I fichi secchi con il miele sono un’antica ricetta della penisola Sorrentina, in provincia di Napoli; si tratta di un gustoso dessert, realizzato con due eccellenti ingredienti di produzione locale: i fichi ed il miele. I fichi freschi, una volta puliti, si immergono in recipienti pieni di vino bianco, in modo tale che ne assorbano l’aroma; in seguito, vengono aperti dalla parte dell’apice fiorale e farciti con noci o mandorle. I fichi ancora aperti vengono uniti in coppie in modo tale che la parte superiore dei due frutti, lasciata aperta, combaci; così composti vengono cotti in forno per circa mezz’ora e, una volta raffreddati, si cospargono di miele e poi si conservano in barattoli di vetro insieme a semi di finocchietto, foglie di lauro, scorze di agrumi canditi e qualche goccia di essenza di anice. I fichi secchi con il miele si possono acquistare nei laboratori artigianali locali, ma per lo più vengono ancora preparati in casa e conservati in dispensa, pronti per essere consumati nelle occasioni speciali.
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Fava di Miliscola PAT Campania
Delle fave di Miliscola si distinguono due tipologie: quelle più grandi dette “vittulane” e quelle più piccole dette “quarantine”. Nonostante il prodotto sia celebre e molto apprezzato, si tratta di una coltura minore, effettuata nei vigneti e nei frutteti anche allo scopo di migliorare la fertilità dei terreni prima della coltivazione del pomodoro e degli altri ortaggi estivi. In realtà le fave sono un cibo molto caratteristico in tutta l’area del napoletano, consumate fresche sono tra i cibi rituali del periodo della Quaresima.
View More Fava di Miliscola PAT CampaniaFarro dicocco del Sannio – Pane e pasta di farro PAT Campania
La diffusione del Farro (dalla cui radice linguistica deriva la parola “farina”) è stata opera delle popolazioni italiche già in epoca neolitica (7200 a.C.) in Puglia e Basilicata, aree notoriamente interessate dalla colonizzazione greca. In seguito le precitate specie si diffusero anche nelle regioni settentrionali (6.500 a.C.) insieme ad orzo ed ai frumenti nudi. Orzo e farro rimasero per tutto il periodo di affermazione della lavorazione dei metalli (Età del Ferro e del Bronzo) i cereali più diffusi, in particolare nelle specie dello spelta e del farro grande. Dalle fonti storiche, secondo quanto riporta Plinio il Vecchio (Naturalis historia, libro XVIII, cap.7), al tempo del re Numa Pompilio venne formalizzato il rito religioso che precedeva le pratiche agricole dell’aratura e della mietitura.
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Ecotipo locale ad habitus indeterminato con seme di forma ovoidale-allungato, di piccole dimensioni, di colore paglierino chiaro, con una caratteristica nota zolfigna nel sapore; il baccello è di dimensioni medie, giallo crema a maturazione cerosa e giallo paglierino a maturazione piena, coltivato su file, tipicamente consociato a mais il cui stocco funge da tutore.
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Pianta erbacea annuale, deve probabilmente il suo nome al modo con cui si attorciglia attorno alle canne di sostegno, che ricorda il modo di disporre i lacci delle ciocie, antico calzare caratteristico degli zampognari. E’ infatti a portamento rampicante, volubile; si sviluppa a spirale su sostegni vivi o morti naturalmente, con lo sviluppo dell’apice. Foglie di medie dimensioni, ternato-composte, color verde scuro, se cresce in terreni fertili ed umidi, più chiare in terreni aridi e più poveri.
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La coltivazione è costantemente presente nell’area da almeno 150 anni; la tecnica colturale richiama la tecnica ancestrale praticata dai nostri trisavoli negli areali del Sannio. Le vecchie Masserie che caratterizzano gli areali interessati alla coltivazione sono una testimonianza della coltivazione di legumi destinata, a suo tempo, oltreché all’autoconsumo, a rifornire i mercatini locali. Grazie alla presenza di queste Masserie è possibile mappare non solo la tipologia delle coltivazioni, ma anche il livello organizzativo e produttivo praticato. In questi ultimi anni, si è attivata un’azione di recupero di semi antichi che vengono coltivati utilizzando le più moderne tecniche collegate a macchine che presentano una dotazione tecnologica ultramoderna. Ciò agevola notevolmente la coltivazione e l’attività imprenditoriale dei operatori interessati.
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La coltivazione è costantemente presente nell’area da almeno 150 anni; la tecnica colturale richiama la tecnica ancestrale praticata dai nostri trisavoli negli areali del Sannio. Le vecchie Masserie che caratterizzano gli areali interessati alla coltivazione sono una testimonianza della coltivazione di legumi destinata, a suo tempo, oltreché all’autoconsumo, a rifornire i mercatini locali. Grazie alla presenza di queste Masserie è possibile mappare non solo la tipologia delle coltivazioni, ma anche il livello organizzativo e produttivo praticato. In questi ultimi anni, si è attivata un’azione di recupero di semi antichi che vengono coltivati utilizzando le più moderne tecniche collegate a macchine che presentano una dotazione tecnologica ultramoderna. Ciò agevola notevolmente la coltivazione e l’attività imprenditoriale dei operatori interessati.
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Il seme di questo ecotipo presenta una forma tipicamente rotondeggiante, piccole dimensioni e un colore bianco. Generalmente la distanza sulla fila è di 4-5 cm e tra le file di 40-50 cm. Il suo ciclo si conclude in circa due mesi. Data la brevità del ciclo colturale, il fagiolo a Casalbuono si inserisce bene come coltura intercalare. è frequente la successione del fagiolo a un cereale autunnale a raccolta precoce (orzo). A Casalbuono nel caso di coltura intercalare la cosa più importante non è l’accurata preparazione del terreno ma la rapidità di semina per guadagnare tempo: ottimi risultati si ottengono con la lavorazione minima o, addirittura, con la non lavorazione; nel primo caso si tratta di seminare dopo un rapido passaggio di erpice o di zappatrice, nel secondo di seminare sul terreno sodo (stoppie di cereale, ossia ” ‘nda ristoccia”).
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Nel territorio del Vallo di Diano, in particolare nel fondo-valle, caratterizzato dal clima più fresco è molto praticata la coltivazione dei fagioli. Si scorgono campi in cui le piante di fagioli sono abbarbicate sulle file di mais che le sorreggono. Il fagiolo prodotto in questa zona è di due varietà, quello striato (in foto), che presenta un baccello leggermente ricurvo, con striature rosso-violacee e semi secchi color castano chiaro striato, e quello tondino bianco, dal baccello molto piccolo che racchiude un fagiolo tondo e bianco.
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Il territorio interessato alla produzione è delimitato dal corso del fiume Calore e comprende località “Vallone Secco” nel Comune di Casaletto Spartano, l’intero territorio amministrativo del Comune di Casalbuono, fino alla località “Ponte Porcile” lungo i margini del fiume nel Comune di Montesano sulla Marcellana. Si tratta di un ecotipo locale ad habitus indeterminato con seme molto somigliante al borlotto, reniforme, coltivato su file, tipicamente consociato a mais il cui stocco funge da tutore. Il baccello è leggermente ricurvo, con striature rosso-violacee. I semi secchi (1-1,4 cm. di lunghezza) si presentano di forma ovale, di colore bianco con screziature tendenti al rossiccio.
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