Farro dei Monti Lucretili PAT Lazio

Il Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili presenta un paesaggio di tipo spiccatamente pre-appenninico, che ha concorso alla formazione e alla coesistenza di particolari produzioni come quella del Farro. Elemento essenziale nella dieta delle popolazioni arcaiche, tanto che anche i prigionieri o gli schiavi della Roma Repubblicana, si narra, avessero diritto a una libbra (circa trecento grammi) di Farro al giorno, e persino i legionari di Cesare si dice che partissero con un pugnetto di Farro nella bisaccia. Nel territorio in esame il Farro dei Monti Lucretili ha trovato il microclima ideale da tempo immemore anche se oggi se ne registra la produzione a livello privato e solo per autoconsumo. Dal 1989 presso il comune di Licenza nella prima decade di ottobre, si tiene la storica Sagra Elle Sagne ‘e Farre.

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Cipolle peperoni e pere sott’aceto PAT Lazio

Le pere e i peperoni sono lavati e tagliati a pezzi, alle cipolle vengono eliminati gli strati superficiali ed accorciate le radici e, successivamente, vengono immersi in barattoli di vetro contenenti aceto, prodotto dal vino rosso preparato artigianalmente. La frutta e le verdure da usare per le preparazioni sott’aceto devono essere leggermente acerbe, sode e senza parti ammaccate.

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Cipolla di Nepi PAT Lazio

In passato, la produzione di cipolle nel territorio del comune di Nepi era florida. Attorno alla cipolla ruotava l’intera economia del paese, tanto che i nepesini erano conosciuti, in tutta l’area dell’alto Lazio, come “cipollari”. Per secoli, infatti, in questo territorio etrusco ricco di acque minerali, la principale fonte di reddito era rappresentata dalla produzione ortofrutticola: coltivare le cipolle significava avere un capitale. La storia della cipolla nepesina affonda le sue radici in epoca lontana. Sembra che a introdurre la coltivazione di questo bulbo nella zona dei monti Cimini, siano stati proprio i romani che ne avevano importato il seme dalla Grecia e che intorno al 350 a.C conquistarono ai propri domini tutto l’agro falisco. I romani, attratti dalla presenza di acque minerali, sfruttarono, come è noto, queste zone per i bagni termali. Con il tempo i nepesini divennero esperti coltivatori di questo ortaggio.

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Ciliegia Ravenna della Sabina PAT Lazio

Ai tempi del Papa Re, sulle colline della Romagna comprese nello Stato Pontificio, iniziava un processo di specializzazione produttiva rivolto alla coltivazione di ciliegie che si sarebbe protratto fino al XX secolo. A fine ‘800 una ciliegia tonda, dalla polpa rosa e dal sapore dolcissimo, anche se originaria di Ravenna, trovò nel clima dolce della Sabina romana, a monte delle anse del Tevere, il suo sito di elezione. La Ciliegia Ravenna della Sabina o “Ravenna del Papa”, è presente sul territorio da oltre 100 anni, come testimoniato dalle piante secolari presenti sul territorio e come attestato dalla prima sagra tenutasi a Palombara Sabina nel lontano 1933, di cui rimane traccia, oltre che su un articolo del Messaggero di quell’anno, in due locandine della “Festa delle Cerase” del 1936 e del 1937. Il suo pregio è nella polpa gustosa, che rimane croccante anche dopo qualche giorno dalla raccolta.

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Ciliegia di Celleno PAT Lazio

Le piante di ciliegio (Prunus avium L.), coltivate nel comune di Celleno appartengono a varietà di antica tradizione locale, del tipo Maggiolina, Ravenna a gambo corto, Ravenna a gambo lungo e, in maniera minore, Buonora e Cuore (Durona). Presentano alberi mediamente vigorosi, a portamento espanso. I frutti si presentano, in genere, di pezzatura medio-piccola, con polpa poco soda, dal sapore particolarmente gradevole.

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Cicoria di catalogna frastagliata di Gaeta (puntarelle) PAT Lazio

Questo ecotipo locale viene tradizionalmente coltivato nei comprensori orticoli dei comuni di Formia, Fondi e Gaeta da lungo tempo. Già gli antichi romani apprezzavano la sua bontà. A Roma furono Plinio e Galeno a lodare la pianta: Galeno la diceva soprattutto “amica del fegato” e Plinio le attribuiva preziose virtù rinfrescanti. Sia Columella che Plinio, inoltre, nelle loro opere, includono la Cicoria tra le piante che non dovevano mancare nell’orto, in quanto utili per la tavola, per la farmacia di casa e per i riti domestici. Numerose sono anche le testimonianze orali degli agricoltori locali che attestano la coltivazione di questo prodotto fin da tempi remoti.

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Cicerchia di campodimele PAT Lazio

Situato sulla cima di un ripido colle di origine carsica, circondato da colline boscose e montagne brulle, sulle estreme propaggini dei monti Ausoni, Campodimele offre l’habitat ideale per la coltivazione della Cicerchia che vanta antiche tradizioni. Ampiamente diffusa nelle colline interne laziali fino al dopoguerra, costituiva, grazie al fondamentale apporto proteico, una importante fonte alimentare per gli abitanti di Campodimele. Ancora oggi la battitura dei baccelli da cui si ricava il seme avviene esclusivamente a mano. Un tempo questo evento era vissuto come un momento di grande gioia a cui partecipava tutto il paese. Ogni anno, la prima domenica di agosto, la cittadina sud pontina dedica a questo tipico legume della tradizione agropastorale una Sagra che si tiene in località Taverna, con degustazione di Cicerchie accompagnate da salsicce, pane di grano e un buon bicchiere di vino.

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Cicerchia PAT Lazio

La cicerchia è un Legume secco, coltivato nell’altopiano di Rascino a circa 1200 metri s.l.m. Presenta forma lenticolare irregolare, colore beige non uniforme. È una pianta piuttosto rustica e, quindi, non ha bisogno di cure particolari: cresce anche in condizioni difcili e resiste benissimo alla siccità. La semina avviene in primavera, la raccolta si efettua nella seconda metà di agosto.

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Cece del solco dritto di Valentano PAT Lazio

La tradizione orale più leggendaria è quella che vede nel solco il passaggio creato da un bifolco per agevolare il transito della Vergine e del Bambino, in fuga verso l’Egitto o quella che vi individua il viaggio percorso dalla Vergine per ascendere al cielo. L’accezione più accreditata è, invece, quella che individua nel tracciato rettilineo l’auspicio per la successiva annata agraria, sotto la protezione della Vergine, di cui si festeggia l’Ascensione il giorno successivo (15 agosto). Più il solco risulta dritto, più viva è la speranza per un futuro cospicuo raccolto. La manifestazione è legata alla denominazione dei Ceci di Valentano la cui presenza, un tempo, era di grande rilevanza per la popolazione. Poter disporre di un abbondante accolto di ceci significava per gli abitanti di questo paese poter disporre di una delle poche fonti di proteine disponibili. La presenza di questo legume, all’interno dell’areale in esame è molto antica. La vocazione alla produzione di leguminose dei comuni distribuiti in prossimità del Lago di Bolsena è dimostrata sin dal tempo degli Etruschi ed è confermata, in seguito, da documenti medievali. Nel XIII-XIV secolo, in particolare, nella Val di Lago, la coltura dei ceci risulta molto diffusa, tanto che alcuni statuti dedicano apposite rubriche a “de pena colligentium cicera et alia legumina”.

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Castagna rossa del Cicolano PAT Lazio

La Castagna Rossa del Cicolano si ottiene da fustaie di castagno da frutto appartenente alla specie Castanea Sativa Mill. varietà conosciuta come “Rossa del Cicolano”. Di taglia superiore rispetto ai marroni e alle altre castagne, la Rossa del Cicolano presenta numero di frutti per riccio non più di tre; forma rotondeggiante e globosa, apice provvisto di tomento, con torcia anch’essa tomentosa; cicatrice ilare di forma rettangolare, generalmente convessa e di colore più chiaro del pericarpo. Il pericarpo è di colore marrone rossiccio che si scurisce dopo la curatura, ilo rettangolare color nocciola, episperma con introflessioni più o meno estese all’interno della polpa, seme di colore bianco, croccante, sapore delicato e dolce. La Castagna Rossa del Cicolano può essere commercializzata fresca o trasformata: secca in guscio; sgusciata, intera o sfarinata; in marmellata e crema di castagne, ottenute con la tecnica tradizionale locale.

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