Trattandosi di un’attività di pesca artigianale e limitata ad un breve periodo ( 2 mesi o poco più) non è risultata essere molto interessante per attività di ricerca e studio; infatti non è molto il materiale bibliografico sul tema. Cenni sulla metodica di pesca tradizionale della passera è possibile trovarla sul volume di Albino Troian “ Il mio mare – sessant’anni di pesca nell’Alto Adriatico” edito dalla tipografia Sartor di Pordenone. Risulta invece essere ancora molto vivo il ricordo di tale antica tradizione tra i vecchi pescatori e molti anziani cittadini triestini. Un archivio fotografico notevole è presumibilmente sparso in soffitte e vecchi stipiti di molte case triestine.
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Mussolo di scoglio PAT Friuli Venezia Giulia
La pesca dei mussoli, di vecchissima tradizione, era improntata attraverso brevi strascicate con un attrezzo specifico “ il mussoler”, rastrello metallico munito di sacco terminale in rete. Per decenni importantissima fonte di reddito per molti pescatori triestini, la pesca del mussolo ha subito una drastica diminuzione alla fine degli anni cinquanta quando, a causa di una improvvisa malattia, l’imponente stock di molluschi presente nell’Alto Adriatico fu decimato. Negli anni sessanta, seppure con risultati sempre più scarsi, la pesca del mussolo proseguì, fino ad esaurire i pochi banchi rimasti. L’ultimo mussoler in esercizio cessò l’attività nel 1967.
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La pesca delle mormore è una tradizionale pesca esercitata dalle marinerie regionali, specie da quella triestina che, nell’area prospiciente il promontorio di Miramare, ha trovato una particolare allocazione grazie all’abbondanza della risorsa disponibile. Da diversi decenni la pesca della Mormora a Miramare ha coinvolto decine di imbarcazioni dedite alla piccola pesca costiera che, con attrezzi specifici e selettivi, ha rivestito particolare importanza per l’economia invernale di questi sistemi altrimenti in sofferenza a causa della scarsità di specie ittiche stanziali.
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La tradizione del matàn risale ancora a quando i pescatori vivevano nei casoni della laguna (ritornavano sulla terra ferma solo tre volte all’anno), addirittura ben oltre un secolo fa. Anche questo pesce veniva conservato per i momenti di carestia o di mancanza di pesce. Talvolta veniva barattato, con la gente della Bassa Friulana, con farina bianca per fare la polenta. Un tempo questa era necessità di vita, oggi il matàn è considerato quasi una rarità, comunque una prelibatezza.
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La pesca del dondolo, tradizionale attività di pescatori professionali e non, è segnalata attraverso racconti di vecchi pescatori dall’immediato dopo guerra, ad opera di unità di palombari in servizio portuale che avevano il compito di riparare i moli e le dighe foranee dai danni causati dai bombardamenti. In tale occasione, nelle aree antistanti alle opere danneggiate sono stati individuati consistenti banchi di dondoli che , nel periodo successivo, sono stati sfruttati commercialmente. Ulteriori aree, individuate lungo la costiera triestina, sono state trovate idonee ed ancora adesso, a diversi decenni di distanza, danno lavoro a diversi operatori subacquei autorizzati.
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L’origine della pesca delle canocchie come vera e propria specie bersaglio, sembra risalire agli anni trenta per opera di pescatori istriani (Isola e Capodistria in primo luogo) che costruirono delle nasse copiando un simile attrezzo utilizzato allora in Francia per la pesca dei granchi e delle aragoste. Essi osservarono che le specie catturate erano rappresentate prevalentemente dalla canocchia insieme a poche altre specie.
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Vongole, aglio, olio, salsa di pomodoro. Lavate ripetutamente le vongole si fanno aprire a fuoco alto e si sgusciano. Si soffrigge in olio un trito di aglio e prezzemolo, si aggiunge salsa di pomodoro ed il sugo di cottura delle vongole filtrato attraverso un canovaccio, poco sale e un po’ di pepe ed infine le vongole. Lasciate bollire un quarto d’ora all’incirca, poi aggiungere un po’ d’acqua e riprendete la bollitura. Infine si versa il tutto in una zuppiera in cui sono state foste fette di pane abbrustolito.
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La saraghina è un piccolo pesce azzurro dell’Adriatico, simile alla più famosa alice o sardone, dal corpo fusiforme, allungato e compresso ai lati. Il profilo ventrale è leggermente seghettato. Il dorso è azzurro bluastro con ventre e fianchi argentati. Non supera i 17 cm di lunghezza. “Sul testo di terracotta posto sul fuoco e già ben caldo, si getti un pugno di sale grosso che sciogliendosi impedirà alla saraghina di attaccarsi. Presi a tre a tre per la coda si voltano e si rivoltano in farina di polenta e poi si pongono sul testo. Si girano con una coltella e il mangiare è pronto.”
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La saraghina maturata sotto sale è pesce azzurro altrimenti conosciuto, quando maturato sotto sale appunto, come Saracca (o Salacca in italiano), Papalina o Spratto.
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La vongola (Chamelea Gallina) detta “poveraccia” in dialetto, è un mollusco bivalve con conchiglia tondeggiante schiacciata. Questa ricetta è tipica della tradizione popolare della costa romagnola ed era il cibo più comune dei pescatori che, venduto il pesce più pregiato, si tenevano questi poveri molluschi per loro. Si mettono a bagno le vongole in acqua fredda con un po’ di sale in modo che buttino fuori la sabbia. Risciacquare e mettere a cuocere in un tegame dove è stato preparato un soffritto con cipolla e aglio tritati. Aggiungete un bicchiere di vino bianco, coprire il tegame e lasciare cuocere per alcuni minuti finchè tutte le vongole non si siano aperte. Servire in tavola coprendo con del prezzemolo tritato.
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