La crescente bolognese trae origine dalla pasta che cresceva degli impasti fatti dal fornaio nella sua lavorazione quotidiana. Praticamente si tratta dell’elaborazione dell’eccedenza produttiva dell’impasto: l’eziologia del suo nome nel dialetto bolognese mette in luce la sua origine, crescente “carsent” che cresceva. Il fornaio faceva il suo impasto quotidiano e ne teneva indietro una parte per la produzione del giorno successivo, la parte che eccedeva era destinata alla produzione della carsent, cioè di quell’impasto arricchito che in origine costituiva la colazione del fornaio stesso.
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Coppo all’emiliana PAT Emilia Romagna
Dolce a base di zucchero, burro, latte, uova, stecca di vaniglia, chiodi di garofano, scorza di limone e cannella. Porre a fuoco il latte con la stecca di vaniglia, il chiodo di garofano, un pezzetto di cannella e scorza di limone. Lasciarlo bollire sino a che si sarà ridotto di circa un quinto. Levare poi il latte da fuoco, unire lo zucchero, mescolare e lasciarlo raffreddare ,poi aggiungere sempre mescolando energicamente quattro uova intere e un tuorlo. Quando le uova si saranno bene amalgamate versare il composto, filtrandolo, in una tortiera dai bordi alti, abbondantemente imburrata. Porvi sopra un coperchio e metterla in forno già caldo per circa 40 minuti . Quando il “coppo” sarà cotto (dovrà essere ben sodo) levarlo dal forno e lasciarlo raffreddare prima di toglierlo dallo stampo. È consigliabile servire questo dolce il giorno dopo.
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I buslanein sono tipici della provincia di Piacenza, un tempo venduti soprattutto nei giorni di mercato agli angoli delle piazze. Fino a qualche decennio fa venivano regalati dai padrini ai cresimandi che portavano collane a bandoliera. Pare che queste ciambelline fossero già note ai primi del 1300 e che i monaci della Chiesa di San Savino ne facessero omaggio ai canonici della cattedrale. I buslanein sono molto gustosi a colazione intinti nel latte o in vino bianco dopo pranzo. Lo storico piacentino Aldo Ambrogio, data la loro comparsa alla seconda metà del ‘700 nella parte alta della Val Tidone. Certo è che la “Real giunta sopra l’Annona”, nel 1764 con “Avviso” emanato vietava tassativamente l’esportazione “fuori dallo Stato di qualità alcuna, sotto qualsivoglia pretesto … di ciambelline dette volgarmente Bocciolani di Pianello”. Ora la produzione maggiore si riscontra a Mango e San Nicolò dove si svolge l’annuale festa.
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Nella cultura contadina il dolce compare solo per le grandi occasioni, la presenza dei dolci scandiva gli eventi più importanti della vita famigliare: matrimonio, battesimo ed altre circostanze di festa. Si trattava in genere di preparazioni dolciarie semplici che solo l’accostamento studiato di umili ingredienti trasformava in vere ghiottonerie. Spesso i dolci contadini erano dei recuperi di pasta sfoglia avanzata dalla preparazione dei primi piatti, con una semplice spolverata di zucchero. Solo a Natale, a Pasqua o per Carnevale i dolci diventavano un vero e proprio rito ed è proprio in questi periodi che sono state inventate le tipiche leccornie che ci sono state tramandate fino ai giorni nostri.
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Farina grano tenero tipo “0”, zucchero, uova, latte, burro, lievito chimico, anice, sale, scorza di limone grattugiata. Ad impasto omogeneo, si formano dei filoni, che poi si avvolgono su se stessi, mettendoli in padelle si procede alla segnazione e lucidatura e cospargendoli con zucchero. Si cuociono. Viene commercializzata in giornata anche in sacchetti di plastica.
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Dolce ottenuto dall’impasto di farina, zucchero, burro, uova. Porre la farina a fontana sulla spianatoia con al centro lo zucchero, il burro sciolto, le uova intere e i rossi, il succo del limone e le bucce grattugiate. Amalgamare bene tutti gli ingredienti e porli in una teglia ad anello ben imburrata e infarinata. Cuocere a bagnomaria per circa un’ora a forno moderato.
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Il ciaccio della vallata del Dragone risale agli ultimi decenni dell’800, le famiglie alternavano questo povero cibo alla polenta di castagna o di mais. Il ciaccio si chiamava “salada” dalla forma rotonda che ricorda il sole, ovvero dalla forma dei vecchi “stampi” di rame rotondeggianti. Il ciaccio come si fa ora entra nell’uso comune negli anni antecedenti l’ultima guerra mondiale.
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Ciò che la contraddistingue è la forma a ciabatta a ricordare, probabilmente, l’inizio di un periodo di riposo dai duri lavori della campagna. In Emilia vi era l’usanza di preparare la ciabatta in occasione della festa di Sant’Antonio; oggi però questa tradizione è pressoché scomparsa, e poche famiglie ricordano questo dolce,che faceva la gioia dei bambini.
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Con la farina di castagne nei giorni di festa si preparava il castagnaccio, tipico e noto dolce dall’inconfondibile aroma che allietava il mese di novembre e non solo.
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Pasta del gnocco fritto, formaggio parmigiano reggiano fresco (poco stagionato) o pesto dei tortelli verdi o dell’erbazzone. Preparare la pasta del gnocco fritto. Con il mattarello tirare una sfoglia dello spessore di circa tre millimetri e poi tagliarla facendo dei quadrati. Sulla metà di ogni quadrato disporre delle sottilissime fettine di grana reggiano e ripiegare sopra l’altra metà di pasta premendola bene ai bordi. Friggere le chizze in abbondante strutto (o olio) bollente. Sono migliori servite calde, quando il formaggio è “filante”, ma sono buone anche fredde. Variante, al ripieno di formaggio, è il ripieno dell’erbazzone (bietole) dette chizze di verdura.
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