Raviggiolo PAT Emilia Romagna

Nel 1515 il Magistrato Comunitativo della terra di Bibbiena portò in dono, a Papa Leone X, del raviggiolo in un canestro ricoperto di felci. L’Artusi, nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, inserisce il “cacio raviggiolo” quale ingrediente per i cappelletti all’uso di Romagna e per i tortelli.

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Pecorino maturato in grotta PAT Emilia Romagna

Viene prodotto da oltre 30 anni all’interno delle antiche grotte solfuree di Predappio Alta, un grande complesso di caverne scavate nella montagna, che rappresentano la più vasta solfara romagnola, utilizzate da secoli per estrarre lo zolfo. 

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Pecorino PAT Emilia Romagna

Prodotto derivante da latte ovino crudo di provenienza locale. Il prodotto finito si presenta in forme di altezza 6-10 cm, diametro 14-20 cm, peso kg 1-2,5; forma cilindrica a facce piane e scalzo leggermente convesso crosta giallastra, pasta bianca scarsamente occhiata di sapore sapido e pastoso delicatamente aromatico (il formaggio stagionato ha la crosta unta di olio di oliva di colore tendente al rossastro, pasta compatta di colore giallo paglierino, gusto e aroma intensi).

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Formaggetta fresca PAT Emilia Romagna

Come in tutte le economie di sussistenza a produzione stagionale, anche per il latte si pone il problema della sua trasformazione e conservazione. La generalità dei contadini, dopo aver adibito il latte ai vitelli e al consumo famigliare, provvedeva a trasformare il latte restante in formaggio, generalmente a cura delle donne che lo lavoravano nella cucina domestica, secondo modalità produttive che ogni famiglia tramandava al proprio interno. Ne uscivano forme di piccolo taglio che, proprio in rapporto alla grande forma del grana, venivano chiamate come troviamo in tanti documenti dei secoli XVI e XVII, “formelle” o “formaggette”

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Casecc PAT Emilia Romagna

Al latte appena munto si aggiunge il caglio. Coagula in trenta minuti. Dopo la rottura della cagliata, effettuata con le mani o con appositi attrezzi, la massa viene posta nelle fascere. La salatura si effettua a secco, rigirando le forme ogni 12 ore e salando nuovamente, fino ad un massimo di due giorni. Matura in 10 giorni in ambiente fresco e umido, dove le forme vengono messe ad asciugare su un ripiano di legno e lavate a giorni alterni rigirandole quotidianamente per i primi 10 giorni. Stagionatura in cantina da un mese a un anno. Durante questo periodo le forme vengono poste su foglie di noce per i primi otto giorni e successivamente conservate nei caratteristici orci di terracotta.

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Cascio pecorino lievito PAT Emilia Romagna

Formaggio prodotto con latte intero di pecora, coagulato con caglio (“priso”) di capretto e/o agnello, stagionato per un periodo variabile dai 20 ai 30 giorni, del peso di Kg 1,5, a forma la cui pasta, bianca e semidura, presenta una diffusa occhiatura.

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Caprino PAT Emilia Romagna

Formaggio ottenuto da latte caprino di provenienza locale. Si produce in primavera – autunno. Le forme hanno altezza cm 6-10, diametro cm 9-14, peso Kg 0,5-1,5, forma cilindrica, crosta morbida increspata se fresco; dura di colore nocciola di varie sfumature se stagionato; pasta compatta con rare o nessuna occhiatura, pastoso; sapore sapido e gradevolmente piccante.

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Caciotta PAT Emilia Romagna

Latte vaccino con aggiunta in proporzioni variabili di latte ovino e/o caprino. Il prodotto finito si presenta in forme cilindriche a scalzo convesso del peso variabile tra kg 0,7-2, altezza cm 4-7, diametro cm 10-22. La crosta è di color avorio scuro la pasta è compatta. Il sapore varia a seconda delle zone e della stagionatura dal dolce acidulo al pastoso, più sapido. La caciotta del Montefeltro ha una stagionatura da due a sei mesi.

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Stracotto alla piacentina PAT Emilia Romagna

Si tratta di un’antica ricetta e consiste in un stufato di carne di manzo che prevede una lunga cottura; da qui il nome di “stracotto”. La realizzazione avveniva un tempo sulla cucina a legna o sul camino, in quest’ultimo caso affondando il recipiente di cottura nelle braci ricoprendole con la cenere calda fino all’orlo. Si utilizzava un classico recipiente in terracotta, detto stuvon, dotato di un coperchio concavo, “il piatto”, sul quale veniva posto del vino rosso con chiodi di garofano e cannella. Questo serviva ad evitare un’eccessiva evaporazione del liquido interno. Lo stesso scopo sarebbe stato raggiunto utilizzando l’acqua, ma l’antica tradizione prevede il vino che, evaporando insieme alle spezie, emana nelle cucine un profumo caratteristico ben conosciuto dai piacentini.

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