contatto con l’esterno: la presenza di questi organismi può essere notata in superficie dalla presenza di fori. Quando il foro è unico si tratta quasi sicuramente di un verme, quando, invece, i fori sono due si tratta di bivalvi.
Pochi sono i pesci che abitano abitualmente questi fondali: tra questi le razze e le sogliole, che sfruttano il loro mimetismo e la forma schiacciata per confondersi con il resto del fondale, in modo tale da sfuggire ai predatori. Un altro pesce tipico dei fondali sabbiosi di scarsa profondità è la parasaura (varie specie del genere Trachinus), famigerato perturbatore della tranquillità dei lidi sabbiosi perché infligge dolorose punture ai piedi di malcapitati bagnanti.
Il posidonieto:
I fondali sabbiosi nella fascia ben illuminata del mare (da 3 fino anche a 25 m di profondità) accolgono un ambiente del tutto caratteristico del Mediterraneo: la prateria di Posidonia oceanica. Questo vegetale marino non è un’alga ma, per l’appunto, una pianta, poiché è provvista di radici, foglie e frutti. Questa pianta è tipica del Mediterraneo e si sviluppa lungo le coste del Salento. Una volta cadute, le sue foglie si accumulano nella stessa prateria, ma il moto ondoso invernale le asporta e le spinge sino alle spiagge.
La prateria sommersa offre un valido ostacolo all’erosione del litorale attenuando la forza del moto ondoso. Quest’azione smorzante della forza dell’acqua si traduce in una situazione di calma e riparo tra le foglie e, soprattutto, alla loro base, perciò pur apparendo monotono, soprattutto per chi lo osserva dall’esterno, il posidonieto è un ambiente che offre riparo e nutrimento ad una miriade di forme viventi. L’intricata morfologia delle praterie crea una serie di microhabitat che sono fonte di cibo e offrono zone di rifugio e di riproduzione per numerose specie animali. Ma non solo, mediante l’attività fotosintetica, questo habitat produce un’elevata quantità di ossigeno in mare.
Il coralligeno:
Questo ambiente presente dai 20 ai 40 metri di profondità, si trova nella zona circalitorale e ne rimangono solamente poche postazioni lungo il Salento. Le alghe presenti in questo ambiente appaiono per lo più rosse o brune perché assorbono solo la componente verde-azzurra della luce (che è quella maggiormente penetrante nell’acqua). Le alghe di queste profondità hanno la singolarità di presentare uno scheletro calcareo, sono dunque una sorta di piante di pietra e crescendo, col tempo, finiscono con l’accumulare pietra e roccia, formando nuovi “scogli” sommersi (substrato biogeno). Gli scogli coralligeni del Mediterraneo sono costituiti dagli scheletri di alghe.
In ogni caso il risultato è la costruzione di edifici di roccia, ricchi di concamerazioni, fessure, buchi, ripari che offrono ospitalità ad una miriade di organismi animali (quasi mille specie diverse sono state riscontrate nel coralligeno pugliese). In questo modo, anche un fondale sabbioso, col tempo, può dare origine a rocce e scogli.
Il fondale roccioso:
Il fondale roccioso è l’ambiente più conosciuto dagli apneisti. La presenza di un substrato fisso offre maggiore possibilità agli animali bentonici di colonizzare, poiché in mare c’è una grossa competizione per lo spazio. Nella zona mesolitorale è frequente trovare molluschi monovalvi che si appiattiscono sulla roccia, trattenendo all’interno della valva acqua marina, in grado di garantire all’animale la sopravvivenza durante il periodo di emersione. Curioso è il comportamento del pomodoro di mare che ha evoluto dei meccanismi sofisticati di chiusura e apertura sincronizzati con il ritmo delle maree, tale comportamento si osserva anche in acquari lontani dal mare. Scendendo nella zona infralitorale, la caratteristica più distintiva è la grande abbondanza di organismi vegetali, forse poco riconoscibili perché non sempre tutti “verdi”.
Importante è la presenza delle alghe del genere Cystoseira, che formano fitte postazioni. Tra le alghe brune è molto frequente la coda pavonia. Tra le alghe verdi sono comuni la lattuga di mare e l’ombrellino di mare. Spugne calcaree, anemoni di mare colonizzano in gran quantità i fondali rocciosi infralitorali. Su questo substrato organogeno si muovono gli organismi quali il riccio di mare o le stelle marine. I fondali rocciosi offrono l’ideale ambiente per animali che preferiscono vivere nelle tane, come il polpo e gli sciarrani. Tra gli animali nectonici sono comuni le donzelle, le salpe, le occhiate, i saraghi, gli scorfani.
Torre saracena di Guaceto
La torre di Guaceto, simbolo della Riserva, è la più grande delle cosiddette torri “a base quadrata vicereali” o “tipiche del Regno”; queste furono costruite in Terra d’Otranto durante il Regno di Carlo V a seguito dell’editto impartito nel 1563 dal viceré di Napoli don Pedro Afán de Ribera, Duca d’Alcalà, per difendere le coste dalle scorrerie dei Turchi.
La torre ha pianta quadrata con il lato di 16 metri e pareti a scarpata con ampie caditoie ad archetto in controscarpata ciascuna difesa da due archibugiere; tre caditoie sono sul lato mare, due sui lati Nord e Sud e solo una è sul lato di terra. Come spesso accade nelle torri vicereali un vano adibito a cisterna è ricavato nel terrapieno che costituisce il piano terra della struttura; una conduttura convoglia le acque piovane che si raccolgono sul terrazzo all’interno della stessa cisterna garantendo quindi un approvvigionamento idrico a coloro che costituivano il personale di guardia. L’ambiente unico voltato e di forma quadrata posto al primo piano ha i lati di 8 metri circa di lunghezza e conserva ancora il camino posto sulla parete del lato di terra.
La torre è posta presso l’estremità meridionale dell’omonimo promontorio di Guaceto ad una quota di circa 5 metri sul livello del mare; si tratta di una posizione strategica che consente di controllare la rada portuale riparata dai venti dei quadranti settentrionali e nella quale sfociano il Canale Reale e le acque sorgive che alimentano tutt’oggi gli stagni dell’ampia area paludosa retrostante. Da questa posizione la torre era in grado di comunicare visivamente non solo con le postazione costiere più prossime, e cioè Torre Santa Sabina (più a Nord) e Torre Testa (più a Sud), ma anche con Torre Regina Giovanna, Masseria Baccatani e il Castello di Serranova nell’immediato entroterra.
Torre Guaceto o Gausiti, come è noto più anticamente, è presente fin dal XII secolo nella cartografia e dal XIX secolo nella letteratura storico-geografica di Mavaro, Marciano, Profilo, Arditi, De Giorgi e nelle fonti documentarie di diversa provenienza. La zona di Torre Guaceto è considerata particolarmente preziosa per la presenza di acqua dolce nelle vicinanze, per la possibilità di sbarco e per la conformazione facilmente difendibile grazie ad una vasta palude che divide il promontorio dalla terra ferma. La zona è definita dal geografo musulmano Edrisi nel 1164 nel libro, Il sollazzo per chi si diletta di girare il mondo, “Gaw sit”, dalla radice “gau”, acqua dolce e “wadi”, fiume, canale, corso d’acqua. Qualche secolo dopo mons. Giovanni Carlo Bovio, arcivescovo di Brindisi, in occasione della visita pastorale del 1566 definirà questo luogo e la sua rada “Saracinopoli seu Guascito” a testimonianza quindi di una presenza araba nel territorio.
La descrizione della zona è spesso legata al piccolo ma comodo porto mercantile che ha garantito l’inserimento della rada nelle direttrici litoranee della Puglia adriatica e nel contesto della viabilità romana. Già dal Medioevo si trovano nelle fonti storiche ricorrenti seppur brevi e sporadiche notizie riferibili all’attività del porto di Guaceto e del territorio immediatamente circostante, specie in relazione sia ai diritti di utilizzo dello scalo e di riscossione dei tributi per le merci che vi transitavano che alla manutenzione della stessa torre di guardia.
La più antica di queste notizie risale al 1362 quando re Roberto d’Angiò, riprendendo un privilegio concesso venti anni prima dalla regina Giovanna, e per premiare la loro fedeltà alla causa angioina, concesse ai mesagnesi l’esclusiva facoltà di esportare vini, oli ed altri prodotti dalle rade di Santa Sabina e Guaceto, appartenenti alla dogana di Brindisi. Decreto, questo, ribadito poi nel 1407 da re Ladislao I e nel 1425 dalla moglie Maria d’Enghien. Ancora nel 1440 la stessa Maria d’Enghien, divenuta signora di Carovigno alla morte del marito, nello stilare l’inventario dei beni posseduti nel feudo con le relative entrate dovute alla Regia Corte, fa riferimento a “lo porto de Guascito”; lo stesso porto che nel 1463 Ferdinando I d’Aragona dichiara ancora appartenente al territorio di Mesagne.
È del 1482 invece la notizia (riferita dal Della Monaca) che i veneziani in guerra contro gli Aragonesi, dopo essere sbarcati nel “picciol porto di Gaugeto comodo ricetto a pochi legni, e di mediocre grandezza” con una flotta composta da sessanta navi armate di seimila fanti e duecento cavalli guidata da Francesco Marcello, avessero tentato l’assalto a San Vito e Carovigno dove vennero fermati dagli aragonesi di Pompeo Azzolino. I superstiti furono costretti ad indietreggiare proprio nel porto di Torre Guaceto dove, difesi dalle artiglierie dei vascelli, riuscirono a mettersi in salvo. Sulla scorta di tali avvenimenti storici, e alla luce dell’analisi della conformazione del porto di Guaceto, Giovanna III in una lettera del 1492 indirizzata al Regio Commissario Otrantino chiede che una squadra di militi a cavallo sia stanziata nella rada.
Proprio la presenza di acqua dolce e l’utilità del suo approdo furono caratteristiche che indussero gli aragonesi a presidiare la zona con una torre che forse esisteva già quando nel 1531 il marchese de Alarcon la pose a difesa di un’insenatura che era stata utilizzata dai veneziani nel 1484 e nel 1528 per sbarcare e attaccare la città evitando le difese che partivano dal forte di S. Andrea. Il viceré volle adattare le strutture esistenti affidando i lavori al maestro muratore Giovanni Lombardo di Brindisi.
La torre entrava così a far parte del sistema difensivo dell’intera costa che si definiva attraverso torri di avvistamento costruite come fortezze abitate da soldati tutte tipologicamente conformi al modello voluto dalla Regia Corte nel 1563: a pianta quadrata, troncopiramidali, scarpate e munite di caditoie a controscarpa ed archibugiere, ad unico vano voltato all’interno e fornite di parapetto di coronamento. Infatti, tracce di presenze militari alla torre si rilevano da documenti notarili e cronache: nel 1567 Federico Pagliata, cavallaio della custodia di Guacito, riceveva come salario dal precettore 12 ducati ed ancora nella memoria di Cagnes e Scalese si specificava che nel 1595 Giovanni Antonio Solazzo Pizzutello di Brindisi rinunciava per le sua infermità alla “patente di artigliere della Torre di Guasceto” affidatagli dal capitano Vasches de Acunia.
In realtà già nel 1569 in seguito all’ordine del vicerè Parafan de Ribera la torre del porto di Guaceto veniva elencata tra quelle da armarsi e veniva dotata di due pezzi di artiglieria. Si trattava di falconetti di bronzo inviati via mare da Napoli a Taranto e da qui a Lecce dove il notaio Pandolfi stipulò gli atti di consegna ai sindaci delle Università al cui territorio appartenevano le torri. Il 23 maggio 1599 l’amministrazione di Brindisi, rappresentata dal sindaco, Antonio Leanza, dall’auditore Giulio Cesare Baccaro, con la presenza del giudice regio Vincenzo Pitigliano, bandisce gare di appalto per il restauro delle torri marine di “Guasceto”, “della Testa”, “del Cavallo”. I lavori continuano nel 1654 quando viene corrisposta una nota spese al maestro Ferrante Agnone di San Vito dei Normanni per “l’acconcio della torre di Guacito”.
L’interesse che gli spagnoli hanno per la torre è testimoniato dall’unificazione delle cariche di castellano e “custode della torre di Guasceto” e dall’obbligo imposto alle Università di Latiano, San Vito e Carovigno di ospitare “un numero di cavalleria a custodia e guardia della marina di Serranova e Guacito, ciò in caso di invasione se li opponghi” in attesa dell’intervento della compagnia che ha presidio a Nardò. Già nel 1650 il privilegio di Ferdinando I d’Aragona viene prescritto dalla Regia Camera che dispone che da alcuni porti disabitati del Regno non si possono esportare merci per evitare il contrabbando.
Ancora nel XVIII secolo l’Università di San Vito paga per le piombature dei cannoni a Torre Guaceto e per lavori di manutenzione. Dal Settecento poi la rada diventa proprietà della famiglia Dentice di Frasso che ne conserva i diritti di caccia e di pesca, provvedendo nel 1915 al prosciugamento del canale e costituendone nel 1940 una riserva di caccia. Oggi la cinquecentesca torre di guardia simbolo della Riserva Naturale dello Stato e Area Marina Protetta di Torre Guaceto è sede di un allestimento espositivo a tema storico-archeologico che offre ai visitatori un breve racconto di quanto accadeva in questo territorio in Età Romana, poco più di 2000 anni fa.
Entrando nella sala al primo piano della torre ci si trova inaspettatamente dinanzi ad un’antica imbarcazione che la occupa quasi interamente e che è stata ricostruita in dimensioni reali in tutte le sue parti, albero e vela inclusi utilizzando la tecnica dell’epoca. Avvicinandosi ci si accorge che all’interno vi è un carico di anfore insieme a tutto quello che un vascello di questo tipo avrebbe potuto trasportare nel corso di uno dei suoi tragitti, come ad esempio le stoviglie contenenti cibo e bevande per l’equipaggio.
Nel corso del II secolo a.C. alla foce del Canale Apani, al limite meridionale della riserva, vi era un’importante impianto per la produzione di anfore olearie e vinarie che a bordo delle navi onerarie in partenza dal porto di Brindisi raggiunsero tutti i principali scali del Mediterraneo. Imbarcazioni di piccole dimensioni come quella ricostruita all’interno della torre facevano la spola dall’impianto di produzione alle banchine di carico e scarico di Brindisi; il sito di Apani, e più in generale la rada di Torre Guaceto, erano un luogo ideale per un insediamento produttivo dal momento che questo tratto di costa è tutt’oggi ricchissimo di affioramenti di argilla ed offriva inoltre grandi quantità di acqua dolce vista la presenza sia del Canale Apani che, poche centinaia di metri più a Nord, del Canale Reale.
Verso le fornaci ed il caricatore di Apani confluivano inoltre i prodotti di tutto quel sistema produttivo agricolo che in Età Romana caratterizzava la piana brindisina con numerose fattorie ed alcune ville rustiche che gravitavano perlopiù attorno al centro portuale, politico ed economico di Brundisium.
L’allestimento consente al visitatore di guardare (attraverso le finestre della torre) allo splendido paesaggio attuale di Torre Guaceto con un occhio che sia in grado di comprenderne le trasformazioni avvenute nel corso degli ultimi millenni; un diorama propone infatti quello che doveva essere l’aspetto di questo tratto di costa attorno al V secolo d.C. quando il livello del mare era 2 metri circa più basso di quello attuale e quando su uno degli isolotti posti dinanzi alla torre c’era una torre-faro che segnalava alle imbarcazioni l’accesso più sicuro alla rada.
Fonte e per approfondimento Area Marina Protetta Torre Guaceto
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