Lo Zafferano è una spezia ottenuta dagli stigmi del fiore Crocus Stivus, conosciuto anche come Zafferano Vero. Gli stigmi sono di color cremisi intenso e vengono raccolti e fatti seccare. Questa spezia viene utilizzata in cucina come condimento e come colorante. La pianta di Zafferano ama molto il sole ed è per questo che è diffuso in tutte quelle zone, come la Tuscia, in cui c’è poca umidità e nebbia.
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Zucchina con il fiore PAT Lazio
Le cultivar utilizzate per la produzione della Zucchina con il fiore sono riconducibili, dal punto di vista morfologico, alle tipologie di zucchina: Bianco, Nero e Romanesco. Il frutto, di forma da cilindrica a leggermente clavata (tipo Bianco) o poligonale irregolare, tendente al cilindrico (tipo Nero) o cilindrica con costolature molto pronunciate (tipo Romanesco), presenta un colore variabile dal verde chiaro con striature più intense, al verde scuro. La lunghezza del frutto non risulta essere inferiore a 10 cm mentre il peso unitario minimo è di 50 grammi. Il fiore di colore giallo tendente all’aragosta, è sinonimo di freschezza e salubrità del prodotto, che è la sua caratteristica principale ed univoca rispetto ad altri prodotti. Il sapore varia dal dolciastro all’erbaceo a seconda della tipologia; la pasta interna risulta morbida.
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Lo zafferano è una pianta appartenente alla famiglia delle Iridaceae, specie Crocus sativus. Dallo stimma trifido si ricava la spezia denominata “zafferano”, utilizzata in cucina ed in alcuni preparati medicinali. Lo Zafferano della Valle dell’Aniene viene essiccato in modo naturale posizionandolo su di un setaccio sottile vicino al fuoco di legna di quercia o mandorlo.
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Si ha ragione di credere che la coltura del Pizzutello a Tivoli fosse già ben nota ai latini, come si rivela dalle opere di Columella e di Plinio, che chiamano queste uve “praelongis dactylis” (Reda, 1952). Alcuni storici individuano nel Pizzutello il vitigno indicato da Plinio nella sua “Naturalis Historia” (Lib. 14, cap.III), come esclusivo della zona di Tivoli e di Pompei. Uve di questo tipo erano anche conosciute e coltivate dagli Arabi durante la loro occupazione della penisola iberica, e a essi si deve il nome di “Kadim Barmak” (tuttora in uso in Marocco), che venne tradotto in lingua spagnola in “Dedos de doncella”, ossia “Dita di fanciulla”.
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Nel territorio dei Monti Lepini il visciolo (Prunus cerasus) cresce spontaneo. Il suo utilizzo nella preparazione di sciroppi e marmellate risale agli inizi del ‘900, quando cominciò a diffondersi l’uso dello zucchero in cucina e, ancora oggi, gli ingredienti usati sono gli stessi di un tempo per mantenere inalterata la ricetta e assicurare la qualità finale dei prodotti. Studi prodotti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno rilevato che la visciola possiede notevoli proprietà antinfiammatorie superiori a quelle derivate dall’assunzione di aspirina.
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Già la Bibbia (storia di Giacobbe) riporta notizie sul tartufo, citato anche in epoca romana nel trattato “De re coquinaria” di Marco Gavio Apicio ma apprezzato difusamente in cucina solo dall’800. Nel comune di Saracinesco si comincia a raccogliere il Tartufo dagli anni cinquanta del ‘900 ed ancora oggi la popolazione locale si dedica alla sua raccolta
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Situata nel Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini, Cervara è il paese più alto della provincia di Roma, dopo Guadagnolo. Il verde delle sue faggete, il paesaggio mozzafiato sulla sottostante Valle dell’Aniene e sui monti limitrofi colpiscono il visitatore e lo inducono ad apprezzare questo ambiente unico e suggestivo. Fin dal passato il paese di Cervara che si raggiungeva solo cavalcando un mulo, è rinomata per il suo Tartufo, raccolto, secondo le testimonianze orali, da oltre 25 anni e celebrato dal 1999,
nel mese di settembre, con l’omonima Sagra.
Tartufo dei Monti Lepini PAT Lazio
La raccolta del Tartufo dei Monti Lepini viene effettuata da molti anni sia da raccoglitori professionisti che amatoriali. Alcune informazioni storiche si possono attingere dagli Annali del cardinale Pietro Aldobrandini, della fine del XVI secolo, e da documenti archiviati presso il comune di Carpineto Romano in cui si fa riferimento ai pranzi, le cui pietanze erano proprio a base di tartufo raccolto sul posto. Il nero di Carpineto Romano dicono che sia uno dei tartufi più profumati d’Europa. Ne era convinto persino Domenico Bigioni, presidente della Federazione europea tartufai. I Monti Lepini ne sono stati sempre territorio elettivo anche se soltanto negli ultimi anni si è incominciato a raccoglierli e valorizzarli.
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Il Tartufo di Campoli Appennino è un fungo ipogeo a forma di tubero irregolare, appartenente alla famiglia delle Tuberaceae, classe degli Ascomiceti, che cresce spontaneamente in simbiosi con le radici di alcuni alberi e arbusti: quercia, cerro, leccio, tiglio, nocciolo, carpino, pioppo. Di colore bianco e nero si caratterizza per un profumo intenso, sapore di fungo acerbo, massa carnosa della “gleba” (o polpa), rivestita da una corteccia chiamata “peridio”.
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La produzione di Aglio Rosso, nell’antico centro di Proceno, risale agli Etruschi che lo preferivano alla cipolla e impararono a concimarlo con la cenere. Non è altrettanto noto, invece, a quando risalga l’uso di consumare gli scapi fiorali di questo aglio, conservati sott’olio. A detta dei più anziani agricoltori locali, tale operazione, chiamata starlatura (da cui Tallo) o smarchiatura (da cui Marchio) è da sempre praticata, tanto che ricordano come un tempo, una parte del prodotto raccolto venisse consumato in casa, bollito e condito con olio
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