Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Campania
Salume insaccato di forma cilindrica leggermente schiacciata, legata in senso verticale ed orizzontale, formando 4 lobi; il colore esterno è rosso scuro, che con la stagionatura tende al bruno; l’interno è rosso porpora, leggermente più scuro ai bordi e sono ben visibili i pezzi di lardo di colore bianco. La sua lunghezza varia da un minimo di 10 cm ad un massimo di 15 cm; la larghezza da un minimo di 5 ad un massimo di 9 cm; il peso varia da 200 a 500 grammi. Il prodotto ha sentori tipici della stagionatura in ambienti tradizionali, prevalenza netta di sapidità e sentori di pepe, con retrogusto di vino rosso e grande persistenza delle sensazioni gustative. Il prodotto si presenta molto compatto per via della doppia legatura, privo di vuoti interni e fessurazioni. Odore di vino rosso e pepe.
Descrizione delle metodiche di lavorazione
Le parti del suino utilizzate sono quelle estremamente magre provenienti dal dorso e dalla natica; il lardo utilizzato è quello del dorso. La selezione della materia prima avviene manualmente. Il tratto di intestino di maiale usato per insaccarla è l’intestino cieco: è lungo da 25 a 45 metri ed è consigliabile tagliarlo in più pezzi per facilitare sia il lavaggio che la fase di riempimento. Molta cura e attenzione va prestata per il lavaggio dell’intestino. Infatti è assolutamente necessario lavarlo con acqua fredda, anzi freddissima al fine di evitare qualsiasi proliferazione batterica. Anche la temperatura dell’ambiente in cui si andrà a produrre il salume deve essere piuttosto bassa: è consigliabile che sia al disotto dei 19°C. Dopo la selezione della materia prima, la stessa viene triturata con il coltello, per almeno il 20%, o con il tritacarne, e in quest’ultimo caso con stampi con fori del diametro max di 6 mm. Invece la triturazione del grasso avviene manualmente in modo da ottenere piccoli cubetti. Si condisce la carne triturata con Kg 2.5-3 di sale da cucina, grammi 1-2.5 di pepe in grani e 50 litri di vino, per ogni 100 Kg di carne fresca. Si impasta il tutto manualmente e si procede con l’insaccamento che avviene manualmente ed in modo del tutto caratteristico, utilizzando un apposito utensile, di forma cilindrica e di diametro opportuno, per tenere teso il budello e favorire un insaccamento ottimale dell’impasto, utilizzando solo budelli naturali di suini.
Il budello deve essere prima privato di una parte del grasso da cui è avvolto, servendosi di piccole forbici ben pulite ed affilate, ma senza affondare troppo per non rischiare di romperlo; va sciacquato abbondantemente, poi va rovesciato sottosopra come un calzino. A questo punto, si continua a sciacquare, sempre delicatamente, anche la parte interna che ora invece risulta esterna e lasciarlo in ammollo in acqua e limone per qualche ora. Trascorso questo tempo, occorre risciacquare abbondantemente sotto acqua corrente e lasciare di nuovo in ammollo con acqua e limone.
Per insaccare la carne, è opportuno lasciare il budello rovesciato, in modo tale che la parte che stava a contatto con le feci rimanga all’esterno, mentre la parte esterna – con il grasso rimasto intorno – deve rimanere all’interno. Tutto questo va fatto sia che si compri il budello fresco, sia che si compri quello sotto sale.Il budello ripieno viene legato con spaghi di canapa e forato per facilitarne l’asciugatura. Dopo aver impastato la carne triturata si prende un quantitativo di impasto e lo si modella facendolo rotolare su un piano e compattandolo con le mani, bagnando l’impasto e le mani con vino rosso, e dando una forma affusolata. L’insaccamento avviene facendo rotolare l’impasto preformato su un tavolo di legno e portandolo sul bordo dello stesso per farlo entrare nel budello. In questo movimento si deve far attenzione a conservare la compattezza dell’impasto e quindi la forma data precedentemente. Una volta insaccato, il budello ripieno viene legato con spaghi di canapa, incrociandolo secondo le due dimensioni e contemporaneamente viene forato con colpi di forchetta, per facilitarne l’asciugatura e permettendo così agli eventuali liquidi, ma soprattutto all’aria, di fuoriuscire.
Le soppressate così confezionate vengono riposte in un contenitore forato (una cassetta di plastica della frutta e verdura o una cesta di vimini) e, facendo attenzione a che nulla possa strappare o tagliare l’involucro delle soppressate, si accatastano una sull’altra ponendo sopra un peso adeguato ad esercitare una certa pressione (da cui il nome soppressata). La soppressata viene sottoposta a pressatura per almeno 24 ore, utilizzando pesi di misura adeguata a favorire il compattamento della carne e l’assunzione della caratteristica forma schiacciata. Si procede così all’asciugatura e stagionatura in locali tradizionali, ad una temperatura di 10°-18°C. Altro importante fattore da tenere sotto controllo è l’umidità, che se troppo eccessiva compromette la riuscita di un ottimo prodotto. Infatti durante il periodo di asciugatura e stagionatura i locali vanno arieggiati e in caso di eccessiva umidità occorre tenere ben chiusi i locali. Inoltre a tale scopo durante il periodo di asciugatura l’ideale è fare un po’ di fumo, mezz’ora al giorno: perciò circa ogni dieci giorni si accende il fuoco con legna secca di quercia ed aromatica nei locali. In tal modo si velocizza la stagionatura e si conferisce alla soppressata un leggero sapore di affumicato. In tal modo si accentua il sapore particolare della soppressata caggianese, dal quale si sprigiona un profumo tipico dell’affumicatura.
Il tempo di stagionatura varia a seconda del clima: infatti il clima freddo di Caggiano permette una stagionatura in un tempo più breve rispetto a climi più caldi. Di solito sono sufficienti un paio di mesi; l’avvenuta stagionatura è valutata in base alla consistenza della soppressata; terminata la stagionatura si ripulisce dallo strato superficiale di muffa con una pezzuola imbevuta di olio e aceto. Dopo la stagionatura la soppressata viene conservata sotto vuoto o sotto sugna.
Materiali, attrezzature e locali utilizzati per la produzione
- laboratori artigianali
- locali tradizionali per affumicatura e la stagionatura
- attrezzatura in acciaio
- scanni e travi in legno stagionato
- legna di bosco stagionata .
Osservazioni sulla tradizionalità
La soppressata di Caggiano trae origini dalla tradizione lucana. La Lucania oggi regione confinante con il territorio caggianese, ma un tempo Caggiano ne era parte integrante.
La soppressata caggianese da circa tre secoli viene prodotta nel territorio e le varianti di piccola entità caratterizzano e personalizzano il prodotto nei vari comuni.
La storia ricorda che a Napoli durante la Rivoluzione Partenopea del 1799, attraverso gli aristocratici caggianesi che vivevano lì, come Vincenzo Lupo e Giuseppe Abbamonte, fecero conoscere questo particolare salame dal gusto particolare, un po’ affumicato e dal colore molto vivo, alla nobiltà napoletana di Palazzo Reale e che successivamente fecero arrivare in quantità crescenti sulle loro tavole.
Inoltre durante la prima fase di emigrazione nell’America Centrale (soprattutto a New York), la soppressata caggianese accompagnò i caggianesi ovunque nelle loro esperienze. Famoso è l’aneddoto legato al periodo di quarantena che tutti gli immigrati dovevano trascorrere nell’isola di Ellis (Ellis Island), prima di raggiungere le loro destinazioni. E in questa occasione tutti i caggianesi portavano, insieme ai loro bagagli portavano soppressate caggianesi, sia per la prelibatezza del prodotto e che per l’alto livello di conservazione che garantiva quel tipo di prodotto. Fu durante questo periodo che tante comunità apprezzarono il prodotto e successivamente ne fecero richiesta. Dagli anni cinquanta in poi la soppressata arrivò in America “nascosta” all’interno dei caciocavalli in quanto la normativa dell’epoca vietò l’ingresso di salumi per motivi igienico-sanitari.
Territorio di produzione
L’area di produzione ricade nel territorio della provincia di Salerno della regione Campania, e più specificatamente interessa il comune di Caggiano.
FONTE @Regione Campania Agricoltura