Borghi d’Italia
Storia di Sepino: tra passato e presente
Origini di Sepino
Strana vicenda quella di Sepino: nel suo nome è racchiusa la storia millenaria di una valle ancora incontaminata: la valle del fiume Tammaro, ricca di sorgenti salutari e di boschi secolari. Nata sul tratturo come posto di sosta e di riposo per le greggi e i pastori emigranti lungo il percorso delle “vie della lana”, con le Guerre Sannitiche gli abitanti si spostarono sulla montagna oggi denominata Terravecchia dove costruirono una città definita da Livio fortissima atque potentissima.
Sepino Sannitica
Saranno proprio le sue possenti mura, in occasione della III Guerra Sannita, a dover far fronte agli assalti delle truppe romane guidate dal console Papirio cursore nel 293 a.C.; su di esse i Sanniti combatterono contro i Romani una durissima battaglia che costò loro, secondo gli storici romani, 7400 morti e 3000 prigionieri. L’ampio perimetro murario, di forma grosso modo trapezoidale, aveva tre porte; la più significativa è la Postierla del Matese, uno dei documenti meglio conservati della tecnica edilizia sannitica a fini militari.Un lungo corridoio coperto, tanto stretto da far passare una sola persona per volta. A ridosso della porta sono visibili anche i resti di un abitato medievale con torre centrale, poi abbandonato nel XIV sec., forse in seguito ad una guerra con l’attuale Sepino. Più in basso, su una collina da cui domina il tratturo, in una leggera piana nascosta tra i boschi, è un tempio sannitico utilizzato fino al medioevo come chiesa dedicata a S.Pietro.
Sepino Romana
Vedi Altilia Sepino in 3D
Quando con Augusto il mondo romano trovò finalmente un momento di pace, gli abitanti si spostarono in pianura, dove era già un piccolo, ma prospero centro commerciale sannitico. Qui nacque una fiorente cittadina romana: Saepinum. La città acquistò ben presto importanza nel mondo romano grazie alla laboriosità dei suoi abitanti ed alle ricche famiglie che vi risiedevano: tra queste era quella dei Nerazi, a cui appartenne anche Nerazio Prisco, insigne giureconsulto, prescelto dall’imperatore Traiano quale suo succesore.Era proprietaria di immensi territori e di una bellissima villa di cui è possibile ammirare i resti nei pressi della stazione di S.Giuliano – Sepino. Saepinum, definita “la città del tratturo”, ha pianta romboidale con quattro porte poste alle estremità del documano e dal cardo, le strade principali delle città romane. Le mura, in opera reticolata incerta, sono state costruite poco prima del 4 d.C.; lungo il loro percorso sono distribuite 25 torri circolari e due ottagonali. Uno dei monumenti meglio conservati è il teatro ( sembra potesse ospitare a 1000 persone); fu costruito nella prima metà del I sec. a.C. ed in parte modificato in epoca successiva. Sulla scaena, nell’edificio rurale sovrastante, è la prima sezione del Museo di Saepinum.
Il teatro di Saepinum ha una particolarità che lo distingue dagli altri noti: una porta di piccole dimensioni ( la quinta ) si apre infatti nelle mura cittadina permettendo l’accesso al teatro direttamente dall’esterno. Uscendo da qui è possibile raggiungere, seguendo le mura, la Porta Boiano, così denominata perché posta in direzione dell’omonimo centro molisano. Ai lati dell’arco due statue di prigionieri germanici fiancheggiano l’iscrizione con dedica a Tiberio e a Druso, a cui è dovuta la costruzione del muro di cinta.Sotto la statua di destra e posta l’iscrizione “de grege oviarico”, importante documento per conoscere aspetti della transumanza nel II sec. d.C.. Dalla porta di Boiano si accede all’interno mediante il decumano, fiancheggiato da alcuni edifici importanti tra cui un edificio di culto di età augustea, il macellum o mercato, di forma esagonale, e la basilica, con le sue svettanti colonne dai capitelli ionici. Subito dopo si apre il foro, di forma trapezoidale su cui si affacciano gli edifici pubblici più importanti della città: il tempio dedicato forse a Giove Ottimo Massimo (interessante è la sottostante struttura industriale di epoca sanniticaper la lavorazione dei panni), un edificio preceduto da due colonne e due semicolonne scalanate e quindi le te, solo in parte portate alla luce. Proseguendo lungo il documeno s’incontra una delle tante fontane da cui era ornata Saepinum: la Fontana del Grifo, così chiamata per la decorazione presente sulla lastra da cui usciva il tubo d’acqua (fistula).La cittadina romana non mancava di edifici industriali: un mulino posto poco dopo la “Fontana del Grifo” ed una conceria. Proseguendo lungo il decumano si giunge a Porta Benevento, alla cui sinistra è la seconda senzione museale di Saepinum; qui è conservato un interessantissimo pavimento di epoca sannita. Uscendo da Porta Benevento è visibile l’imponente monumento funerario di C.Ennius Marsus: di forma cilindrica, ha negli angoli della base dei leoni accovacciati.
Sepino Medievale
La città, dopo il IV sec. a.C. incominciò ad entrare in crisi: la guerra greco-gotica (535-553), dalle cui conseguenze Saepinum fu certamente investita, determinò un aggravarsi delle condizioni dell’abitato, tanto che crollarono gli edifici più significativi. A dare una certa ripresa alla città, fu la concessione della piana da parte dei duchi longobardi di Benevento ad una colonia di Bulgari nel 667. Questo periodo di ripresa perdurò fino al IX sec., quando incursioni saracene spinsero le popolazioni ad abbandonare la pianura per le più difendibili zone montane. E’ in questo periodo che nasce il Castellun Sepini, l’attuale Sepino, che nel tempo ne conserverà il nome fino ai nostri giorni quale legittima erede dell’antica città romana. Anche nella scelta di questa località sarà decisiva la presenza di sorgenti oggi utilizzate anche per un nuovo e moderno impianto termale ricco di acque tra le più salutari d’Italia. Racchiuso entro una possente cerchia di mura lungo le quali si distribuiscono alte torri cilindriche, il centro storico di Sepino è un piccolo gioiello di architettura medioevale in cui si inseriscono qua e là sobri ed eleganti edifici del Rinascimento come il palazzo Attilio, voluto da un ecclesiastico di Sepino dopo la sua nomina a vescovo di Termoli
Archeologia
Zona Archeologia di Altilia Saepinum è la città romana di pianura che sorge all’incrocio di due importanti strade: il Tratturo Pescasseroli-Candela attraversato dalle greggi transumanti nei loro spostamenti stagionali e l’altra, ad esso trasversale, che scende dal Matese e continua in direzione della fascia costiera.
Il luogo veniva usato già in epoca sannitica come punto d’incontro e di scambio dei prodotti agricoli con quelli pastorali in occasione delle migrazioni stagionali delle greggi, quindi scalo e porto di mercato. La città romana, che è quella che noi oggi vediamo, fu preceduta da una di epoca sannitica che sorgeva sulla montagna retrostante, detta di “Terravecchia”.
Di quell’antico insediamento sono attualmente riconoscibili notevoli testimonianze quali la spendida cinta muraria in opera poligonale il cui perimetro è rintracciabile per buona parte. Sono state individuate lungo il suo circuito tre porte, una delle quali, denominata “del Tratturo”, da cui si diparte quel tratturello trasversale, su menzionato, che scende a valle fino all’incrocio con l’altro più grande.
Delle tre quella in migliore stato di conservazione è la cosiddetta “postierla del Matese”. Questo recinto doveva costituire, in occasione di eventi bellici, il rifugio delle popolazioni che vivevano sparse, in piccoli nuclei, sulle pendici dei monti e nella pianura.
Dopo la sconfitta subita dai Sanniti ad opera dei Romani, la popolazione abbandona il sito di altura di Terravecchia per riversarsi nella pianura, inizia a costruire il nuovo nucleo urbano proprio nel punto d’incrocio delle due strade che diventano le arterie principali: il cardo e il decumano massimo.
La città era già impiantata e organizzata nel II sec. a.C., come attestano diverse strutture individuate attorno al foro e lungo il lato meridionale della cinta muraria.
Alla prima età imperiale si può far risalire la costruzione o il rifacimento dei maggiori e più importanti edifici quali il foro, la basilica, le terme, forse il teatro e soprattutto la cinta muraria. Essa racchiude una superficie di circa 12 ettari corrispondente all’estensione della città che è a pianta quadrangolare.
Lungo il circuito murario, realizzato in opera reticolata, si aprono le quattro porte monumentali in asse con le principali arterie viarie, mentre una serie di torri a pianta circolare sono dislocate lungo l’intero perimetro ad una distanza ci circa 100 piedi l’una d’altra. Le porte sono ad un fornice, fiancheggiate da due torri circolari, chiuse verso l’esterno della saracinesca scorrevole dentro apposite guide azionate dall’alto da una camera di manovra.
Ai lati dall’arco sono due figure di prigionieri barbari a ricordo della vittoria sui Germani secondo gli schemi dell’architettura trionfale e di propaganda vigente a Roma. Completa la decorazione l’iscrizione commemorativa menzionante i due principi della famiglia imperiale Tiberio e Druso che favorirono e finanziarono la costruzione della cinta muraria, voluta dallo stesso Augusto e datata tra il 2 a.C. ed il 4 d.C.
Questo monumento è stato ed è tutt’ora oggetto, negli ultimi tre anni, di un considerevole intervento per riportare in luce il perimetro nella sua interezza. Attualmente è visibile il suo circuito in modo quasi completo, ad eccezione del tratto nord-occidentale fino al raccordo con P.ta Benevento. Un percorso pedonale, delimitato da una siepe sul lato verso la campagna, consente di ammirare la cinta muraria e la serie di crolli, disposti lungo la cortina esterna alle mura, nonchè lastre di pietre riferibili alla cornice marcapiano, corrispondente, probabilmente, al piano di camminamento della cinta.
Il teatro, situato nel settore settentrionale, è l’edificio più monumentale, di esso si conservano l’orchestra e i primi due ordini di gradinate della cavea destinati al pubblico, a questi settori si accede attraverso i due ingressi monumentali detti “tetrapili”. La parte superiore di essa è stata parzialmente inglobata in costruzioni rurali sorte sul suo emiciclo, dal XVIII in poi, conservandone l’andamento semicircolare e attualmente accolgono la sezione museale dedicata alla città e al territorio.
All’incrocio del cardo con il decumano si apre il foro, cioè la piazza, lo spazio destinato agli scambi e mercati inizialmente, centro politico ed amministrativo successivamente. Essa ha la forma trapezoidale, è lastricata con basole di pietra, una iscrizione al centro della pavimentazione reca il nome dei magistrati finanziatori e curatori dell’opera.
Su di essa si aprono i principali edifici pubblici: la curia, i comizi, aule adibite all’espletamento delle attività ufficiali del municipio, ambienti, forse sede del culto dell’imperatore ed altri probabilmente riferibili ad un complesso termale.
Nel corso del 2001 è stata eseguita una campagna di scavo sul lato meridionale del foro per riportare alla luce gli edifici che su di esso affacciavano e dei quali si aveva solo qualche dato emerso da alcuni sondaggi effettuati tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta. E’ stato riconosciuto l’ingresso di un imponente edificio con una fronte di circa venti metri, sopraelevato rispetto alla piazza per la presenza di una scalinata di accesso.
In asse con esso vi era un arco onorario commemorativo dell’illustre giureconsulto Nerazio Prisco, che aveva avuto fortuna nella cancelleria imperiale ai tempi dell’imperatore Traiano. Interessante dal punto di vista cronologico è quanto è emerso dallo scavo del settore di sud-est del foro, per la presenza di sepolture di epoca altomedievale, che poggiano sulla pavimentazione di un grande vano pertinente ad un edificio pubblico, con accesso diretto sulla piazza, risalente all’età imperiale (fine IV-V d.C.).
La presenza di tombe, databili tra il VII-VIII sec. d.C., attesta che il foro era in rovina già da molto tempo se era ricoperto da un interro uniforme ed utilizzato come sepolcreto, allo stesso modo del teatro dove ritroviamo ugualmente seplture riferibili allo stesso periodo. E’ verosimile che, in età longobarda, ci sia stata una rioccupazione di alcune zone della città.
Anche nell’area forense l’indagine archeologica non è ultimata e diversi altri interventi bisognerà prevedere in futuro per rimettere in luce, completamente, questo settore. Di fronte al lato corto del foro, al di là del cardo, si apre la basilica, a pianta rettangolare, suddivisa interamente da un peristilio di venti colonne sormontate da capitelli di stile ionico. Le sue funzioni erano diverse: da quella giudiziaria a quella commerciale e, nella tarda età imperiale, a quella religiosa.
Nelle immediate adiacenze della basilica troviamo un altro edificio interessante tra quella che viene considerata “l’edilizia pubblica minore”: il “macellum”, il mercato destinato alla vendita dei generi alimentari. La pianta è trapezoidale, al centro si apre un atrio di forma esagonale in cui è stata posta una macina di frantoio che funge da vasca, su di esso si aprono botteghe di dimensioni ridotte ugualmente a pianta trapezoidale.
Due sono gli edifici di culto riconosciuti a Sepino: il primo, adiacente al macellum con apertura sul decumano, ha pianta quadrata, diviso in due parti: un ambiente (pronao) preceduto da due pilastri quadrati sulla fronte e un’aula (cella) destinata al culto della divinità. L’altro edificio è ubicato sul lato nord-orientale del foro sulla cui fronte sono allineati dei cippi con dediche a Costantino e Elena, sua madre.
Completano il quadro dell’edilizia pubblica minore tre edifici: l’uno ubicato sul foro al lato dell’edificio di culto indicato come le thermae Silvani così come riportato su una iscrizione rinvenuta che parla di un restauro avvenuto intorno al IV sec. d.C. Il secondo è stato rinvenuto a ridosso delle mura nei pressi di P.ta Boiano, il terzo, presso P.ta Terravecchia, è inglobato in una delle case rurali. L’edilizia privata è conosciuta attraverso i quartieri d’abitazione dislocati lungo il decumano. Ha carattere più signorile la casa detta “dell’impluvio sannitico” per la diversità della pianta che ricalca quella della domus di tipo pompeiano.
Come è tradizione nelle città romane, i monumenti funerari e l’area adibita alle necropoli erano ubicate all’esterno della cinta muraria lungo l’asse viario di maggiore importanza. A Sepino è rispettata questa consuetudine, difatti si possono ammirare due mausolei, ricostruiti nella prima metà del secolo scorso, all’esterno delle P.te Boiano e Benevento, rispettivamente di proprietà della famiglia di Numisio Ligo l’uno e di Ennio Marso l’altro, oltre ad una serie di iscrizioni o rilievi funerari e sepolture ad inumazione che hanno restituito interessanti corredi. Valeria Ceglia
Il Museo Archeologico si trova sulla cavea del teatro allestito all’interno delle abitazioni rurali impiantatesi sulla somma cavea. I vani sono stati resi comunicanti per dare linearità al percorso museale mantenendo inalterati il disegno e la struttura originaria. Trovano posto all’interno materiali provenienti dalla città, dalla necropoli e, in numero assai limitato, dal territorio. I reperti sono ordinati, per quanto possibile, in sequenza cronologica dall’età più antiche fino al basso medioevo. Sono visibili strumenti litici, attribuibili alla fase più antica della preistoria, il Paleolitico, frutto di una sistematica ricognizione di superficie sia nell’ambito del territorio sepinate sia in quelli ad esso limitrofi.
Alla fase ellenistica ( IV-I sec. a.C.) si fanno risalire i materiali esposti nella II sala del Museo provenienti sia dal primo insediamento stabile di pianura, sia dal Santuario in corso di scavo loc. S. Pietro di Cantoni quali vasellame fine da mensa, monete, ornamenti e monili, oggetti di uso quotidiano. La maggior parte del materiale esposto si colloca nell’età imperiale, nel periodo di massimo splendore del municipio romano, proviene quasi tutto dall’area urbana e dalle necropoli ubicate a ridosso di essa. Vuole essere rappresentativo della vita della città: alcuni oggetti sono legati alle attività produttive ed imprenditoriali quali condotte idriche, tegole con i bolli, matrici, compassi, altri reperti sono pertinenti all’illuminazione rappresentata da una ricca campionatura di lucerne, altri legati al tema del giodel tempo libero quali la bambolina, dadi, pedine, altri ancora alla cura della persona come l’occorrente per il trucco, o gli oggetti di abbigliamento: fibule per chiudere il vestito o spilloni per reggere le capigliature. L’ultimo periodo di frequentazione del sito che, con alterne vicende di abbandoni e rioccupazioni si trascina fino al XIII-XIV sec., viene documentato da vario materiale esposto nell’ultima sala. Tra essi è degna di nota una bella fibula di bronzo, ad anello aperto con iscrizione, menzionante un nome germanico femminile, che attesta la presenza di popolazioni di etnia e cultura diverse.
Vedi Piazza Nerazio Prisco in 3D
Arte e Monumenti
Chiesa Santa Cristina Dalla navata laterale si accede al “Tesoro”, una pregevole cappella a semplice pianta rettangolare più volte rimaneggiata.
Sono documentati gli importanti interventi del 1740, del 1874, del 1948. Nel 1963 fu completamente rifatta l’attuale decorazione. Il Tesoro è il luogo più caro alla devozione perché custodisce le reliquie del braccio di S. Cristina.
L’elegante portale in pietra locale scolpita in stile baroccheggiante, è chiuso da una porta in noce, intagliata, con figure di angeli nella parte superiore e volute floreali nella parte inferiore, opera di artigiani locali. In alto lo stemma di Francesco Carafa suddiviso in due parti, con le insegne dei Carafa (campo rosso con tre fasce argento) e quelle dei Caracciolo, famiglia di sua moglie (Icone rampante azzurro in campo oro).
L’iscrizione sull’architrave ricorda l’anno di costruzione del Tesoro, 1609, da parte del principe di Sepino Francesco Carafa, che erogò la somma di 2.000 ducati. Sempre a cura del principe F. Carafa – come ricorda il grande specchio epigrafico sito sull’ingresso della sagrestia – il Tesoro fu impreziosito da bellissime pitture e mosaici e dotato dei busti in rame argentato dei santi Giovanni Battista, Nicola, Biase, Antonio abate, degli apostoli Giacomo, Filippo, Andrea e del martire Sebastiano. I busti in rame argentato, di pregevole fattura, riferibili all’artigianato napoletano del primo seicento, sono custoditi in otto nicchie ricavate nelle pareti del Tesoro e chiuse da sportelli originali in legno, a doppia anta, con eleganti intagli che includono lo stemma dei Carafa.
Le nicchie con cornici in pietra ornate con motivi geometrici, stilisticamente tardo cinquecentesche, sono risalenti all’epoca di fondazione della cappella.
L’altare, databile al 1742, a ricchi intarsi policromi con cornice a volute, reca al centro una cornice che circoscrive la croce raggiata; ai lati dell’alzata due teste di serafini.
In basso, più indietro, sono visibili gli stemmi partiti delle famiglie della Leonessa e di Somma. Il presbiterio è delimitato da una balaustra decorata a volute ed elementi floreali, a trafori, in marmi policromi.
Opera veramente pregevole riferibile alla metà del 1700. Sull’altare in una nicchia, con una ricca cornice e sormontata da una lunetta decorata a mosaico, è custodito il busto reliquiario di S. Cristina. L’opera in argento e rame dorato, del XVII secolo, è attribuibile all’area artistica napoletana. La mano destra della Santa avvolge, con un gesto protettivo, Sepino; la sinistra sorregge una palma e un ramo fiorito, in ricordo della sua verginità e del suo martirio. Il volto risalta da una complessa acconciatura raccolta sulla nuca.
Sul petto una teca ovale, circondata da una ricca cornice a cesello. La reliquia del braccio di S. Cristina è conservata in un avambraccio in argento sbalzato e cesellato, opera di argentieri napoletani tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700. Secondo altri studiosi potrebbe essere più antico e risalire al XV secolo.
Ai lati dell’altare due torcieri in legno del XVII secolo, finemente intagliati, restaurati nel 1997, mostrano nella base gli stemmi della famiglia Carafa. Il fusto, decorato con fregi, baccelli e teste, è sorretto da tre cherubini. II soffitto restaurato nel 1963 con decorazioni dorate, mostra tre affreschi del pittore Leo Paglione.
Esse rappresentano S. Cristina tra gli emigrati, l’arrivo dei pellegrini con le reliquie di S. Cristina, la consegna delle reliquie al Consiglio degli Anziani. Sulla parete di fondo è rappresentata la Crocifissione, sempre opera del pittore Leo Paglione.
TRADIZIONI
FESTA DI SANTA CRISTINA (8-10 gennaio, 23-25 luglio
Nell’ambito della festa di Santa Cristina si svolgono le seguenti manifestazioni:
8-10 gennaio: “Crianzola”: si tratta di una cena organizzata dal Sindaco che vede la partecipazione esclusiva dei capo famiglia del paese e delle contrade, durante la quale si assaggiano vini offerti dai produttori locali in ricordo di una vecchia usanza.
Consegna del “cartoccio”: il cartoccio è un dono tradizionale dell’amministrazione comunale ai bambini di Sepino, confezionato con leccornie varie e dolci tradizionali.
Processione delle Verginelle: bambine vestite di bianco, simbolo della purezza Santa, dopo aver ricevuto il cartoccio accompagnano i membri dell’amministrazione comunale in chiesa, dove si svolge la messa. Il sindaco reca in dono alla Santa oro, incenso e mirra.
Suono delle campane: caratteristico il suono delle campane che dal pomeriggio del nove accompagna l’intera festa per tutta la notte. Il diritto di suonarle, per un tempo determinato, viene acquisito da comitive di giovani mediante sorteggio.
23-25 luglio: tradizionale mercato di merci varie e un’affollata fiera di bestiame, lungo la strada rotabile che dall’ingresso del paese conduce al centro. Un concerto bandistico viene tenuto in serata sull’antico palco – gazebo allestito nella piazza.
si celebrano le funzioni religiose e a mezzogiorno esce il prezioso busto di Santa Cristina in solenne processione. La sera, il concerto è caratterizzato dall’alternanza di due affermate bande musicali, che contendono il plauso del pubblico appassionato che accorre numeroso. A mezzanotte circa sfavillante spettacolo pirotecnico.
Festa dell’emigrante: dopo la celebrazione della messa, la giornata è caratterizzata da un pranzo che riunisce tutti gli emigranti che sono ritornati in paese in occasione dei festeggiamenti della Santa Patrona. La festa si conclude con un concerto serale di cantanti affermati di musica leggera, attrattiva anche per i paesi vicini.
PROCESSIONE DEI SANTI (prima domenica di Maggio
Tradizionale processione con l’uscita dei busti bronzei dei santi custoditi nella cappella del Tesoro, caratterizzata dalla suggestiva “sciurata a ri Sante” le donne del paese, dalle finestre e dai balconi, lanciano petali di fiori, che creano un variopinto tappeto al corteo.
FESTA DI SANT’ANTONIO 13-14 giugno
La mattina si celebra una Messa solenne con benedizione dei bambini e consegna delle “pagnutelle”.Queste sono panini benedetti di produzione di un forno locale, simbolo dell’umiltà e semplicità dell’ordine francescano. Dopo la Messa si snoda la tradizionale processione che raggiunge la piazza del paese. In serata concerti bandistici allietano la festa sul piazzale del convento e il tutto si conclude con un entusiasmante spettacolo pirotecnico.
FESTA DELL’ASSUNTA 15 agosto
Celebrazione religiosa con Messa e processione e concerto serale di musica leggera.
FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE (ultima domenica di Agosto)
Celebrazione religiosa, con suggestiva processione durante la quale, i fedeli, accompagnando la Madonna, recano delle fiaccole accese. In serata un concerto di musica leggera conclude la festa.
FESTA DELL’ALTILIA (terza domenica di settembre)
In mattinata fiera e mercato sul tratturo e spettacolo musicale in serata, nei pressi degli scavi archeologici.
SAGRA DEI BUFU’ 31 dicembre e 1° gennaio
La manifestazione consiste nel portare una serenata augurale a tutto il paese da parte di svariati gruppi di suonatori, detti “bande di bufù”.
Queste utilizzano rudimentali strumenti musicali, costruiti artigianalmente: si tratta dei cosiddetti bufù, grosse botti di legno, ricoperte sulla sommità con pelli di animali essicate al sole.Al centro della pelle viene praticato un foro, attraveil quale passauna canna che, per strofinamento, fa vibrare la pelle, producendo un caratteristico suono. Altri strumenti utilizzati sono i cosidetti zingareglie: questi, in genere,vengono ricavati con due aste di legno a cui sono inchiodati pezzi di lamiera di forma romboidale o rotonda.
Le due aste, battute una contro l’altra, producono un allegro suono metallico. Per armonizzare il tutto, ogni banda ha un suonatore di organetto ed un capobanda che, vestito in maniera stravagante e pittoresca, dirige le suonate. I “bufù” attraversano le strade del paese durante l’intera notte di fine anno.Durante la mattinata di capodanno, in piazza, sisvolge una simpatica gara tra le bande che culmina nell’assegnazione di un trofeo alla vincitrice.
IL TERRITORIO DI SEPINO
Sopra un colle, a 702 metri di altitudine, ultime propaggini nord-orientali del massiccio del Matese, circondato da verdi boschi, si stende il rinomato centro di Sepino.
Adagiata alle pendici dei monti del Matese, vede racchiusi nel suo nome secoli di storia.
Il paese moderno conta circa 2.200 abitanti e sorge sulle rovine di un antico castello medievale: il borgo antico è caratterizzato da vicoli stretti, ben curati e il visitatore che vi giunge resta incantato dalle ombre dei tetti sulle viuzze acciotolate, dal rosso-rosa dei gerani penzolanti dai balconi ed è inebriato dall’odore della paretaria attaccata ai muretti, dalla fragranza del bucato steso al sole e dai soffritti delicati sfuggiti dalle finestre socchiuse.
E’ la quiete di un mondo antico, suggestivo di indubbio fascino.
Il paese, abbelito da un’elegante piazza, è circondato da un incantevole paesaggio ricco di boschi e luoghi ameni.
L’acqua e le sue terme
Prima di avventurarci nel lungo percorso terapeutico tracciato dall’Acqua di Sepino in oltre duemila anni, è bene ricordare come la nostra storia, peraltro interessantissima, dell’Idrologia Medica si confonda con la stessa della Medicina testimoniando, anche sotto questo profilo, l’importanza assunta dalla crenoterapia.
Le acque minerali, infatti, sono state usate come mezzo di cura in ogni epoca e da quasi tutti i popoli; non a caso, pochi campi terapeutici possono vantare, al pari dell’Idrologia medica, una multisecolare permanenza di indicazioni e una immutabilità d’uso paragonabile solo alle norme riguardanti l’alimentazione e la dietetica.
Ed è proprio nei territori limite fra terapia e dietetica che questa scienza, come sosteneva Messini, deve considerare le applicazioni idropiniche. Peraltro, questo è proprio ciò che sembra essersi verificato, nei secoli, a proposito dell’acqua di Sepino, piccolo paese in provincia di Campobasso, in Molise, alle pendici del complesso montuoso del Matese.
Quest’acqua è stata e tuttora utilizzata, nel raggio di centinaia di chilometri, oltre che per dissetarsi, anche e soprattutto per la cura di molteplici malattie, in particolari delle cacolosi. Dalle città costiere dell’Adriatico sino ai paesi interni del Sannio, uomini e donne non hanno esitato a percorrere, a piedi, lunghi percorsi pur di andare a rifornirsi delle acque sgorgavano dalle storiche “Tre Fontane” di Sepino le cui proprietà curative erano note già duemila anni fa all’epoca dell’antica Altilia Saepinum, un Municipio romano sorto, non casualmente, proprio nei pressi della fonte.
Oggi queste acque sono state studiate e caratterizzate come oligominerali, imbottigliate e rese disponibili sul mercato distributivo italiano con il nome di “Sepinia” per la dieta e per la cura di quelle patologie come la calcolosi e la prevenzione ed il trattamento della gotta che da esse ne ricavano benefici importanti.
Nuovi studi, in futuro, saranno indirizzati ad individuare le risposte alle ripetute osservazioni che indicano una notevole capacità di migliorare ed esaltare una sensazione di benessere in chi fa uso costante dell’Acqua di Sepino; uno stato che sembrerebbe riscontri in valutazioni di ordine bioelettrico.
Alla scoperta di Sepino Altilia
La rubrica In Viaggio presente sul portale www.ansa.it dell’agenzia italiana d’informazione ANSA ha dedicato un articolo al sito archeologico di Altilia.
“Poco frequentato dal turismo di massa, il Molise ospita perle archeologiche e naturalistiche di particolare interesse, alle quali si accompagna una sostanziosa tradizione enogastronomica.
Per chi visita la regione è d’obbligo una visita a Sepino Altilia, sintesi perfetta di storia e natura nella quale respirare l’aria di un’antica città romana.
Il sito è un parco archeologico aperto al pubblico e parzialmente abitato dove è possibile ammirare anche case medievali ancora in uso. Conosciuta con l’appellativo di Altilia, Saepinum sorge all’incrocio del tratturo Pescasseroli-Candela, attraversato dalle greggi transumanti nei loro spostamenti stagionali, e di un altro piccolo tratturo che scende dalla catena montuosa del Matese e continua in direzione della fascia costiera.
Già in epoca sannita il luogo era punto d’incontro e di scambio dei prodotti agricoli con quelli pastorali in occasione delle migrazioni stagionali delle greggi e ancora oggi passeggiando nel sito è possibile imbattersi in mucche e pecore che pascolano nei dintorni e che in alcuni casi attraversano la zona archeologica.”
COME ARRIVARE nel cuore del Sannio
Auto – Autostrada A1 uscita Caianello (da Napoli) uscita San Vittore (da Roma) – Autostrada A14 uscita Termoli – Autostrada A16 uscita Benevento – Da Campobasso S.S. 87 verso Isernia-Benevento uscita Sepino – Da Isernia S.S. 17 verso Campobasso-Benevento uscita sepino – Da Benevento S.S. 87 verso Campobasso uscita Sepino
Aereo – Aereoporto Roma Fiumicino – Aereoporto Roma Ciampino – Aereoporto Napoli – Aereoporto Pescara – Aeroeporto Foggia
Treno – Linea Milano-Bari stazione F.S. Termoli – Linea Termoli-Campobasso stazione F.S. Campobasso – Linea Roma-Campobasso stazione F.S. Campobasso – Linea Napoli-Benevento-Campobasso stazione F.S. Campobasso
COSA VEDERE
- – Chiesa di Santa Cristina
- – La zona archeologica di Altilia
- – La zona archeologica di Terravecchia
- – Le terme di Sepino
- – Il Parco Terme
- – Il Pianoro di Campitello di Sepino e le montagne circostanti
- – Chiesa di Santa Maria Assunta
- – Chiesa di San Lorenzo
- – Chiesa del Purgatorio
- – Località Ponte di San Rocco
- – I Supportici
- – Le torri di Via Palerio Volpe
- – Il belvedere di Via Cannoni
- – Sala conferenze Santo Stefano
- – Il Convento SS Trinità in località Petrilli
- – Le rovine del Convento di Santa Maria degli Angeli in località Convento Sant’Angelo
- – Il Fiume Tammaro
- – Il Fiume Tappone
- – La Cascata delle Castagne
- – Briglie sul Tappone