Le due imponenti statue, che inizialmente facevano forse parte di un più complesso gruppo statuario, furono rinvenute nel corso degli scavi di Villa Adriana, la grandiosa residenza suburbana che l’imperatore Adriano iniziò a farsi costruire presso Tivoli nel 126 d.C. Si tratta di due fra le molte copie romane che, proprio a partire dal II secolo, vennero realizzate ispirandosi agli originali bronzei attribuiti a Kritíos e Nesiótes i quali, a loro volta, riprendevano il celebre gruppo dei Tirannicidi (che letteralmente significa: «uccisori di tiranni»), realizzato dal maestro ateniese Antenor.
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Atalanta e Ippomene di Guido Reni nel Museo di Capodimonte a Napoli
La tela (sia la versione a Madrid che a Napoli) rappresenta il mito di Atalanta, da Le Metamorfosi di Ovidio, ninfa la cui imbattibile capacità nella corsa fu sconfitta solo da Ippomene tramite uno stratagemma ordito da Afrodite. Atalanta è infatti una donna avversa al matrimonio, pronta a sposarsi solo con colui che l’avrebbe battuta in una gara di corsa. I suoi spasimanti che vengono di volta in volta sconfitti pagheranno la posta in gioco con la morte, così Ippomene, con l’aiuto di Afrodite, che gli ha fornito i pomi d’oro, durante la corsa getta gli stessi nel giardino delle Esperidi, allorché Atalanta una volta che si china per raccoglierli, viene così sorpassata perdendo la gara.
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