LA STORIA
Marte Ultore era il Marte Vendicatore, “Colui che dalla sconfitta risolleva”, era il riscatto dai gravi torti subiti da un popolo, naturalmente dal popolo romano, il popolo prediletto dagli Dei. Il grande torto subito dai romani nel 44 a.c. fu l’assassinio del più grande condottiero della storia: Giulio Cesare, l’uomo di cui il mondo non si dimenticherà mai più. Ottaviano aveva promesso di erigere a Roma un tempio dedicato a Marte Ultore alla battaglia di Filippi del 42 a.c., in cui con Marco Antonio aveva sconfitto gli uccisori di Cesare.
Il grande tempio sostituiva un’edicola provvisoria nel Campidoglio.
Venne finanziato con il bottino di guerra ottenuto con le proprie vittorie, ossia su un terreno acquistato a proprie spese, alle pendici del Quirinale, a ridosso della Suburra.
Il Foro di Augusto, col tempio di Marte Ultore, venne inaugurato nel 2 a.c. Con l’edificazione del tempio si concludeva la vendetta contro gli assassini di Cesare, il più grande “imperator” di tutti i tempi.
«Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore»
Theodor Mommsen, Storia di Roma antica – Libro V .. XI
Ottaviano Augusto, prima di diventare imperatore, fece voto al Dio della guerra durante la Battaglia di Filippi del 42 a.c., quando sconfisse gli assassini di Cesare, Bruto e Cassio, vendicandone la morte.
(Cassio Dione, Storia Romana)
I RESTI
I pochi resti del tempio sono oggi visibili grazie ai lavori di scavo e restauro portati a termine tra il 1930 e il 1932 da Corrado Ricci in occasione della costruzione di Via dei Fori Imperiali. Il tempio era straordinariamente maestoso e puro nelle sue linee, qualcosa che varrebbe la pena di ricostruire per farlo ammirare al mondo.
Si sono conservati: buona parte del podio, 3 colonne corinzie e un pilastro addossato al muro retrostante la struttura. Tali colonne sostengono tutt’oggi una parte di architrave, di cui è ancora possibile osservare la splendida decorazione originaria.
LE DEMOLIZIONI
Il tempio fu in parte demolito, per recuperare marmi e altri materiali da costruzione, già all’epoca del regno del re ostrogoto Teoderico (493-526). Ma la demolizione maggiore fu quella occorsa tra il IX e X secolo, in cui sul basamento si insediò il monastero di San Basilio, che via via demolì l’edificio per elevare e poi ingrandire il monastero spoliando il tempio.
La costruzione venne ceduta tra il XII e XIII secolo ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (detti poi di Rodi, oggi di Malta), con successive altre demolizioni. Nel 1566 il complesso fu donato da papa Pio V (1566-1572) a un gruppo di monache domenicane.
La smania di cancellare di cancellare il ricordo del Dio pagano, che ancora era vivo tra i romani, portò a costruire un nuovo monastero e una nuova chiesa, che occupò l’intera area del Tempio di Marte e che fu dedicata alla Vergine Annunziata.
Queste strutture cristiane vennero finalmente demolite tra 1924 e 1932 per liberare i resti monumentali di epoca romana che erano resistiti in loco. Molti frammenti marmorei rinvenuti all’epoca sono visibili presso il Museo dei Fori Imperiali.
LA DESCRIZIONE
Il tempio aveva due ingressi, uno a tre archi e uno ad arco singolo, quello che fu chiamato poi Arco “dei Pantani”. Il portico settentrionale terminava nell’Aula del Colosso, un vano ricchissimo di opere d’arte, che doveva ospitare la statua colossale dedicata al Genio di Augusto, i cui giganteschi resti sono oggi presso le Terme di Diocleziano. Dopo la morte di Augusto furono aggiunti ai piedi delle scalinate due archi monumentali, dedicati a Germanico e a Druso Minore.
L’edificio si innalzava su un podio di 3,5 m., con una superficie di 40 m x 30, quindi di ben 1200 mq, costituito da fondazioni in opera cementizia e in blocchi di tufo, a sostenere i muri, e in tufo e travertino, a sostenere i colonnati che avevano naturalmente un peso maggiore; le fondazioni erano rivestite interamente da blocchi di marmo.
Il podio dunque sorreggeva, oltre alla cella, otto colonne corinzie in facciata e altrettante su ogni fianco, pertanto 22 colonne, terminando sul muro di fondo con una lesena. Di queste colonne corinzie in marmo di Luni ne rimangono alzate solo tre del lato destro del Tempio, insieme ad un pilastro, a parte dell’architrave e a parte del muro della cella.
Si accedeva al tempio con una scalinata frontale di 17 gradini in marmo, con al centro un altare ornato da bassorilievi.
Su questo altare celebravano i sacrifici i governatori per propiziarsi gli Dei prima di partire per le province, mentre due fontane a vasca ne decoravano le estremità. Sulla fronte aveva otto gigantesche colonne corinzie e altre otto su ciascuno dei fianchi.
I colonnati e le pareti esterne della cella erano realizzati in prezioso marmo lunense. Augusto fece inoltre deporre davanti al tempio due cariatidi in bronzo provenienti dalla tenda di Alessandro Magno. L’ordine architettonico del tempio ha rappresentato un modello per l’evoluzione della decorazione architettonica romana.
La cella aveva sulle pareti interne due ordini di colonne staccate dalla parete, cui corrispondevano sulla parete altrettante lesene. Le colonne erano sormontate da elaborati capitelli corinzi in marmo, decorati da pegasi alati. Inoltre aveva un’abside sul fondo, curvata mediante un’intercapedine, con un podio per le statue di culto, e una breve scalinata rivestita da lastre di alabastro.
Le statue erano di Marte e Venere, ritenuti i progenitori dei Romani e della Gens Iulia, la famiglia di Cesare e di Ottaviano Augusto. Altre statue erano collocate nelle nicchie sulle pareti, incorniciate tra le colonne. Sopra il frontone erano collocati gli acroteri dorati di Nike (Vittorie alate). Il gruppo statuario trasmetteva un messaggio di legittimazione del potere imperiale assunto dalla Gens Iulia (a partire da Augusto), che, secondo la leggenda, discendeva da Iulo Ascanio, figlio di Enea, a sua volta figlio di Venere. Da Iulo Ascanio discendeva anche Rea Silvia, che concepì Romolo con il Dio Marte.
Nel Foro è stato ritrovato davanti al Tempio, durante gli scavi degli anni ’30 del Novecento, un piede destro in bronzo appartenuto ad una statua femminile (una Vittoria), nell’atto di spiccare il volo.
Probabilmente l’immagine bronzea della Vittoria era inserita nel gruppo della quadriga trionfale del centro della piazza e con tutta probabilità apparteneva ad uno degli acroteri del Tempio, come usava all’epoca, sulla sommità del frontone.
IL FRONTONE
La decorazione frontonale del tempio, andata distrutta dall’iconoclastia perpetrata attraverso i secoli, è peraltro nota attraverso un rilievo di età claudia, l’Ara Pietatis Augustae, mentre il gruppo statuario della cella è stato ricostruito sulla base di un altro rilievo, raffigurante appunto Marte, Venere e il Divo Giulio, rinvenuto a Cartagine e conservato nel museo di Algeri.
Abbondanti fonti epigrafiche e letterarie, tra cui la biografia dell’imperatore Augusto (Res Gestae Divi Augusti) hanno fornito ulteriori preziosi dati, utili alla ricostruzione del monumento.
Esistono infine alcuni disegni di artisti rinascimentali, come il Palladio, il Sangallo e il Peruzzi, che riproducono particolari architettonici del tempio. Della pavimentazione e dei capitelli esistono i resti archeologici ancora in sito.
Il frontone era ornato da una scena sacra: al centro Marte poggiato ad una lancia, alla sua destra Venere e poi Eros, seguiti da Romolo in atto di prendere gli auspici, alla sua sinistra la Dea Fortuna con la cornucopia, seguita dalla Dea Roma tutta armata. Alle estremità erano le personificazioni del Palatino e del Tevere. Dietro il basamento era il penetrale, nel quale erano conservate le insegne legionarie sottratte a Crasso e ad Antonio dai Parti e restituite ad Augusto.
IL SIGNIFICATO
Questo tempio, secondo la volontà di Augusto, ebbe un ruolo estremamente importante nella vita pubblica, tanto è vero che vi veniva conservata come una reliquia la spada di Cesare. Il senso era che l’assassinio di Cesare era stato un atto criminosamente iniquo per tutti i romani, che gli Dei avevano esecrato questo atto e avevano appoggiato la guerra di Ottaviano contro Bruto e Crasso per vendicare Cesare e ristabilire la giustizia a Roma.
Affinchè poi i membri della famiglia imperiale non dimenticassero chi fosse stato Cesare, in questo stesso tempio essi ricevevano la toga virile, cerimonia che segnava il passaggio dall’infanzia all’età adulta, intorno ai 17 anni, perchè Cesare rimaneva per tutti il più grande esempio di romano, guerriero giusto e perfetto.
Inoltre i magistrati inviati nelle province venivano qui investiti del comando, l’imperium, e al loro ritorno vi riportavano i trofei delle vittorie conseguite. Marte era del resto il padre di tutti i romani, ma in particolar modo dei soldati romani. Romolo e Remo erano figli di Marte e di Rea Silvia, e tutti i legionari sacrificavano a Marte sia i nemici uccisi sia le vittime animali al ritorno in patria.
Marte pertanto significava la forza per combattere e conseguire la vittoria, ma se questo aveva un impedimento il Dio tornava sui suoi passi a guidare l’indomito spirito romano per combattere e vendicare le offese fatte a Roma. Del resto l’offesa a Cesare era stata offesa agli Dei che ben altro si aspettavano da parte di Cesare, l’uomo del destino, colui che aveva spezzato ogni regola e ogni indugio per ottemperare al suo grande destino:”Andiamo là, dove i prodigi del cielo e l’ira dei miei nemici mi chiamano: il dado è tratto“
(Cesare)
FONTE @romanoimpero.com